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di Stefano Sanna.
Si è già scritto parecchio, e da diversi punti di vista, sul film di Checco Zalone “QUO VADO?†C’è chi lo accusa di essere pro governativo e chi contro. Il Corriere della Sera definisce il film come ”rottamatore” del posto fisso, il Fatto Quotidiano lo stronca perché attacca donne, neri e portatori di handicap.
Io credo che un film di indiscusso successo meriti qualche ulteriore considerazione, anche in chiave economica: non si può restare indifferenti di fronte alle parole della canzone finale del film, laddove si parla del debito pubblico come “fardello” lasciato ai nipoti e dei tanti vizi e delle inesistenti virtù dell’Italia della Prima Repubblica.
Il film gioca sui luoghi comuni a ludibrio del posto fisso statale, alla cui difesa il protagonista combatte una tenace battaglia contro il tecnico incaricato direttamente dal Ministro. Il quale, in pieno clima di spending review, vuole dar prova di saper snellire ed “efficientare” la Pubblica Amministrazione.
Un ragazzo che guarda il film potrebbe farsi un’idea dell’Italia che non combacia con la realtà .
È vero che il posto fisso statale in Italia è stato utilizzato anche come ammortizzatore sociale, per assorbire una parte della disoccupazione prodotta da un sistema industriale che – per crescere in produttività – ha ridotto l’occupazione, invece di aumentare la domanda aggregata con deficit produttivi.
È vero anche che la produttività (di cui è bene capire meglio cosa rappresenti) nel caso dell’impiegato Zalone non era di sicuro la massima possibile.
Eppure quell’Italia, a dispetto delle sue inefficienze, era comunque la quinta potenza industriale al mondo. Saranno pur esistiti i paraplegici che danzavano, come dice la canzone, e che ricevevano comunque i sussidi, ma oggi un vero paraplegico rischia di chiedere l’elemosina per poter vivere.
Il protagonista dell film fa ricorso a tanti espedienti per tenersi stretto il posto fisso, alcuni legittimi (come l’aspettativa) altri meno (simulare una malattia), ma sono strumenti che fanno parte di un welfare conquistato con dure lotte dai nostri padri, in grado di garantire al lavoratore onesto la tutela del proprio lavoro. La ridicolizzazione di questi istituti nel film può creare nel pubblico un clima favorevole alla loro riduzione (se non eliminazione) perché può assecondare l’idea che “se ci sono persone che abusano di questi strumenti allora lo strumento è sbagliato e va eliminato”.
Infine merita una considerazione anche il sindaco mafioso che, non avendo più i tanti soldi da elargire tramite il consenso, mostra tutta la sua crudeltà nel tagliare i fondi delle attività sociali in un Sud già impoverito.
Sicuramente – penso sia stato fatto senza volerlo – si mostra come in questa situazione di austerità il sindaco mafioso diventi a sua volta il “picciotto†di uno Stato mandante con le stesse criminali e insaziabili finalità della mafia.
Quando Zalone entra in quel terreno che non sa essere della macroeconomia, risulta di sicuro pesantemente impreparato o malconsigliato. La sua arguzia comica funziona in termini di successo al botteghino, ma rischia di allinearsi alla più banale campagna liberista, alla quale si aggiunge come ennesimo cantore, fra gli applausi. È giusto ridere dei vizi di un Paese sapendo, però, che questa volta le risate sono solo “di pancia†e non “di testaâ€.
Infine, è sempre il caso di ricordarsi che 8,5 euro di biglietto non potrà mai pagarli un disoccupato, mentre è probabilissimo lo possa fare chi ha un posto fisso.
Per qualunque Stato a moneta sovrana è sempre meglio un posto fisso poco produttivo che un disoccupato. È la macroeconomia.
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