di Gaetano Sinatti.
lle ore 20:59 del 27 giugno 1980, il volo civile IH870, operato da un DC9 della compagnia ITAVIA, scompare, con tutti i suoi 81 passeggeri, nel cielo tra Ponza e Ustica. Solo ieri, 2 settembre 2023, il professor Giuliano Amato, esponente di spicco della classe dirigente della prima e della seconda Repubblica, accademico italiano di lungo corso, giurista illustre, con una lunga intervista pubblicata con grande rilievo dal quotidiano La Repubblica, ha ritenuto opportuno prendere posizione pubblicamente a sostegno della tesi, già avanzata da molti anni sia in sede giudiziaria che storica, affermando la responsabilità del governo francese nell’abbattimento del velivolo civile italiano.
Se fossimo degli ingenui potremmo accontentarci del classico “meglio tardi che mai”. Ingenui purtroppo non possiamo essere, ma convinti che la verità sia ben chiara, sì, come scrivevamo nel 2012 su queste pagine.
Oggi potremmo quindi semplicemente rimandare il lettore di clarissa.it a quanto abbiamo poi scritto anche il 27 giugno del 2020, nel XXXX anniversario di quel terribile evento, presentando le ragioni per cui non vi sono dubbi sul fatto che quell’abbattimento è avvenuto nel contesto di un’azione di guerra non dichiarata, e che tale episodio bellico è riconducibile ad un’operazione di Paesi della NATO contro la Libia.
Oggi, con le dichiarazione del prof. Amato, abbiamo piena conferma infatti di quanto scrivevamo allora:
«se lo Stato italiano non ha mai potuto chiarire cosa è avvenuto quella tragica sera, non è perché le nostre autorità pubbliche non lo sapessero ma perché si tratta di una verità “indicibile” in termini di potere: vale a dire, raccontare per filo e per segno cosa esattamente è accaduto avrebbe significato mettere a repentaglio la stabilità politica dell’Italia e la permanenza di un’intera classe dirigente.
Se quindi vi è mistero, il mistero è tutto qui.
È la ragion di Stato che ha impedito e ancora oggi impedisce di spiegare non tanto quello che è successo, cosa su cui oramai vi sono ben pochi dubbi, ma per quali ragioni non lo si possa pubblicamente raccontare».
Ustica e la Ragion di Stato
Il prof. Amato è uno tra i massimi esponenti dello Stato italiano, per età bene addentro alle secrete cose di almeno mezzo secolo della storia d’Italia: tuttavia solo oggi si è ritenuto autorizzato a chiamare in causa i vertici dell’arma Aeronautica italiana e i vertici delle Forze Armate italiane, per il loro silenzio ed i loro depistaggi; nonché la presidenza della Repubblica francese quale responsabile dell’evento bellico.
Opportuno è anche notare la non poca abilità con la quale il prof. Amato, pur lanciando queste pesantissime pubbliche accuse, ha tuttavia trovato il modo di far intendere che i politici non sarebbero stati al corrente della verità: un sottile ma debole distinguo, dato che poi ricorda che sia l’allora presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, sia il segretario del suo partito, poi presidente del Consiglio anch’egli, Bettino Craxi, gli manifestarono le loro ragionevoli certezze in merito alla responsabilità della Francia.
Appare quindi evidente che, se oggi il prof. Amato parla, parla in nome della stessa ragion di Stato che lo ha obbligato fino ad ora al silenzio. Ci dobbiamo quindi porre non il problema se quel che dice il prof. Amato ha un fondamento, ma perché egli abbia ritenuto oggi, non ieri non domani, di riaprire questa questione.
Questione terribile, perché, scrivevamo nel 2020: «raccontare quanto è avvenuto quella sera, significherebbe:
1) Confermare la condizione dell’Italia come “terra di nessuno”, sulla quale le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale possono operare indisturbate, se necessario nel più totale spregio della nostra sovranità e della vita dei nostri concittadini.
2) Ammettere questo, significherebbe aprire il vaso di Pandora di tutti i precedenti (e successivi) eventi stragisti, cosa che finirebbe per dimostrare una volta per tutte le responsabilità degli apparati istituzionali nella facilitazione e nel controllo del cosiddetto “terrorismo”: non si dimentichi che l’evento di Ustica avviene a pochi mesi dalla tragica conclusione del “caso Moro”, sul quale sono da sempre in corso attività di depistaggio e copertura, come mostra la recente e istruttiva intervista di Walter Veltroni all’ex-ministro socialista Claudio Signorile.
3) Riconoscere quanto appena detto, dimostrerebbe, ben oltre i cronici problemi di corruzione morale e di incapacità politica della nostra classe dirigente, le limitazioni strutturali della nostra democrazia e rivelerebbe quanto ampio sia il mancato adempimento dei doveri costituzionali di difesa degli interessi del nostro popolo da parte della nostra classe politica.
4) Dimostrerebbe altresì che la sconfitta nella Seconda guerra mondiale, lungi dal rappresentare la liberazione dell’Italia, ne ha provocato la totale subordinazione politica a potenze straniere che perseguono finalità che non coincidono affatto con gli obiettivi storici che l’Italia potrebbe e dovrebbe ad esempio assumere nel mondo contemporaneo (pensiamo qui ad esempio all’idea della Roma dei Popoli di un Mazzini)».
Francia, Italia, Libia (1980)
Il fatto che un Paese alleato come la Francia abbia potuto operare liberamente nei nostri cieli con un’operazione di guerra, che quest’ultima abbia ucciso 81 nostri concittadini innocenti ed abbia ottenuto la complicità delle nostre Forze Armate nella copertura di quanto accaduto – dimostra quanto affermavamo.
Non basta: avere concepito e realizzato questa operazione nei cieli italiani, senza curarsi delle possibili conseguenze, ed ottenendo il silenzio complice dei nostri vertici militari e politici, ebbe anche il significato politico di un’intimazione della Francia nei confronti dell’Italia.
Possiamo oggi affermarlo con sicurezza, dal momento che risulta da documenti ufficiali che nel 1980 fra Italia e Libia era in atto una collaborazione militare1, che, pur ritenuta da taluni esponenti della diplomazia italiana poco opportuna in quel momento, veniva invece sostenuta dal Presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, e motivata «nel quadro di una strategia di contenimento della presenza sovietica»2, vale a dire con il solito anticomunismo buono per tutte le stagioni.
La Francia aveva invece allora in corso con la Libia di Gheddafi una durissima partita di alto valore strategico, la cui posta era il controllo francese dell’Africa centrale, in particolare del Ciad ricco di uranio: nel corso del complicato conflitto, la Francia tentò più volte il rovesciamento e l’eliminazione fisica del capo di Stato libico. La classica goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso per i Francesi, potrebbe essere rappresentata dalla morte, in un “incidente”, di cui si attribuì la responsabilità a Gheddafi, di un personaggio chiave delle numerose e spesso rischiose attività francesi in Africa: il direttore della sezione Africa dell’Eliseo, noto anche come Monsieur Afrique, René Journiac, vittima, il 6 febbraio 1980, di un’inspiegabile esplosione, poco prima dell’atterraggio, dell’aereo su cui volava nel Camerun settentrionale.
I tentativi di rovesciamento violento, già intrapresi dalla Francia (nel febbraio 1979, in una collaborazione franco-egiziana; il 1° settembre 1979, con un attentato a Bengasi contro Gheddafi), non si sarebbero arrestati nemmeno dopo la fallita intercettazione aerea del 27 giugno 1980 nel cielo di Ustica. Il 5 agosto 1980 infatti una brigata dell’esercito libico tentò senza successo un colpo di stato militare contro Gheddafi, organizzato dal gen. Alain Gaigneron de Marolles, dimessosi subito dopo dallo SDECE proprio in conseguenza di questo fallimento, e immediatamente promosso generale di brigata.
Questi dettagli sono ulteriori conferme della propensione francese, in quella lontana primavera del 1980, ad impiegare la forza: il che spiega perché il nostro vicino d’Oltralpe non poteva, allora come oggi, ammettere di avere voluto l’eliminazione di un capo di Stato nei cieli italiani in collaborazione con la NATO – soprattutto quando questo tentativo era fallito ed aveva invece provocato l’assassinio ingiustificato di 81 innocenti civili italiani.
Francia e Italia (2023)
Il fatto è che oggi noi con la Francia siamo legati a doppio filo, dopo lo storico Trattato del Quirinale, stipulato in circostanze piuttosto anomale nel novembre 2021, del quale Gaetano Colonna si è occupato con precisione su clarissa.it:
«Un trattato – scriveva Colonna – che include anche una specifica collaborazione in campo militare (art. 2) e spaziale (art. 7). Aspetti entrambi importanti dal momento che, fra l’altro, l’articolo 2 prevede l’impegno reciproco a «facilitare il transito e lo stazionamento delle forze armate dell’altra Parte sul proprio territorio»: un punto che logicamente è di maggiore rilievo per le operazioni che le forze armate francesi svolgono da anni in Africa Settentrionale, Sahel e Corno d’Africa, rispetto all’inverso – non vedendosi a che servano spostamenti di truppe italiane in Francia!»
Le Forze Armate italiane sono oggi tenute quindi ad una stretta collaborazione con gli omologhi francesi, in una posizione certamente subordinata, non fosse altro che per il fatto che la proiezione strategica italiana verso l’Africa tocca i suoi minimi storici.
L’influenza italiana in Libia è di fatto stata cancellata dalle modalità con cui si giunse al rovesciamento del regime di Gheddafi, la cui tragica scomparsa ha determinato la polverizzazione del Paese nordafricano, ridotto oggi, come Iraq Siria Somalia e molti altri ancora, ad essere uno di quei failed States di cui la politica dell’interventismo occidentale ha popolato il mondo dopo il 2001.
Questa perdita di un ruolo nella sponda che abbiamo davanti alle nostre coste meridionali è la ragione più profonda dell’oramai evidente impossibilità per il nostro Paese di fermare i flussi migratori che da un’Africa nord e centro-occidentale, devastata da conflitti decennali, si riversano sul nostro Paese, senza che l’Italia riesca ad imporre una soluzione decisiva, continuando a lanciare appelli tanto retorici quanto inascoltati all’Europa.
Ustica e Bologna (1980)
Non facciamo ipotesi sulle ragioni che possono avere spinto il prof. Amato alle dichiarazioni che ha fatto. Non sappiamo se esse manifestino insofferenza per i comportamenti francesi nella partita africana o addirittura nei confronti del crescente condizionamento imposto dalla NATO alla politica estera dei singoli Paesi europei. Lo si capirà facilmente se il prof. Amato saprà far seguire fatti alle parole.
Ci sembra più urgente ed importante attirare l’attenzione dei nostri lettori su di un elemento essenziale: vale a dire il collegamento che esiste fra la strage di Ustica e quella di Bologna dell’agosto 1980.
Fu un esponente della classe dirigente della prima Repubblica, di rigorosissima osservanza atlantica, Giuseppe Zamberletti, nel 1980 sottosegretario agli Esteri, a proporre un collegamento fra i due terribili sanguinosi eventi: ma con l’intento, anch’esso evidentemente dettato dalla Ragion di Stato, di dare vita a quella pista araba per la strage di Bologna che ha validamente contribuito a depistare, se non i giudici, taluni cosiddetti storici.
Sappiamo oggi che la strage di Bologna ha avuto mandanti ed autori non nel mondo arabo ma nel nostro sventurato Paese. Tuttavia, anche la recentissima sentenza della Corte, che ha il merito di aver dato per la prima volta un volto ai mandanti, non è riuscita a fare altro che ripetere, sul movente della strage, i soliti stanchi ritornelli sui tentativi eversivi della destra neo-fascista, nonostante la presenza fra i mandanti del più alto livello di un uomo decorato per meriti resistenziali come Federico Umberto D’Amato, direttore per decenni dei servizi segreti del ministero degli Interni della Repubblica, a ragione considerato il padrino del Club di Berna, organismo di vertice delle polizie internazionali di dipendenza atlantica.
Solo la voce, sempre più autorevole in materia, e per questo sempre più contrastata, di Vincenzo Vinciguerra ha presentato, con dovizia di dettagli, le ragioni per cui vi è un nesso evidente fra i due fatti, per esempio proprio attraverso la ricostruzione di chi ha impedito la verità su Bologna e insieme coperto quella su Ustica. La strage di Bologna, dunque, sarebbe stato il fatto devastante che serviva ad impedire che si arrivasse a caldo, attraverso elementi fattuali in quel momento ancora facilmente reperibili, per esempio i famigerati tracciati radar dei velivoli in battaglia nel Mar Tirreno, a quella verità che il prof. Amato solo oggi ha voluto estrarre dal capiente cassetto della sua ricca memoria.
Continuando pazientemente a lavorare per la verità che meritano le vittime innocenti di queste stragi, avremo certo modo di capire presto se il prof. Amato vorrà condividere tutto quello che sa oppure se preferirà essere annoverato, come molti suoi predecessori oggi passati a miglior vita, fra i guardiani della memoria di questa Repubblica. Coloro cioè che hanno amministrato e amministrano verità e menzogna, spesso mescolandole, per difendere il loro potere.
Note:
- Appunto per l’Onorevole Ministro [Attilio Ruffini n.d.r.] da Franco Malfatti Segretario generale del ministero degli Affari esteri, 2 febbraio 1980, Fondo Consigliere diplomatico alla presidenza del Consiglio, Libia, ACS.↩
- Appunto da Berlinguer Consigliere diplomatico del Presidente del Consiglio dei Ministri a Franco Malfatti Segretario generale del ministero degli Affari esteri, 13 febbraio 1908, Fondo Consigliere diplomatico alla presidenza del Consiglio, Libia, ACS.↩
Fonte: https://clarissa.it/wp/2023/09/03/ustica-2023/.