Sentenza della Corte sul Porcellum: crolla tutto

Si chiarisce come da 20 anni la legge elettorale sia in contrasto con la Costituzione. Ancora da chiarire la serie di problemi costituzionali che derivano [Aldo Giannuli].

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5 Dicembre 2013 - 15.46


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di Aldo Giannuli.

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Avrei voluto scrivere un pezzo
conclusivo della discussione sul Pd, ma il sopraggiungere della sentenza
della Corte Costituzionale sulla legge elettorale
mi impone di rinviare
alla prossima occasione ed occuparmi ora di questa faccenda le cui
implicazioni sono, forse, molto sottovalutate.  Al di là della
soddisfazione per l’esito della vicenda che, finalmente, chiarisce come
da venti anni la legge elettorale sia in contrasto con la Costituzione

(ho sempre detto che il referendum Segni-Occhetto del 1993 fu un colpo
di Stato mascherato), c’è il problema di chiarire la serie di problemi
costituzionali che ne derivano.

Va detto che la discussione avviene in
condizioni di conoscenza assai precaria dei sistemi elettorali
, anche da
parte di politici e giornalisti, che dicono castronerie incredibili: a
proposito, chi dice che il Porcellum è un sistema proporzionale “con
correzione maggioritaria”, è un somaro patentato, che non sa che questo è
un sistema maggioritario “con correzione proporzionale”, il che è molto
l’opposto.

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Partiamo da quello che ho appena detto
sull’incostituzionalità delle leggi elettorali sin dal Mattarellum. La
pronuncia della Corte Costituzionale, infatti, è originata da un ricorso
contro la legge elettorale attuale, ma stabilisce dei principi generali
che, ovviamente, valgono anche per altre leggi che abbiano i medesimi
caratteri. 

Leggeremo meglio le motivazioni della sentenza, ma già da
adesso giuristi come Gianluigi Pellegrino ritengono chiaramente
desumibili i principi di riferimento: il rifiuto di un premio di
maggioranza di entità tale da stravolgere il principio di rappresentanza
e l’impossibilità per l’elettore di scegliere gli eletti.

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Rilievi che possono benissimo essere
fatti alla precedente legge elettorale che, anzi era anche peggiore
. Il
sistema uninominale maggioritario stabilisce che un partito vince il
seggio in palio anche avendo un solo voto in più di ciascun altro e,
pertanto, se questo dovesse accadere in tutti i collegi, un solo partito
potrebbe aggiudicarsi la totalità dei seggi, anche con una quota
fortemente minoritaria di voti elettorali. Oppure, può determinarsi una
situazione per cui il partito con il minor numero di voti popolari
ottenga la maggioranza dei seggi (come è effettivamente accaduto in
alcune occasioni in Usa ed Uk).

Ovviamente, si tratta di ipotesi del
tutto teoriche o con scarsissime probabilità di verificarsi, ma non
impossibili; ma se si afferma un principio, occorre anche tener presenti
i casi limite che possano determinarsi. Certo, il Mattarellum attenuava
fortemente questo rischio, con una quota del 25% dei seggi distribuita
proporzionalmente con il meccanismo dello “scorporo” dei voti già
impiegati per conquistare i singoli collegi, ma resta l’ipotesi che, in
caso di frammentazione dell’offerta politica, un partito possa ottenere 
una forte quota di seggi con una percentuale troppo modesta di voti
popolari (poniamo il 54% dei seggi con il 29% dei voti popolari, che è
proprio quello che è successo a febbraio, dando il via a tutto quel che
ne è seguito in termini giuridico-costituzionali).

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Infatti, così come l’attuale sistema
maggioritario non ha impedito una conformazione dell’offerta elettorale
in tre poli e mezzo
(per usare la formula di Laakso e Taagepera: Centro
sinistra, Centro destra, M5s ed il “mezzo” polo del centro montiano),
allo stesso modo anche qualsiasi altro sistema maggioritario non
potrebbe garantire che si formi quel sistema bipartitico che è il
presupposto del buon funzionamento di un sistema di tipo maggioritario. 

Come diceva Giovanni Sartori: una legge maggioritaria può contribuire in modo
determinante a mantenere in vita un sistema politico bipartitico una
volta che si sia formato, ma non ha la forza, da sola, di determinarlo. 

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La conformazione del sistema politico, infatti, è solo in parte
determinata dalla legge elettorale, ma è il prodotto anche di una altra
serie di fattori ambientali come:

  –  la tradizione storica,

  –  la distribuzione territoriale del voto,

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  –  la conseguente presenza più o meno
accentuata di partiti locali o fortemente polarizzati con un nucleo
apprezzabile di “elettorato irriducibile”,

  –  la presenza di linee di frattura
multiple e non perfettamente sovrapponibili (ad esempio quella
sinistra-destra e quella di tipo confessionale) eccetera

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L’Italia è esattamente uno dei casi in
cui si manifestano tanto linee di frattura multiple e non
sovrapponibili
, quanto la presenza di aree elettorali irriducibili che,
in parte, sono confluite nella protesta del M5s. E, infatti, in nessuna
elezione dal 1994 in poi si è registrata una competizione bipartitica,
sia perché si è ricorsi al sistema delle coalizioni (per cui si parla di
“bipolarismo” e non di “bipartitismo”), sia perché le coalizioni non
sono mai state solo due e nessun contendente ha mai ottenuto il 50% dei
voti popolari.

Dunque, qualsiasi sistema maggioritario,
in un caso come quello italiano è condannato a scontare tassi piuttosto
elevati di disrappresentatività. Pertanto anche il Mattarellum (di cui
alcuni avrebbero voluto una infausta reviviscenza) presenta le criticità
di un sistema maggioritario in un ambiente elettorale di formato
multipolare.

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Ugualmente, il Mattarellum non prevede
il voto di preferenza: nella quota uninominale per definizione (essendo,
appunto, un collegio in cui ciascun partito presenta un solo
candidato), nella quota maggioritaria perché si trattava di liste
bloccate come nel Porcellum. E, dunque, chi pensa di uscirne con la
riedizione di un Mattarellum più o meno rivisitato, non capisce che sta
solo mettendo le premesse per un nuovo ricorso alla Corte e per una
nuova e più grave fase di delegittimazione del Parlamento.

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Ci sono poi una serie di conseguenze “a
ricaduta”
di non trascurabile peso. In primo luogo, se è vero che è
“incostituzionale la legge ma, per definizione, non lo è il Parlamento
eletto con essa”, questo non vuol dire che questa sentenza non abbia un
devastante impatto delegittimante sul Parlamento in carica. 

Come si può
pensare che un Parlamento frutto di una legge dichiarata
incostituzionale possa mettere mano alla riforma della Costituzione? 

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Dunque, prima conseguenza, sciogliamo questa pagliacciata di comitato
dei saggi
che non ha più ragion d’essere, e fermiamo questo processo di
revisione costituzionale
per più versi fuori dalle norme. 

Ma, di questo
dovrebbe prendere atto anche il Presidente della Repubblica che ha
fortemente voluto l’uno e l’altro facendone lo scopo qualificante del
suo mandato. 

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Lasciamo perdere  se sia possibile costituzionalmente che
un Presidente si muova in questo modo, come se fosse il capo di una
maggioranza parlamentare, ricordiamoci solo del fatto che più di una
volta il Presidente ha dichiarato che avrebbe terminato il suo mandato
nel momento in cui si fosse reso chiaro che quel processo di riforme
fosse risultato impossibile
. Bene: quel momento è arrivato e Napolitano
ne tragga le conseguenze
.

Nel frattempo, tuttavia, occorre
procedere anche a nuove elezioni perché è evidente che un Parlamento
delegittimato non può restare in carica più del tempo necessario ad
avere una legge elettorale funzionante. Il che significa che per ora
occorre solo un intervento minimo per rispettare le indicazioni della
Corte
: lasciare la legge Calderoli come è salvo il premio di maggioranza
e introdurre un brevissimo articolo che preveda il voto di preferenza.
Punto e basta. Si voti in primavera e il prossimo Parlamento provvederà
ad una riforma organica.

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C’è poi un’altra conseguenza che
potrebbe determinarsi in base all’interpretazione degli effetti della
sentenza: quando la Corte dichiara incostituzionale una norma, essa
cessa di avere qualsiasi effetto, tam quam non esset

Dunque, questo
Parlamento è stato formato attribuendo un premio di circa 200 seggi
(alla Camera) alla coalizione vincente. Premio ora dichiarato
incostituzionale
. Abbiamo detto che il Parlamento, anche se frutto di
una legge incostituzionale, non per questo è incostituzionale esso
stesso. Però c’è un problema da risolvere: il Parlamento è “perfetto”
quando l’elezione di ciascuno dei suoi membri sia stata convalidata
dalla giunta per le elezioni, cosa che normalmente avviene in circa un
anno, dopo che la giunta esamini caso per caso. Di solito è un atto
piuttosto formale, ma… c’è un ma: nel caso Berlusconi, per poter votare
sulla decadenza del Cavaliere a scrutinio palese, si è detto che non si
stava votando sulla sua decadenza, ma sulla sua eleggibilità
. Insomma,
la giunta ha ritenuto (e l’aula ha approvato) che il principio generale,
per cui è ineleggibile chi abbia avuto una condanna penale superiore a
due anni, fosse operante già al momento delle elezioni. 

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Ora, come farà
la giunta per le elezioni a convalidare la regolarità dell’elezione di
quei parlamentari “scattati” grazie ad un premio di maggioranza che non
c’è più?
Si pone il problema del se non sia necessario ricalcolare la
divisione dei seggi redistribuendo i 200 seggi attribuiti con premio di
maggioranza. E in questo caso, il governo Letta non avrebbe più alcuna
maggioranza, neppure alla Camera. E questo ribadisce l’inopportunità (se
non l’impossibilità) che questo Parlamento duri più di tanto.
 

Come si vede, l’esplosione di un ordigno nucleare avrebbe fatto meno
danni
. Ma non è colpa della Corte che non ha fatto altro che mettere a
nudo il castello di illegittimità costituzionali costruito dal 1993 ad
opera dei golpisti Segni, Pannella ed Occhetto. 

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