di Fulvio Scaglione.
Sette incontri e innumerevoli consultazioni al telefono in soli due anni. In più, i contatti continui tra gli alti gradi delle forze armate, indispensabili per coordinare le azioni tra due eserciti decisi e potenti, quello russo e quello israeliano, divisi solo dal confine della Siria. Non stupisce, quindi, che Benjamin “Bibi” Netanyahu, in visita ufficiale a Mosca, abbia definito “eccellenti” i rapporti tra Israele e la Russia e “concreti e non teorici” i contenuti di quest’ultima tornata diplomatica.
Il tema al centro dell’incontro ha un nome corto e comprensibile a tutti: Iran. Israele lo considera “una minaccia grave” alla propria sicurezza, se non alla propria esistenza, e il suo premier ha recapitato al Cremlino un messaggio molto chiaro: non permetteremo all’Iran di insediarsi militarmente in Siria e stroncheremo qualunque tentativo di produrre missili di precisione in Libano. Come sempre, il governo israeliano, per dare un’idea completa della serietà delle proprie intenzioni, ha accoppiato la parola dei politici a quella dei militari. Nelle stesse ore, il brigadiere generale Ronen Manelis, portavoce delle forze armate di Israele, dichiarava a un giornale libanese che una nuova guerra con il Libano sarebbe molto probabile se l’Iran cominciasse a produrre missili nel Paese dei cedri. Non una minaccia ma quasi, espressione di un sentimento assai diffuso in tutto Israele.
In questo non c’è molto di nuovo. Da tempo Israele lancia tale messaggio e lo accompagna con incursioni anti-Iran e anti-Hezbollah nei cieli e nel territorio della Siria. Incursioni cui la Russia ha in ogni modo evitato di opporsi. Infatti ciò che ora più colpisce nel dialogo tra Netanyahu e Putin non è tanto il merito ma il modo. I due sembrano riconoscersi come gli unici leader in grado di dare le carte in Medio Oriente. Netanyahu ha portato dalla sua parte gli Usa di Donald Trump, che con la mossa su Gerusalemme capitale unica di Israele si sono schierati come non mai dalla parte della destra israeliana. Nello stesso tempo, accredita Putin come colui che può “far ragionare” l’Iran, considerato il primo tra i nemici.
Putin, come si diceva, non ha alcuna intenzione di farsi coinvolgere nella guerra a bassa intensità già in corso tra Israele e Iran in Siria e dintorni. Cerca, senza nascondere l’asse strategico costruito con Iran e Turchia, di accreditarsi come il grande mediatore, ruolo che gli è già perfettamente riuscito nel 2015 in occasione dell’accordo sul nucleare iraniano sottoscritto dagli Usa di Barack Obama, dall’Onu, dalla Ue attraverso la Germania e appunto dalla Russia. Netanyahu ha provato a instillargli qualche dubbio dicendo che ci sarebbero buone probabilità di stabilizzare la situazione in Siria e in Libano, a patto però di mettere sotto controllo le ambizioni iraniane. Ovvero, offrendo una specie di “neutralità” israeliana rispetto agli interessi russi se agli ayatollah saranno tagliati quelli che Israele vede come artigli pronti a colpire. È una partita tra vecchie volpi, quella di Netanyahu e Putin. E non siamo neanche alla fine del primo tempo.
Fonte: http://www.occhidellaguerra.it/inizia-la-partita-putin-netanyahu-grosse-sorprese-arrivo-siria/.