di Luca Serafini.
Mentre il rituale ormai svuotato di significati e concretezza delle COP (Conferenza delle Nazioni Unite sul clima) si ripete ogni anno, con la proclamazione di obiettivi altisonanti quanto generici, nel 2023 gli USA hanno pompato più petrolio di qualsiasi altro Paese nella storia.
«L’America è di nuovo prima al mondo nella lotta contro il cambiamento climatico», aveva dichiarato lo scorso ottobre il Presidente americano Joe Biden, annunciando 300 nuovi progetti per la produzione di energia pulita.
Ma, nel frattempo, nel 2023 l’America è diventata prima al mondo in un’altra cosa: la produzione di petrolio. Quest’anno gli Stati Uniti hanno prodotto milioni di barili di petrolio in più di quanto abbiano mai fatto la Russia o l’Arabia Saudita, raggiungendo da soli quasi un quinto della produzione petrolifera totale del mondo.
L’aumento della produzione di combustibili fossili in America non faceva parte del programma elettorale del presidente democratico, ed anche su questo tema si è svolta la battaglia all’ultimo voto con Donald Trump.
Cosa è cambiato, allora?
La guerra in Ucraina ha fatto impennare i prezzi mondiali del fondamentale combustibile fossile. Per combattere l’inflazione indotta da questo aumento, l’amministrazione Biden ha iniziato a utilizzare tutti gli strumenti pur di riportare i prezzi sotto controllo, compreso un aumento dell’offerta.
Ha immesso sul mercato 180 milioni di barili dalla riserva petrolifera strategica della nazione; ha alleggerito l’applicazione delle sanzioni contro Venezuela e Iran: ed ha fatto pressione sulle compagnie nazionali per aumentare la produzione, promettendo di acquistare petrolio dai produttori se il prezzo dovesse scendere al di sotto di un certo livello.
Il favore degli elettori americani
I sondaggi mostrano che gli elettori sono stati favorevoli all’aumento della produzione nazionale di combustibili fossili, con un margine di quasi due a uno. La battaglia politica sull’energia a buon mercato potrebbe, quindi, fare la differenza alle prossime elezioni presidenziali.
Per questo, il sostegno dell’amministrazione statunitense alla produzione di petrolio nazionale sembra essere una tattica temporanea per prendere tempo ed evitare, in vista prossime elezioni presidenziali statunitensi, che succeda come in Europa, dove l’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia ha già scatenato una reazione populista contro i processi di decarbonizzazione.
2023 da record per petrolio e gas
Secondo i dati dell’Energy Information Administration (EIA), all’inizio di dicembre la produzione ha raggiunto i 13,3 milioni di barili di greggio al giorno. Questo tasso di produzione è superiore al record raggiunto nel marzo 2020, con Donald Trump alla presidenza Usa.
Quest’anno saranno battuti i record anche per quanto riguarda la produzione di gas, con un’abbondanza di nuovi terminali di esportazione sulla costa del Golfo del Messico che faciliteranno un boom delle esportazioni statunitensi di gas naturale liquefatto (o GNL), destinate a raddoppiare nei prossimi quattro anni: un’arma energetica fondamentale per sostituire in Europa il gas russo – legando così ancora di più energeticamente il Vecchio Continente agli Usa.
Con questa sovrabbondanza di produzione, e grazie alle crescenti tensioni geopolitiche, le esportazioni di petrolio degli Stati Uniti si stanno avvicinando alla produzione totale dei principali operatori mondiali, come Russia e Arabia Saudita.
È interessante notare che il governo statunitense prevede che questa intensità di attività di produzione di petrolio e del gas continuerà a livelli quasi record fino al 2050, proprio la data in cui, secondo gli scienziati, le emissioni di gas climalteranti dovrebbero essere azzerate, per evitare conseguenze climatiche catastrofiche.
Fonte: https://clarissa.it/wp/2023/12/31/la-ri-carbonizzazione-degli-stati-uniti/.