‘
di Leo Sisti.
New York, domenica 2 maggio, ore 10. Il giudice spagnolo Baltasar Garzón sorseggia un cappuccino al bar del Cooper Square Hotel, nei pressi del Greenwich Village.
Per lui la conferenza indetta dalla New York University sui nuovi scenari del terrorismo islamico si è appena conclusa. Deve rientrare a Madrid. Lo attenderanno i dodici giorni più brutti della sua storia di magistrato inflessibile per le sue storiche inchieste: Eta, Pinochet, Bin Laden. Non è allegro.
Teme quella decisione che verrà poi presa il 14 maggio dal Consejo General del Poder Judicial, il Csm spagnolo, per aver “osato” indagare sui crimini del franchismo: una sospensione temporanea dal suo incarico, per abuso di potere. Vicino a lui altri due giudici, Fernando Andreu Melleres e Dolores Delgado Garcia, anch”essi appartenenti alla Audiencia Nacional, l”alta corte spagnola competente su tutto il territorio per terrorismo, criminalità organizzata e altro. Chiedo a Garzón: “Dietro le sue grane giudiziarie non ci saranno gli americani?”.
Già , perché proprio nel 2009, ma anche in precedenza, ai seminari della Nyu organizzati a Firenze, Garzón si era scagliato contro il “sistema” Guantanamo, niente processi per anni per i suoi detenuti, presunti terroristi. Ripete: “Gli americani, Guantanamo”. Idea non sballata, forse: lui non la smentisce, ma non può né vuole dare interviste. Al suo posto parla Fernando Andreu. “Tutto è iniziato nella primavera del 2009 – dice – quando a Garzón viene impedito di continuare a indagare sui delitti dell”epoca di Franco”. L”ipotesi? Genocidio.
Toccare questo tasto vuol dire toccare il nervo scoperto della Spagna: ovvero, il provvedimento sull”amnistia varato nel 1977 per chiudere con la guerra civile. Insomma, un vero salvacondotto, al quale le associazioni vittime del regime franchista si sono opposte chiedendo, con 22 denunce, di dissotterrare le fosse di quel passato. Ad ogni modo Garzón deve rinunciare: la competenza è dei singoli tribunali delle località dove i fatti sono avvenuti. Poi, in rapida successione, avvengono altri episodi, esposti giudiziari contro Garzon. Accade a primavera dell”anno scorso, quando scoppiano altre due vicende: il “caso Gurtel” e quello dei finanziamenti della Nyu.
Il primo è lo scandalo legato a tangenti che coinvolgono il Partido Popular di Mariano Rajoy, deputati nazionali e consiglieri regionali. Garzón ordina di intercettare i colloqui in carcere tra un imprenditore e il suo avvocato. Immediata la reazione: quel comportamento è fuori legge. E parte la denuncia. Difesa di Garzón: c”era il sospetto che, all”ombra di quelle conversazioni si commettessero reati, in particolare che si impedisse di rintracciare milioni di euro nascosti all”estero. “Las escuchas”, le intercettazioni, per il giudice Andreu , quindi, si potevano fare: “È solo la vendetta del Partido Popular.
É da qui che cominciano gli attacchi feroci di partiti politici e di certa stampa”. Infine il caso della New York University. Qui, nel 2005-2006, Garzón ha tenuto dei corsi come “lecturer”, denunciandone gli introiti al fisco. L”accusa: aver archiviato una denuncia di due avvocati spagnoli contro Emilio Botin, presidente del Banco Santander, erede dell”impero fallito del Banesto. Cioè quel Santander che ha finanziato la Nyu. Conflitto d”interessi? Non poteva, Garzón, astenersi? No, per il giudice Andreu: “C”era già stata la richiesta di archiviazione del pm.
E poi non esiste una causa di astensione: Baltasar non c”entra nulla con l”assegnazione dei fondi”. Che sono arrivati dal Santander alla Nyu su sollecitazione del re Juan Carlos. É comunque strano che le tre indagini su Garzón, in un primo tempo evaporate nel nulla, siano state in seguito riaperte dal Tribunal Supremo, la nostra Corte di cassazione, sulla base delle cosiddette “azioni popolari”, un istituto solo spagnolo.
Denunce che, per il giudice Andreu, “spesso infondate, sono un giocattolo, in grado di minacciare l”indipendenza dei magistrati”. Ora Garzón è sospeso, per la questione del franchismo. Su di lui pendono però le altre due inchieste. Se andasse male, sarebbe sospeso fino a 20 anni. Una carriera stroncata in mezzo a dubbi su chi ha manovrato.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano – 16 maggio 2010
Â
‘