Una “concessione†stabilita da un nuovo “papello�
di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo.
Palermo.
“In conformità a quanto previsto dall’art. 102 terzo comma i
procedimenti riguardanti i reati indicati nell’art. 51, comma 3-bis,
c.p.p. debbono essere assegnati a magistrati della Direzione
distrettuale antimafia, salvo casi eccezionaliâ€.
Il virgolettato parla
chiaro. I primi di marzo il Plenum del Csm ha modificato l’art. 8 della
circolare sulle Direzioni distrettuali antimafia nelle procure.
Di fatto
sono stati individuati criteri molto più rigidi per individuare i “casi
eccezionali†che consentono la designazione di magistrati non
appartenenti alla Dda per procedimenti da assegnare a quel gruppo di
lavoro. Al di là dei codici e dei commi la circolare del 5 marzo del Csm
potrebbe essere chiamata “anti pool trattativaâ€.
Con un tratto di penna
viene tecnicamente impedito ai pm del pool: Nino Di Matteo, Roberto
Tartaglia e Francesco Del Bene di poter fare nuove indagini sulla
trattativa Stato-mafia in quanto fuori dalla Dda.
Di Matteo non vi fa
più parte da quattro anni ed è formalmente assegnato al gruppo che si
occupa di abusi edilizi, mentre Tartaglia non ne fa ancora parte.
Di
fatto fino ad ora i due pm erano stati solamente “applicati†al pool del
processo Trattativa. Per quanto riguarda Francesco Del Bene, dal primo
giugno, scadranno i 10 anni di appartenenza alla Dda. Unico a rimanere:
il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, già coordinatore del gruppo,
che si ritroverà a dover assegnare ad altri magistrati i nuovi e
delicatissimi filoni di indagine sulla Trattativa.
“L’assegnazione di cui al comma 2 – si legge ancora nella circolare
del Csm – deve avere riguardo alla necessità di disporre nella
trattazione del procedimento di specifiche professionalità ulteriori e
diverse rispetto a quelle proprie dei magistrati della Direzione
distrettuale antimafia, ovvero di far fronte all’esigenza di un’equa
ripartizione del carico di lavoroâ€.
E sono proprio queste “specifiche
professionalità †quelle che non devono andare disperse. L’investigazione
sulla Trattativa non può essere minimamente equiparata ad altre
indagini antimafia. Dall’inchiesta madre è scaturito il processo
attualmente in corso davanti alla Corte di Assise presieduta da Alfredo
Montalto.
Ma sono le inchieste “bis†e “ter†quelle che mirano a fare
luce sulle zone d’ombra che sovrastano il processo stesso. Una di queste
è indubbiamente rappresentata dalla presenza della cosiddetta “Falange
armata†nelle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese. Presenza di
cui lo stesso Gip Piergiorgio Morisini aveva parlato il 9 marzo del
2013 nel suo decreto di rinvio a giudizio per gli imputati al processo
Trattativa. “Dall’esame delle fonti indicate – aveva scritto Morosini –
si ricavano elementi a sostegno di una ipotesi di esistenza di un
progetto eversivo dell’ordine costituzionale, da perseguire attraverso
una serie di attentati aventi per obiettivo vittime innocenti e alte
cariche dello Stato, rivendicati dalla Falange Armata e compiuti con
l’utilizzo di materiale bellico proveniente dai paesi dell’est
dell’Europaâ€. Quella stessa “Falange Armata†ricomparsa recentemente
nella lettera anonima indirizzata a Totò Riina dopo la pubblicazione
sui giornali dei suoi dialoghi, captati durante l’ora d’aria, con il
boss Alberto Lorusso. “Chiudi la bocca, ricordati che hai famigliaâ€, si
leggeva nella missiva. Ma sono anche altre piste quelle che dovevano
essere seguite dai pm del pool e che ora rischiano di essere bloccate da
una circolare dal sapore decisamente “punitivo†nei confronti di chi
sta cercando di investigare sul cuore nero dello Stato. Ma se l’indagine
sulla Trattativa non è considerata un “caso eccezionale†quali
sarebbero allora? Secondo la logica e il buon senso è evidente che una
simile inchiesta fuoriesca dai canoni classici e presupponga un
coordinamento di magistrati che da anni studiano incessantemente le
relative carte. Quegli stessi magistrati che continuano a cercare negli
archivi di Stato le tracce rimaste di un “gioco grande†che sta
ipotecando il nostro futuro. Ma di questo il Csm pare non tenere conto
se, come è noto, tra i “casi eccezionali†predilige inserire i delitti
contro l’economia, la pubblica amministrazione, la salute e l’ambiente.
Se un magistrato come Nino Di Matteo viene relegato ad indagini su abusi
edilizi e se le professionalità specchiate di pm come Francesco Del
Bene e Roberto Tartaglia non vengono utilizzate in queste indagini
significa ulteriormente che quella verità sul biennio stragista ‘92/’93
non la si vuole raggiungere. Al di là della preparazione tecnica degli
altri magistrati della Dda di Palermo è palese che in questa inchiesta
non si può perdere tempo mettendosi a studiare daccapo una mole di carte
senza una previa conoscenza storica dei relativi protagonisti e dei
loro intrecci con i “sistemi criminaliâ€. Ogni giorno che passa, senza
che queste indagini proseguano il loro naturale iter, rischia di
vanificare anni di indagini. In questo modo rimarranno impuniti i
colpevoli, siano essi uomini di mafia o siano essi uomini di Stato nei
confronti dei quali questa circolare del Csm è una vera manna dal Cielo.
O dobbiamo forse pensare che si tratta di una “concessione†stabilita
all’interno di un nuovo “papello†da rispettare? Togliere queste
indagini significa indebolire fortemente un magistrato come Nino Di
Matteo, condannato a morte da Totò Riina, così come i suoi colleghi giÃ
minacciati pesantemente dalla mafia. Dal canto suo il procuratore di
Palermo Francesco Messineo ha il dovere di porre rimedio a questo
scempio. E’ comunque lui il capo della Procura che può aiutare o
ostacolare l’indagine sulla Trattativa attraverso una presa di posizione
verso questa direttiva del Csm. Che, seppur rigida, può dare spazio ad
uno spiraglio di “eccezionalità â€. Il procuratore potrebbe di fatto
sollevare al Consiglio Superiore della Magistratura quello che
tecnicamente viene definito un “quesitoâ€. In sostanza potrebbe rimarcare
la particolarità dell’inchiesta sulla Trattativa e la necessitÃ
assoluta della relativa applicazione di magistrati come Di Matteo,
Tartaglia e Del Bene. Poi, se il Csm che – non dimentichiamo – è
presieduto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si
caricherà della responsabilità di aver bloccato le nuove indagini sul
patto Stato-mafia, sarà la storia a narrarlo. In questo caso il
disprezzo della parte sana di questo Paese riguarderà chi si è reso
complice di questo disonore e chi non ha fatto nulla per impedirlo.
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