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di Monica Centofante.
Hanno presentato ricorso al Tar contro la delibera della commissione ministeriale presieduta da Alfredo Mantovano che aveva bocciato il programma di protezione per il pentito Gaspare Spatuzza. Gli avvocati Valeria Maffei, Adriano Tolomeo e Sergio Luceri non si arrendono alla decisione del Viminale che il 15 giugno scorso aveva rifiutato l”inserimento del loro assistito nello speciale programma di protezione per i collaboratori di giustizia, nonostante il parere favorevole di ben tre procure. E oggi si rivolgono al Tar del Lazio, contestando punto per punto il provvedimento firmato dal”on. Mantovano, che aveva sostenuto la tardività nelle dichiarazioni del pentito.
Accusato di aver parlato del senatore Marcello Dell”Utri e del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi oltre i 180 giorni previsti dalla legge “per riferire fatti gravi o comunque indimenticabili”.
Tre i punti contestati nel ricorso dagli avvocati. E il primo riguarda proprio la presunta tardività delle dichiarazioni in riferimento alla cosiddetta trattativa in corso, negli anni caldi delle stragi, tra Giuseppe Graviano, Dell”Utri e Berlusconi. Nello specifico per quanto concerne il noto colloquio tra lo stesso Spatuzza e il boss Giuseppe Graviano all”interno del bar Doney di Via Veneto, a Roma, nel gennaio del 1994. Quando Graviano, euforico, al suo braccio destro avrebbe detto: grazie a Berlusconi “e c”era di mezzo un nostro compaesano, Dell”Utri” (“una persona vicinissima a noi”, “qualcosa di più di Berlusconi”) “ci siamo messi il Paese nelle mani”.
“Le dichiarazioni relative ai rapporti tra cosa nostra ed esponenti del mondo economico e politico” si legge oggi nel ricorso, sono “state fatte dal ricorrente in data 17 novembre 2008 innanzi al pubblico ministero di Caltanissetta e, quindi, all”interno dei 180 giorni dall”inizio della collaborazione, databile al 26 giugno” precedente. E ad ogni modo, prosegue il documento, le stesse non dovevano neppure essere rese nel termine di cui sopra, perché apprese dallo Spatuzza de relato (ovvero riferite da terze persone, nel caso specifico il Graviano) e per questo non sottoposte alla stessa legge.
Al secondo punto gli avvocati si appellano invece ai generali principi in materia di imparzialità dell”azione amministrativa che, dicono, sono stati violati dall”onorevole Mantovano.
In sostanza secondo i legali il presidente della Commissione si sarebbe dovuto astenere da ogni pronuncia poiché aveva già “bocciato” il collaboratore di giustizia “ben prima della formale conclusione del procedimento”. E soltanto in fede alla “ragion politica”. Niente da dire, infatti, si leggeva nel provvedimento del Viminale per le rivelazioni del pentito che avevano permesso la riapertura della strage di Via D”Amelio, ma quelle dichiarazioni su Berlusconi e Dell”Utri, le uniche contestate nel documento, a Mantovano non erano evidentemente andate giù.
Tanto che, sottolineano in ultimo i legali, la Commissione era giunta perfino a rifiutare al pentito l”accesso agli atti sulla base dei quali era stata pronunciata la “sentenza”.
“La deliberazione della commissione – si legge infatti nel ricorso – si sostanzia nella selezione e trascrizione di ampi stralci di atti e documenti (almeno in parte) sconosciuti al ricorrente”.
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Fonte: http://www.antimafiaduemila.com/content/view/30347/78/.
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