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Tre tesi sulla decrescita e la politica futura

Alcuni spunti per quanti ancora sognano una fuoriuscita dignitosa da questa fase distruttiva del capitalismo finanziario. [Paolo Bartolini]

Tre tesi sulla decrescita e la politica futura
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10 Giugno 2013 - 15.27


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di Paolo Bartolini.

La recensione di Paolo Cacciari al bel libro di Mauro Bonaiuti “La grande transizione. Dal declino alla
società della decrescita”
mi ha suscitato molti pensieri  e riflessioni che meriterebbero un discorso
ampio e strutturato.  Ma per ora mi
accontento di esporre brevi tesi che lascino libero il lettore di farsi un’idea
generale sull’argomento trattato. Ecco dunque, in estrema sintesi, tre spunti
che potrebbero suscitare una qualche riflessione tra quanti ancora sognano una
fuoriuscita dignitosa da questa fase distruttiva del capitalismo finanziario:

1) 1) In Occidente – visto l’intreccio di crisi plurime che riguarda gli aspetti ambientali, economici, culturali, finanziari, energetici e materiali dell’attuale civiltà dell’accumulazione economica – non si dà alternativa vera al Sistema che non includa tra le sue coordinate la decrescita. È infatti improponibile il progetto di una società equa, solidale e sostenibile all’interno del modello dominante della crescita infinita.

2) Al momento è difficile individuare, a livello globale, un
qualsivoglia blocco sociale, anche
trasversale, che possa raccogliersi sotto le insegne della decrescita in nome
di una società radicalmente differente
da quella dei consumi
. Difatti in Europa e in America il rapido precipitare
del ceto medio verso nuove forme di povertà, fa sì che l’urgenza di questi anni
sia quella di rilanciare l’occupazione e di promuovere politiche transitorie neo-keynesiane per sostenere l’economia
reale; nei paesi emergenti, invece, la fase di crescita è ancora in corso (e lo
sarà probabilmente nel breve-medio periodo), dunque non è pensabile che
miliardi di persone rinuncino ai vantaggi relativi del loro recente sviluppo
per abbracciare il sogno di una decrescita serena. Chiederglielo, senza che gli
Stati Uniti e l’Europa diano per primi un segnale importante in questa direzione,
è semplicemente ipocrita se non addirittura immorale.

3) La decrescita, in
assenza di un preciso blocco sociale
che possa imporla tra le priorità
della politica, è destinata ancora a
lungo a rimanere
un’opzione etica
per una minoranza di persone. In
questo sta un limite notevole della proposta “decrescitista”, sebbene si
intraveda anche un lato positivo
della questione, che risulta positivo se inteso nel lungo periodo (essendo oggi
improponibile un capovolgimento dei rapporti di forza a livello planetario). L’aspetto
di luce che voglio sottolineare è quello che riguarda una indispensabile formazione umana dei cittadini. Partire
dall’individuo e da gruppi di individui uniti da un comune sentire etico mi
sembra l’unico antidoto possibile rispetto ai fallimenti dei grandi progetti
rivoluzionari del XX secolo. 

In particolare è bene ricordare che l’errore
principale del comunismo storico era già contenuto nella premessa marxiana
secondo la quale la classe proletaria avrebbe sovvertito le logiche del capitale
perché questo era scritto nello sviluppo produttivo e organizzativo del sistema
stesso. La pretesa di una critica “scientifica” dell’economia politica, si
tradusse insomma nell’idea che economia e politica potessero da sole sfuggire
al feticismo della merce e del denaro, liberando l’umanità mediante la prassi rivoluzionaria. Purtroppo, e la Storia ce lo ha insegnato
dolorosamente, uomini che sono nati e cresciuti nella rete di questo feticismo
non possono certo sperare, in assenza di un profondo mutamento interiore, di
uscire indenni dall’illusione che li tiene prigionieri e modificare lo stato di
cose presente.        

Al contrario, come ha mostrato a sufficienza la parabola
discendente sovietica, essi tendono ad approfondire e ad estendere il disagio
fino ai recessi più profondi dell’anima. Ciò che è mancato, in altre parole, fu
ed è ancora la comprensione di un fatto ormai evidente: se l’uomo vuole trasformare il mondo che lo circonda, deve prima
(ma anche “nel mentre” e “dopo”)
trasformare se stesso

Ecco perché la decrescita, non potendo ancora contare
su blocchi sociali definiti che ne assumano lo spirito traducendola in azioni
politiche concrete, va vista per quello che è: una pratica di vita (non
l’unica) orientata al ben-vivere e
alle formazione del carattere
dell’individuo
. Il compito essenzialmente educativo e formativo della
decrescita non sminuisce affatto l’importanza di congiunte azioni politiche
volte a promuovere, attraverso leggi specifiche, piani inediti di riconversione
ecologica e di risparmio energetico.

Inutile contare i minuti e gli anni alla ricerca di un
riferimento temporale preciso. Utilizziamo un riferimento logico, più che
cronologico: è una priorità per qualsiasi impegno politico che si voglia
illuminato e saggio.

Possiamo certo dire che questo lavoro è immane e richiederà molto tempo. Noi purtroppo ne abbiamo
poco. Ma in questo paradosso dobbiamo imparare a stare. Vie facili non si
scorgono all’orizzonte.

Per concludere, e con lo speranza di riuscire a dare una
forma unitaria ai concetti troppo rapidamente espressi nelle tre tesi appena
esposte, mi sento di affermare che la decrescita
è essenziale per iniziare a immaginare un congedo
dallo sviluppo insensato del capitalismo contemporaneo
, ma per qualche
tempo ancora la decrescita non potrà contare su forze sufficienti che la
pongano al centro di un progetto politico, in questo caso un progetto di
cambiamento radicale. Tuttavia le buone
pratiche
che fioriscono fra chi si richiama alla decrescita sono un esempio
importante di come la formazione etica degli individui possa generare nuova
consapevolezza e, di conseguenza, preparare la politica di domani trasformando
dall’interno gli uomini che vorranno prenderne parte.

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