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di Matteo Bressan.
L’annunciato e più volte ventilato ritiro statunitense dalla Siria ha, nel giro di una settimana, accelerato in maniera impressionante una serie di dinamiche sia all’interno dell’amministrazione Trump sia nel campo di battaglia siriano.
Sul fronte della politica interna, le dimissioni del Segretario alla Difesa James Mattis, frutto di evidenti divergenze sia rispetto al ritiro dalla Siria sia rispetto al dimezzamento della presenza in Afghanistan, hanno portato alla nomina dal primo gennaio di Patrick Shanahan, già vice di Mattis, alla guida del Pentagono.
Una nomina, nelle vesti di facente funzione, che anticipa di ben due mesi (fine febbraio) la scadenza prevista per il Generale Mattis alle cui dimissioni hanno fatto seguito anche quelle dell’inviato americano presso la coalizione anti-Isis, Brett McGurk, anche egli in disaccordo sull’annunciato ritiro.
Rispetto agli equilibri del campo di battaglia siriano l’annunciato ritiro è stato vissuto come un tradimento da parte delle milizie curde che hanno visto manifestarsi da una parte lo spettro di uno scontro inevitabile con la Turchia, dall’altra la necessità di trovare, dopo i tentativi falliti dello scorso luglio, un accordo con Damasco.
Proprio la progressiva ripresa da parte delle autorità siriane dei territori oggi in mano e sotto il controllo delle milizie curde potrebbe, con le dovute garanzie alla Turchia e con la mediazione di Mosca, disinnescare l’ennesima escalation del conflitto siriano.
Nella giornata di ieri intanto è stata riaperta a Damasco l’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti e non si esclude che questa riapertura possa fare da apripista all’Arabia Saudita e ad altri paesi europei. Segnali che evidenziano una normalizzazione tra i paesi arabi ed Assad e che vedono Mosca lavorare affinché la Lega Araba reintegri la Siria dopo la sospensione avvenuta nel 2011. […]
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Tratto da: http://www.occhidellaguerra.it/ritiro-stati-uniti-equilibri-siria/.