“‘Tis the time’s plague when madmen lead the blind.â€.
William Shakespeare, King Lear (Atto IV°, scena prima)
di Pierluigi Fagan.
Le opinioni ed il dibattito su quel composito mondo di stimoli ed idee che cade sotto il termine –decrescita-, parte da un assunto. Questo assunto risale al momento nel quale questo termine ed il successivo movimento di idee che lo seguì, nacque.
Nei primissimi anni ’70, accaddero quattro fatti:
1) Uscì The Entropy Law and the Economic Process di Georgescu Roegen (1971);
2) Uscì il Rapporto del Club of Rome curato degli studiosi del M.I.T. (1972);
3) L’allora presidente degli Stati Uniti d’America Richard Nixon comunicò la sera di un 15 Agosto (1971), ad un mondo distratto ed in vacanza, che non valeva più la precedente architettura di patti e trattati economico-monetari stipulati nel 1944 (Bretton Woods) e che dall’indomani, gli USA avrebbero stampato dollari decidendo liberamente il quando ed il quanto. Si trattava del fiat money, una specie di creazionismo sul modello vetero-testamentario. Lì Dio diceva “Luce!†e la luce fu, qui il presidente diceva “Dollaro!†e dollari furono. Tanti. Prima esisteva un restrittivo ilomorfismo per il quale va bene la forma, ma c’era anche bisogno della materia per cui per stampare 100 dollari erano necessari 100 dollari di oro nei forzieri di Fort Knox. Dopo l’invenzione ferragostana invece si passava alla metafisica del valore, si diceva denaro e compariva denaro, si diceva ricchezza e -oplà -, ecco la ricchezza.
Per pura coincidenza, nel 1971 apre anche la slot machine di ogni futura speranza di crescita dell’economia post-industriale:
4) il NASDAQ.
Sembra dunque che le presa di coscienza dell’impossibilità della crescita infinita non sia stata solo in coloro che paventavano il collasso ecologico-sistemico, ma anche in coloro che il collasso economico-sistemico già lo vedevano in atto e non per motivi ecologici ma per impossibilità strutturale di continuare a produrre crescita economica tradizionale, a partire dagli USA.
Quando questo precario sistema-tampone ebbe un primo collasso, prima si accusarono gli avidi, poi si invocarono le regole che per altro erano state scientemente abrogate dagli stessi invocanti. Poi si teorizzò che esistesse una teoria economica-monetaria responsabile ideologico del misfatto: il neoliberismo. Ancora oggi l’Fmi si affanna a dare consigli sulle modifiche strutturali necessarie a riprodurre le condizioni necessarie per nuovi miracoli, le economie post moderne riscoprono il valore industriale ormai perduto in favore degli emergenti, rialzano la testa i keynesiani ed un francese (Thomas Piketty) diventa best seller del ranking librario del NYT con le sue 696 pagine di argomentazioni contro l’ineguaglianza che destabilizza l’intero sistema. Ma tutti sembrano eludere il fatto.
Il fatto è che le economie occidentali non crescono più.
Sopratutto decresce la classe media occidentale e cresce quella del resto del mondo. Tutto ciò che cresce, in Occidente, lo fa in virtù di denaro inventato dal nulla che non chiude più il suo ciclo di esistenza e quindi non richiedendosi il corrispettivo valore reale presente che ne estingue a materializza la promessa, rimane magicamente sospeso nella realtà , partecipando di questa e per emanazione, diventa “come se fosse realeâ€. Ma non lo è.
In Occidente, tra le altre cose, decresce anche la popolazione o meglio è cresciuta a ritmi davvero miseri e solo per merito dell’Europa dell’est.
Il progressivo invecchiamento delle popolazioni occidentali con decremento delle nascite (transizione demografica), oltre a sbilanciare i conti delle assistenze (sanitarie e sociali), intasa il ricambio generazionale nell’occupazione e quindi fa crescere la disoccupazione giovanile.
La decrescita delle economie occidentali, significa anche la perdita di leadership, peso e controllo generale dei processi su scala mondiale il che retroagirà in maniera ulteriormente negativa sulle stesse condizioni della crescita. Il ruolo degli USA e degli occidentali in genere, del dollaro, del WTO, dell’Fmi, della World Bank sono destinati a relativizzarsi e/o a veder ridimensionato decisa-mente il controllo totale ed esclusivo che storicamente gli occidentali vi hanno esercitato. Da ciò la perdita di possibilità di beneficiare di vaste posizioni di rendita e di favore nello sviluppo delle strategie, fatti che nulla hanno che fare con la reale competitività delle economie nazionali che si mostrerà sempre più per quella che è.
Quanto più basse sarebbero state le medie decennali degli ’80-’90-’10, senza l’anfetamina banco-finanziaria?
In economia, le teorie sulla crescita (Solow-Swan, Romer-Lucas, Galor) hanno sempre sfarfallato intorno al punto ed il punto era che la popolazione occidentale, dalla metà del XIX° secolo, era costantemente cresciuta a ritmi geometrici, ceteris paribus (come piace ai dotti di quella presunta scienza che è l’economics.
Una moderata ma ben lucida accusa all’economics di essere una pseudoscienza, la si trova qui sul Scientific American), aumentando il numero di produttori-consumatori, certo che cresceva il prodotto lordo. L’innovazione è un concetto assai generico per fondarci sopra una spiegazione efficiente della crescita, l’elettricità fu una innovazione senz’altro motore di crescita, la stampante laser con cui stamparsi una automobile 3D standosene seduti a casa non porta a comprare più automobili ed oltretutto crea diversi disoccupati nella precedente catena distributiva.
Anche le feste più belle finiscono e quelle lunghe duecento anni, sono anche assai rare. Se togliamo il dollaro metafisico e l’Oktoberfest della finanza degli ultimi quaranta anni, se togliamo la crescita dei Trenta gloriosi determinata dalla ricostruzione dell’immane distruzione bellica, se togliamo la lunga depressione, la breve euforia della Belle Époque strettamente allacciata ad un Primo conflitto mondiale, ad un Impero che copriva il 25% del globo terracqueo ed ad una costellazione di colonie con le quali l’Occidente dominava l’intero pianeta, ci si può domandare: cosa sarebbe stato il nostro celebrato modo economico, cosa avrebbe prodotto in termini di ordine sociale e qualità di vita al netto di queste variabili?
La decrescita dei nostri volumi economici non è una scelta, una opzione razionale e di buon senso, un moto di sensibilità verso Madre Natura che dobbiamo preservare dalla perversa condizione S/M alla F. Bacon (La natura è una prostituta; noi dobbiamo domarla, penetrare i suoi segreti e incatenarla secondo i nostri desideri).
L’alternativa, ovvero la scelta tra due opzioni, si pone solo tra il subirla mantenendo società ed economia nelle forme che richiedono una crescita ipotetica che non ci sarà e quindi subire la contrazione sistemica con tutto il doloroso portato di prolungato collasso sociale o trasformare radicalmente economia, società e loro reciproci rapporti, dandoci la possibilità di trovare un nuovo modo di stare al mondo. Questa è la nostra precisa condizione attuale e futura. Si tratta solo di riconoscerla ed adeguarsi in uno sforzo adattativo che dimentichi due secoli che sono ahinoi passati non solo cronologicamente, ma anche concettualmente.
da: zeitpunkt.ch
E’ ora di svegliarci dal lungo sonno dogmatico. E’ ora di rivolgerci con sano e deciso tono realistico ad economisti e politici, tanto mainstream, che critici[1] e dir loro di piantarla di parlare del caro estinto, di allagare il mondo con cascate di ricette senza senso su meno stato, più mercato, meno o più controlli, moneta così o moneta cosà , risveglio industriale ed altri impossibili Viagra per propiziare una disperata, ennesima, erezione economica.
Non siamo noi a dover sostenere il picco di Hubbert o ai dimostrare il cambiamento climatico, non siamo noi a dover mostrare le foto satellitari sul restringimento dei ghiacci o a dover commuovere con le foto di terrorizzati orsi bianchi che si lasciano affogare. Dovremmo forse cambiare atteggiamento ed imporre nel dibattito l’urgenza realista di rispondere alla domanda: come ci si adatta ad una società che è già da tempo in vistosa e progressiva decrescita economica? Segnalando a gli utilitaristi che anche tempo utile per le risposte decresce vistosamente e che ai fallimenti adattativi, conseguono le estinzioni di massa.
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[1] Segnalo questo articolo di M. Badiale che giustamente tenta di dar la sveglia al moribondo mondo del pensiero marxisteggiante. I marxisti sembrano essere ontologicamente accoppiati al capitalismo ed alla Rivoluzione industriale. Per loro il problema è solo il capitale, la stesso modello economico ma non guidato dal capitale, andrebbe benissimo. Siamo ancora al potere dei soviet più l’elettrificazione. La loro mentalità rimane nostalgicamente aggrappata ai fasti ottocenteschi e sono rimasti gli ultimi a reclamare “più lavoroâ€, “più industriaâ€, “più produzioneâ€, come se questa fosse ancora e per sempre possibile. Sebbene di un’altra chiesa, essi non differiscono poi di molto da i più canonici adoratori del culto del cargo.