di Pino Cabras.
Finalmente una pellicola che percorre un’epopea emozionante in un tempo in cui le epopee sono state banalizzate e stra-digerite da canoni narrativi stereotipati.
Il film ‘Oppenheimer’ di Christoper Nolan rompe finalmente uno schema produttivo dell’hollywoodismo così come lo vediamo e subiamo da alcuni decenni: questo film è davvero qualcosa di radicalmente diverso da tanti film fatti con cliché prevedibili fino al singolo fotogramma, con trame prive di qualsiasi rischio artistico, psicologie nemmeno abbozzate, intrusioni abnormi e sempre uguali degli effetti speciali con grafica digitale, la sensazione sempre più soffocante di una quota di propaganda che segna il matrimonio d’interesse fra l’intelligence USA e tutto il sistema del soft power americano, la fuga dal reale, la mancata rappresentazione di intere condizioni sociali, una profonda adulterazione dei fatti storici, un’identificazione del “villain” con un nemico corrente da disumanizzare. Oppenheimer rompe lo schema e vince al botteghino e nelle coscienze.
Il film assorbe certo tutte le contraddizioni ideologiche e le giustificazioni ambigue del mondo che ha aperto la porta all’era nucleare, ma questo avviene aderendo con accuratezza al clima storico della prima metà del XX secolo, e soprattutto raccontando una storia con tutti i migliori attrezzi del buon cinema: trama avvincente, un cast stellare che recita in modo impeccabile, scenografie credibili che non devono scimmiottare o sovra-rappresentare un’epoca, ma consentire un’identificazione verosimile dello sguardo dello spettatore. Nell’era di TikTok, delle mani che fanno lo scroll impaziente delle immagini, dell’attenzione disabituata al tempo lungo di ciò che ci può avvincere, Nolan riesce nel miracolo di inchiodarci tanto per i 180 minuti sulla poltrona quanto nel dopo-film, con la sana e inquieta sorpresa di essere usciti dalle storiuzze di cartone.
Credo che il regista abbia colto un’esigenza su cui invece da venticinque anni a questa parte hanno fallito sia quasi tutta la corrente principale dei media (la Grande fabbrica del Sogno e della Menzogna, diceva Giulietto Chiesa), sia la quasi totalità del ceto intellettuale, sia ancora – con rare eccezioni – le generazioni più recenti di politici occidentali. L’esigenza è quella di comprendere che l’intera sorte dell’umanità, tutta l’azione politica, ogni relazione sociale è condizionata dalla Bomba, cioè dall’attraversamento di una soglia che ci ha portato in un nuovo mondo, il mondo sorto il 16 luglio 1945 quando J. Robert Oppenheimer ha fatto detonare l’ordigno di 21 kilotoni del test Trinity, appena tre settimane prima che le vittime di Hiroshima e Nagasaki ne dessero al mondo la spiegazione macabra.
L’Era Nucleare incombe su tutto. Perciò Nolan richiama a un nuovo ridestarsi che può rievocare il primo tormentato risveglio, quello favorito proprio dai fisici che avevano impresso un tragico e spaventoso salto evolutivo all’«homo faber».
In un momento come questo, in cui gran parte degli intellettuali sono silenziosi rispetto alle grandi crisi sistemiche del pianeta perché ormai non studiano da decenni e si sono persi in categorie culturali diventate rami secchi, il lascito culturale dei grandi fisici – con tutte le loro contraddizioni di uomini che hanno forgiato un’era inedita – è invece attualissimo.
Con buona pace di quegli anziani personaggi che vogliono biecamente diseducare i giovani circa l’utilità di trasmettere i saperi tra le generazioni per fregarli e privarli del futuro, questo film oggi poteva essere fatto così bene solo da un “boomer”. Lo spiega a suo modo lo stesso Nolan (nato in Inghilterra nel 1970). La prima volta che sente nominare Oppenheimer è nel 1985 nel verso della canzone “Russians” di Sting: «How can I save my little boy from Oppenheimer’s deadly toy?» (“Come posso salvare il mio figlioletto dal giocattolo letale di Oppenheimer?”). Da persona della stessa generazione comprendo profondamente le sue paure di un olocausto nucleare respirate durante l’infanzia e l’adolescenza. Nolan ha vissuto durante l’era della Campagna per il disarmo nucleare (CND) e delle proteste antinucleari presso la base aeronautica RAF di Greenham Common, così come in Italia noi manifestavamo contro gli euromissili a Comiso. Il regista di Oppenheimer spiega che «mentre la nostra relazione con quella paura nucleare oscillava nel tempo, la minaccia in sé non è mai realmente scomparsa». La nuova fase della guerra in Ucraina a partire dal 2022 ha causato una recrudescenza dell’ansia nucleare. Il mondo, almeno il pezzo egemonizzato dalle potenze anglosassoni, era stato profondamente sviato dal problema e sembrava perfino ignorare le categorie di base per capirlo.
Per intenderci su questo punto vi segnalo un dibattito alla Camera del 15 dicembre 2021, alcuni mesi prima dell’intervento russo in Ucraina. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha appena pronunciato una grigia relazione sul Consiglio Europeo che va a stringere ancora di più i legami tra Unione Europea e NATO. Prendo la parola per ricordargli «una cosa paradossale, che proviene da persone pure più giovani di lui: “sembra troppo giovane per ricordare”. Draghi, assieme a tutta una doppia generazione di politici europei, sembra non ricordare quanto sia importante la questione degli equilibri strategici nucleari.» Per un po’, il premier solleva la testa e sente qualcosa che si discosta dagli osanna della sua larga maggioranza e dell’opposizione disinnescata dei meloniani. Gli ricordo che lui e i suoi colleghi hanno finito «per affidare una questione politica primaria alla burocrazia degli specialisti militari. Hanno così dimenticato un tema che un tempo era argomento politico quotidiano per interi popoli. Hanno dimenticato che era un tema vitale, non una questione burocratica da affrontare con l’ennesimo pilota automatico. E perciò oggi proprio non capiscono che non può esserci una sicurezza europea giocata contro la Russia, così come non può esserci una sicurezza russa a scapito della sicurezza europea. La Russia è una delle potenze dirigenti dell’azione politica in Europa. Tutti quelli che hanno cercato di cambiare questo stato delle cose con la violenza, si sono scontrati con un sanguinoso fallimento. Se avessero compreso perché nel 1962 gli Stati Uniti non volevano i missili sovietici a Cuba, dietro casa, allo stesso modo capirebbero perché una primaria potenza nucleare non vuole missili a 450 chilometri da Mosca.»
Ma Draghi & Co. sono andati avanti così come nel film va avanti il presidente Truman quando riceve e disillude gli slanci pacifisti di Robert Oppenheimer, fino a mettere in pericolo totale la pace e la vita umana, lasciando in eredità un problema enorme alla politica a venire.
Riapro un libro che avevo letto da ragazzo, nel frattempo ingiallitosi in un angolo della mia libreria, “La via di Armageddon – Documenti dell’Età Nucleare” (ed. Rinascita, 1984): ricordavo bene, ci sono testi, discorsi e lettere di Oppenheimer e di altri fisici, con una ricostruzione molto scrupolosa dei problemi che denunciavano a ridosso dei primi passi della nuova corsa al riarmo.
È assai interessante il capitolo che trascrive un semi-sconosciuto discorso a braccio tenuto il 2 novembre 1945 dal padre della bomba atomica durante una riunione dell’Associazione degli Scienziati di Los Alamos, inizialmente non destinato alla pubblicazione. J. Robert Oppenheimer segnala che molti «cercano di sfuggire all’immediatezza di questa situazione dicendo che, dopotutto, la guerra è sempre stata terribile; dopotutto, le armi sono diventate sempre più tremende; che questa non è altro che un’altra arma e non dà origine a un gran cambiamento; che non sono poi così terribili; i bombardamenti sono stati brutti in questa guerra, e questo non cambia le cose, aumenta semplicemente un po’ l’efficacia del bombardamento; che si troverà una difesa di qualche tipo. Penso che questi tentativi di stemperare e di attenuare la natura della crisi la rendano soltanto più pericolosa. Penso che noi dobbiamo accettarla come una crisi molto grave, renderci conto che le armi atomiche che abbiamo cominciato a costruire sono davvero terribili, che comportano un cambiamento, che non sono semplicemente una lieve modifica».
Tra quegli scienziati di Los Alamos c’era il giovane Edward Teller, che invece non aveva rimorsi e già scalpitava per creare la bomba all’idrogeno, migliaia di volte più potente di quegli ordigni che in Giappone avevano annichilito due città.
Quando per la prima volta vidi in TV il finale de Il Pianeta delle Scimmie, che spiegava in un’immagine le cause di una catastrofe globale, quella notte faticai a prendere sonno e la questione divenne per me e per sempre il filtro ottico attraverso cui guardare ai macrofenomeni del nostro tempo.
Anche il finale di Oppenheimer ci ricorda che prima della Bomba la specie umana era una condizione “data” di partenza, mentre oggi è solo un “possibile”: lo spazio della società umana è quello della mera contingenza, delimitata in tutto dal potere delle scelte in mano a noi stessi come specie. Non essere consapevoli di questo è la rimozione più grande e tragica e non possiamo permettercela.