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Arte e decrescita, uno sguardo etnografico

'L''arte può rivoluzionare, ''sovvertire'' l''immaginario collettivo in favore di simboli legati a valori di comunitarismo, solidarietà e reciprocità'

Arte e decrescita, uno sguardo etnografico
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13 Giugno 2015 - 20.41


ATF

di
Dafni Ruscetta
.

Ripropongo
parte del mio intervento al seminario “Arte
e Decrescita
”
, svoltosi a Firenze dal 29 al 31 maggio in
un”atmosfera di condivisione e convivialità davvero unica. Due
giorni di grandi spunti, ottimismo e speranze per il futuro, in una
cornice naturalistica favolosa.

Il
titolo di questo contributo non è casuale, “uno sguardo
etnografico” indica la necessità di un approccio metodologico in
grado di entrare in profondità nelle dinamiche sociali, culturali e
psicologiche della società. Ed è proprio ciò che l”arte dovrebbe
fare per rivoluzionare, ”sovvertire” e ricolonizzare l”immaginario
collettivo in favore di simboli nuovi, legati a valori di
comunitarismo, solidarietà e reciprocità, con uno sguardo anche
alla tradizione e al passato.

Gran
parte del lavoro di questi anni sul territorio, spesso un impegno di
”semina” silenzioso ma che comincia a dare anche qualche buon frutto,
è stato realizzato all”interno della cornice della decrescita, di
cui Maurizio Pallante è instancabile ispiratore e filosofo.

Molti
di noi hanno lavorato e collaborato per la diffusione di nuovi stili
di vita, per una visione del mondo rinnovata e ispiratrice di un
reale cambiamento delle coscienze, ancor prima che di comportamenti e
abitudini. Il nucleo di questa condivisione sarebbe pertanto un nuovo
paradigma culturale, un rinnovato sistema di valori rispetto a quelli
a cui le società occidentali sono state ”plasmate” dal capitalismo e
dal neoliberismo negli ultimi decenni. Chi si sia avvicinato alle
scienze sociali nel proprio percorso di esperienze o di formazione sa
che stiamo parlando di un profondo cambiamento a livello non solo
sociale, ma anzitutto individuale e antropologico. Lo sguardo
etnografico appunto, che spesso è in grado di cogliere – per via dei
suoi fondamenti metodologici – un”osservazione partecipante su
aspetti molto complessi dei meccanismi di funzionamento delle società
moderne, può rivelarsi uno strumento di indagine e di analisi per
comprendere e affrontare queste nuove esigenze dell”umanità.
Partendo dalla consapevolezza che la ”cultura” non può essere intesa
solo in senso di intrattenimento, di folclore o di erudizione (tanto
meno se di stampo accademico o scientifico) e nemmeno in senso
identitario regionale o nazionale, l”etnografia può diventare il
”metodo” con cui l”arte può tentare di insediare il seme di una
nuova coscienza individuale – il paradigma culturale appunto – nelle
società occidentali, ormai ”drogate” dai falsi miti di una crescita
economica infinita di cui sempre più si osservano le dannose
conseguenze. La cultura intesa come qualcosa che ”eleva”, come
condivisione di aspetti molto più generali dell”esistenza umana,
perché in fondo le esigenze sostanziali degli uomini e delle donne
di ogni parte del globo sono le stesse. Ciò che cambia sono le
risposte a quei bisogni.

Per
ottenere un tale obiettivo nel lungo periodo – sebbene comincino a
comparire già i primi frutti dopo anni di impegno da parte di
ridotte minoranze – occorre un grande lavorio a livello educativo
dalle fondamenta della società, anche grazie ad espressioni
culturali come il campo artistico appunto. L”educazione, peraltro,
non può più essere intesa solo in senso logico-razionale, ma deve
tornare a investire anche altre sfere del vivere e dell”agire umano:
ad esempio la coscienza e conoscenza di sé, base filosofica di molte
scuole antiche di Oriente e di Occidente, forse il ponte tra civiltà
e culture che ancor oggi faticano a comprendersi e a collaborare per
lo sviluppo armonico dell”umanità.

Le
premesse del mondo che vedremo e che vedranno i nostri figli
dipendono dalle scelte che stiamo facendo oggi. E’ giunto il
momento di ripensare modelli nuovi e alternativi, stili di vita
sostenibili e coerenti con le risorse di cui disponiamo, partendo da
questioni cruciali come l’equità sociale e i diritti, il
territorio e l”ambiente.

Da
qui occorre ripartire per ricostruire una nuova civiltà, un nuovo
”Rinascimento”, di cui l”arte deve essere una delle principali
espressioni. Un nuovo modo di stare al mondo che permetta a tutti,
seppur con inevitabili gradi di differenziazione, di avere accesso a
un minimo di dignità di vita e di integrazione con un ambiente con
cui crescere come individui.

Tutto
il resto non può prescindere da questa rinascita, tutte le tematiche
dell”identità culturale, tutte le narrazioni su cui abbiamo
costruito la nostra attuale visione del mondo – tra cui quella
della crescita economico-produttiva infinita – non dovrebbero più
risultare prioritarie nelle politiche nazionali o regionali, e
nemmeno nei luoghi di cultura quali le università. La priorità sta,
piuttosto, nella possibilità di ogni individuo di costruire il
proprio futuro in maniera consapevole su basi di uguaglianza, che è
la premessa fondamentale per valori quali la solidarietà, il
comunitarismo e la reciprocità, su cui occorre fondare un nuovo
paradigma.

Tutto
questo si traduce con la necessità, addirittura l”urgenza, di
recuperare (o reinventarsi) un ”ordine simbolico” per le nostre
società, dei simboli ”sacri” che uniscano il collettivo attraverso
l”immaginario. “La concezione simbolica della realtà è quella che
della realtà tiene insieme ogni aspetto…Per sua intima natura –
lo racconta la stessa parola – simbolo è ciò che tiene insieme,
unisce…


I simboli uniscono e mettono in comunicazione i piani della
realtà: sono finestra e ponte…permettono di accedere al mondo
visibile”
1.

Da
un punto di vista pratico il cambiamento si realizza con le singole e
personali azioni quotidiane. Ce lo insegnano tanti individui, uomini
e donne, che hanno fatto scelte di vita diverse, che hanno
consapevolmente indirizzato la propria esistenza verso situazioni
forse meno ‘comode’ e meno evidenti, ma certamente più
incoraggianti in termini di salvaguardia della vita su questo
pianeta. Queste azioni dovrebbero esortare tutti i cittadini ad
adattarsi a stili di vita più sobri e umani, riscoprendo abitudini,
savoir
faire
,
e comportamenti di una volta, improntati a un rapporto con
l’ambiente, a ritmi e a relazioni umane più semplici e naturali.
Non è nemmeno questa la sede per respingere i luoghi comuni e la
critica secondo cui, in questo modo, si vorrebbe riportare l’umanità
a condizioni di sottosviluppo, a sistemi di vita e di lavoro
”retrogradi”. Questa è solo la visione ‘infantile’ e sbrigativa
da parte di chi si ostina a limitare la diffusione di un simile
modello, per lo più per scopi ‘politici’ e interessi personali.

Affidare
la responsabilità esternamente, ad altri (politica, istituzioni,
attori economici etc.), è facile ma non risolutivo, soprattutto nel
lungo periodo. E” responsabilità di ognuno di noi, dei singoli
cittadini, degli individui, non della classe politica. Occorre semmai
orientare le proprie azioni verso pratiche e abitudini di vita
diverse, ”guidando” il cambiamento attraverso l”esempio quotidiano.

E
non è nemmeno un caso se un personaggio del nostro tempo – penso a
Papa Francesco – incoraggi costantemente al rispetto e alla
riscoperta proprio di quei valori nella nostra società, nel nostro
essere individui prima ancora che collettività. E’ questo ciò di
cui abbiamo bisogno, dei nuovi punti di riferimento, di grandi
esempi, di un nuovo paradigma attorno a cui far ruotare le singole
scelte quotidiane. E a proposito di Papa Francesco, mi viene in mente
il racconto di un altro grande gesuita, Anthony De Mello, il quale
diceva: “V
olete
cambiare il mondo? Che ne dite di cominciare da voi stessi? Che ne
dite di venire trasformati per primi?”

Certo,
è facile parlare e dipingere scenari, teorie, nuove visioni
filosofiche che rischiano di diventare poi nuovi ”dogmi”. E” un
rischio che occorre mettere in conto e da cui è necessario tentare
di svincolarsi, magari approntando opportune misure contro ogni sorta
di patologica dipendenza ideologica. Senza interferenze o giudizio di
parte, appunto.

E
l”arte ha il dovere, nuovamente, di riprendere coscienza della
propria funzione sociale e culturale, restituendo al mondo un nuovo
sguardo, dall”alto, sull”umanità in tutti i suoi aspetti, senza
giudizi apparenti o pretese di moralità. Semmai attraverso una
concezione simbolica della realtà, “un tempo dove non si conosce
separazione tra corpo e anima, tra cosa è materiale e cosa è
spirituale, tra profano e sacro, tra cosa è visibile e cosa è oltre
il visibile”
2.



NOTE

1 Massimo
Angelini, Participio Futuro, Edizioni Pentàgora.

2 Massimo
Angelini, cit.

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