di Patrizia Scanu.
Sulla questione dell’obbligo vaccinale appena imposto per decreto a tutti i bambini italiani per ben 12 diverse malattie si sta consumando una battaglia emotiva e poco trasparente. Come in tutte le questioni controverse, sulle quali non si esercitano liberamente le ragioni della scienza e la saggezza della riflessione ponderata, per via degli enormi interessi economici e delle pressioni ideologiche, la tendenza del conflitto è verso la polarizzazione delle posizioni e verso la contrapposizione radicale vaccinisti/antivaccinisti, che in nessun modo consente di sviscerare la complessità del problema.
I piani sui quali l’obbligo vaccinale – e non l’utilità o meno delle vaccinazioni, sia chiaro – può e deve essere considerato sono molteplici: uno filosofico-giuridico, uno politico-economico, uno storico-sociologico, uno medico-scientifico. Considerarne uno a scapito degli altri tre rende impossibile comprendere che cosa è in gioco veramente in questo scontro.
Cominciamo dal primo, che è anche a mio parere il più rilevante. Considerato dal punto di vista filosofico-giuridico, e più precisamente etico-giuridico, l’obbligo vaccinale ci pone di fronte ad una questione di vitale importanza per tutti noi: può lo Stato imporre ai cittadini un intervento sanitario universalmente obbligatorio contro la loro volontà? Può violare il principio dell’inviolabilità del corpo? E può fare questo sui bambini, per definizione soggetti deboli, sostituendosi alla volontà dei naturali tutori dei loro interessi, i genitori? E può irrogare una sanzione grave come la discriminazione dei bambini rispetto all’accesso di servizi essenziali quali l’asilo nido o la scuola per l’infanzia o la penalizzazione economica non progressiva ai genitori o addirittura la revoca della patria potestà?
È ovvio che il “può” va inteso nel senso di “ha il diritto”. Nel comune sentire, lo Stato ha il diritto di costringere quando è in gioco un bene maggiore, in questo caso la salute pubblica, in altri casi la sicurezza o l’interesse generale. Ma in uno Stato di diritto e soprattutto in uno Stato democratico il potere dello Stato è soggetto a pesanti limitazioni. Se così non fosse, il naturale squilibrio di forze fra Stato e cittadini trasformerebbe questi ultimi in sudditi senza diritti. In uno Stato democratico, la sovranità è dei cittadini, che la esercitano sulla base della Costituzione, la quale a sua volta è frutto di un patto, di un contratto bilaterale fra i cittadini e lo Stato. Lo Stato è al servizio dei cittadini, non viceversa; di per sé, lo Stato non è altro che l’espressione della comune appartenenza dei cittadini ad un unico corpo sociale.
Come in ogni faccenda complessa, è in gioco un bilanciamento di diritti e di doveri. I bambini hanno diritto all’integrità del loro corpo, alla salute, alle cure amorevoli e adeguate dei genitori, alla tutela da parte dello Stato. I genitori hanno il diritto di scegliere ciò che, in base alla loro visione del mondo, ritengono meglio per tutelare e proteggere i loro bambini. Hanno anche il dovere di prendersi cura adeguatamente dei figli. Solo nel caso in cui non siano in grado per incapacità manifesta o per abuso e trascuratezza grave, lo Stato ha il diritto e il dovere di intervenire nella prospettiva dell’interesse superiore del minore: non del minore in astratto, ma del bambino specifico, con nome e cognome e con una sua storia personale. Lo Stato ha il dovere di tutelare ogni singolo bambino di per sé, come titolare di diritti non comprimibili. Tali diritti sono codificati nei trattati internazionali e nei documenti di bioetica e rappresentano una conquista di civiltà irrinunciabile.
Nella Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia (CRC) sono indicati quattro principi generali, trasversali a tutti i principi espressi dalla CRC ed in grado di fornire un orientamento ai governi per la sua attuazione:
- non discriminazione (art. 2), tutti i diritti sanciti dalla CRC si applicano a tutti i minori senza alcuna distinzione;
- superiore interesse del minore (art. 3), in tutte le decisioni il superiore interesse del minore deve avere una considerazione preminente;
- diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo (art. 6), non solo il diritto alla vita ma garantire anche la sopravvivenza e lo sviluppo;
- partecipazione e rispetto per l’opinione del minore (art. 12), per determinare in che cosa consiste il superiore interesse del minore, il suo diritto di essere ascoltato e che la sua opinione sia presa in considerazione.
All’Art. 3, la CRC afferma: “Gli Stati, le istituzioni pubbliche e private, i genitori o le persone che ne hanno la responsabilità, in tutte le decisioni che riguardano i bambini devono sempre scegliere quello che è meglio per tutelare il loro benessere”. Si tratta quindi di determinare in che cosa consista il benessere del bambino.
Il Codice di Norimberga, redatto nel 1946 dopo i processi ai medici nazisti colpevoli di aver condotto esperimenti atroci su esseri umani, cercò di stabilire il confine (assai labile, come si accorsero i giudici) fra gli interventi leciti e quelli illeciti in ambito medico, soprattutto in ambito sperimentale. E la prima regola che venne individuata dai medici statunitensi incaricati della stesura fu la seguente: «la persona coinvolta dovrebbe avere la capacità legale di dare il consenso, e dovrebbe quindi esercitare un libero potere di scelta, senza l’intervento di qualsiasi elemento di forzatura, frode, inganno, costrizione, esagerazione o altra ulteriore forma di obbligo o coercizione; dovrebbe avere, inoltre, sufficiente conoscenza e comprensione dell’argomento in questione tale da metterlo in condizione di prendere una decisione consapevole e saggia». (http://www.treccani.it/enciclopedia/codice-di-norimberga_(Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica)
La World Medical Association ribadiva inoltre, nella Dichiarazione di Helsinki del 1964, il concetto che solo il consenso esplicito poteva giustificare moralmente la ricerca sui soggetti umani e che “nella ricerca medica gli interessi della scienza e quelli della società non devono mai prevalere sul benessere del soggetto”. http://www.treccani.it/enciclopedia/bioetica_(Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica)/. Da queste riflessioni sono nati il consenso informato e la riflessione bioetica. Pur con differenze culturali e filosofiche, la bioetica – in particolare quella anglosassone – tende a considerare fra i principi irrinunciabili in ambito medico l’autonomia del paziente (ovvero la libertà di scelta), la beneficità (ovvero l’effettivo beneficio) e la non maleficità dell’intervento (il principio ippocratico primum non nocēre), la giustizia rispetto l’accesso alle cure.
Dai documenti di etica medica deriva un primo punto fermo: un intervento medico si giustifica solo nell’interesse esclusivo di chi lo riceve, solo con il suo consenso espresso, solo se non fa un danno superiore ai benefici che apporta, solo se arreca un beneficio al soggetto. Non si giustifica con un interesse superiore della ricerca scientifica e della società. La CRC pone inoltre come criteri irrinunciabili di ogni intervento la non discriminazione e la tutela del benessere del minore.
Il bambino ha diritto alla difesa della sua salute, che è il bene primario per ciascuno. Ma chi stabilisce in che modo tutelare la salute? L’unica risposta possibile è: i genitori. Sono loro legalmente ad esprimere il consenso alle cure mediche per il proprio figlio. Se non lo possono esprimere, viene meno il principio stesso del consenso informato e siamo di fronte all’arbitrio dello Stato. Uno Stato che si sostituisce ai genitori nello stabilire qual è il modo giusto di proteggere la salute del minore o di curarlo, nel caso che sia malato, sta trattando il genitore o come un incapace o come un criminale. Il compito dello Stato è di informare, educare, sostenere, affiancare un genitore per consentirgli di esercitare appieno la sua libertà educativa e di cura nei confronti del figlio, ma se lo Stato decide per lui, in assenza delle circostanze di necessità, urgenza e di grave manchevolezza di cui abbiamo parlato, allora non siamo più in democrazia. Forse a molti sfugge la gravità di questa imposizione: è un esproprio autoritario della libertà e della sovranità del cittadino nel decidere su una questione fondamentale quale la salute e il benessere dei propri figli. È lo Stato che decide in modo arbitrario che cosa è bene per tutti i bambini, indipendentemente dalle qualità genitoriali dei loro tutori.
Inoltre, se il bambino è sano e l’intervento medico non migliora il suo stato di salute, lo Stato non lo può imporre. Non spetta allo Stato sottoporre a trattamento sanitario obbligatorio un bambino sano. E nemmeno può violare il corpo del bambino, che è assolutamente indisponibile per lo Stato. L’articolo 32 della Costituzione è chiaro: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Che si tratti di un intervento medico e, nel caso estremo, di una violazione dell’integrità della persona è fuori discussione: un vaccino è un farmaco, e come tale ha effetti desiderabili ed effetti collaterali. Per somministrarlo occorre intervenire su un corpo senza il consenso di chi ne ha la titolarità (se il genitore non lo esprime), mediante la sospensione della potestà genitoriale. Data la delicatezza della materia, l’orientamento giuridico prevalente finora è stato infatti favorevole all’obbligatorietà, ma non alla coercibilità della vaccinazione.
Somministrare in modo indiscriminato grandi quantità di farmaci a soggetti sani, senza alcuna conoscenza preventiva dello stato di salute, di un’eventuale immunità preesistente, o di controindicazioni alla somministrazione non risponde né a criteri etici né a criteri scientifici. E non ha a che fare con l’utilità o meno dei vaccini. Un farmaco non è utile a prescindere da chi lo assume. Per fare un esempio, anche se gli antibiotici sono una benedizione per l’umanità, questa non è certo una ragione per somministrarli a tutti, anche a soggetti sani.
La Corte Costituzionale si è espressa più volte in merito all’obbligatorietà delle vaccinazioni, individuando in esse un vantaggio sia per il minore sia per la collettività: con la sentenza 23 giugno 1994 n. 258 ha chiarito che le leggi che impongono l’obbligo vaccinale non contrastano con l’art. 32 Cost., purché “il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili; sia prevista, nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio − ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica − comunque la corresponsione di un equo indennizzo in favore del danneggiato“. Nella stessa pronuncia, la suprema Corte ha aggiunto un’importante invito al legislatore “affinché, ferma la obbligatorietà generalizzata delle vaccinazioni ritenute necessarie alla luce delle conoscenze mediche, siano individuati e siano prescritti in termini normativi, specifici e puntuali, ma sempre entro limiti di compatibilità con le sottolineate esigenze di generalizzata vaccinazione, gli accertamenti preventivi idonei a prevedere ed a prevenire i possibili rischi di complicanze“.
Secondo la Corte, quindi, l’obbligo si giustifica a determinate condizioni, che sono appunto quelle che dovrebbero essere accertate. È evidente, infatti, che i danni vaccinali esistono e possono essere anche gravi, come testimoniano le numerose sentenze che impongono il risarcimento dello Stato ai bambini danneggiati in modo permanente dalle vaccinazioni. Non si può dare per scontato che esse costituiscano esclusivamente un vantaggio per il singolo e per la collettività. Un principio di cautela imporrebbe di verificare il rapporto costi-benefici caso per caso e vaccino per vaccino. Magari la vaccinazione si giustifica per alcune patologie e non per altre. Ne riparleremo più avanti.
Somministrare una grande quantità di farmaci per tutelare altri soggetti più vulnerabili è una violazione della Dichiarazione di Helsinki: nessuno può essere costretto ad un intervento medico potenzialmente dannoso per arrecare beneficio a qualcun altro. Tale principio è ribadito dalla Convenzione di Oviedo, recepita in Italia con legge n.145/2001: “Articolo 2 – Primato dell’essere umano. L’interesse e il bene dell’essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza”. (http://www.coe.int/en/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/164?
Discriminare un bambino sano rispetto all’accesso ai servizi educativi sarebbe una violazione della Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Tra l’altro, sarebbe una discriminazione davvero paradossale e ingiustificata. A chi fa danno un bambino sano? Più che una misura preventiva, suona come un vero e proprio ricatto ai genitori. Obbligare a vaccinarsi in assenza di pericolo diretto dei soggetti interessati e in assenza di una grave epidemia in atto è una violazione del principio di non maleficità: poiché va bilanciato di caso in caso il rapporto costi-benefici di un vaccino, se non c’è beneficio diretto, ma è presente un danno anche solo potenziale, non si giustifica l’intervento, e comunque non può essere obbligatorio. Devono essere i genitori a prendersi la responsabilità di decidere, soppesando rischi e benefici.
Disporre un trattamento sanitario obbligatorio che non rechi un beneficio diretto al soggetto che vi è sottoposto (principio di beneficità) viola il principio di necessità e di urgenza e viola la Convenzione di Oviedo, che nel sommario iniziale recita testualmente: “La Convenzione consacra il principio che la persona interessata deve dare il suo consenso prima di ogni intervento, salvo le situazioni di urgenza, e che egli può in ogni momento ritirare il suo consenso. Un intervento su persone incapaci di dare il proprio consenso, per esempio su un minore o su una persona sofferente di turbe mentali, non deve essere eseguito, salvo che non produca un reale e sicuro vantaggio per la sua salute”.
Un farmaco si somministra a chi ne ha bisogno, secondo una valutazione in scienza e coscienza, non indiscriminatamente a tutti, perché così è evidente che, statisticamente, qualcuno ne riporterà dei danni anche gravi, e questo è sempre e comunque eticamente inaccettabile. Ogni bambino ha diritto soggettivamente alla sua integrità, alla sua salute, al suo benessere. Non è nemmeno togliendogli la patria potestà dei genitori o il reddito familiare che si favorisce il suo benessere. La sospensione della potestà genitoriale, che sembra introdurre un principio di coercibilità nell’obbligo vaccinale, è stata considerata illegittima da alcune sentenze, fra le quali il Decreto Corte di Appello di Ancona, Sezione minori, N. 1994 del 27.11.98
Riassumendo, possiamo concludere che
– ammesso che i vaccini siano utili a prevenire il diffondersi di malattie contagiose ed epidemiche
– ammesso che siano sicuri, come sostengono molti medici (anche se non tutti) e le case farmaceutiche
– ammesso che sia dimostrata l’esistenza dell’effetto-gregge non solo per l’immunità naturale, ma anche per quella vaccinale
– ammesso che lo Stato possa, in particolari circostanze, disporre un trattamento sanitario obbligatorio, come previsto dall’art. 32 della Costituzione
tuttavia, dal punto di vista etico tale intervento obbligatorio si giustifica solo a condizione che
– ci sia un grave e immediato pericolo per la vita e la salute del minore (principio di gravità e urgenza);
– sia in corso un’epidemia che minaccia la salute pubblica (principio di emergenza),
– sia impossibile impedire in altro modo il contagio (principio di necessità)
– non sia violata l’integrità psicofisica della persona, che costituisce il limite invalicabile di ogni obbligo (principio di inviolabilità del corpo),
– sia un intervento compatibile con lo stato psico-fisico del minore (principio di personalizzazione)
– sia dimostrata l’incapacità genitoriale di esprimere un valido consenso, posto che il genitore è l’unico soggetto titolare del diritto di esprimerlo per conto del minore (principio di autodeterminazione)
In ogni caso, lo Stato deve garantire:
– un dibattito scientifico aperto e sereno su vantaggi e danni da vaccinazione, nell’interesse dei cittadini e della scienza
– un costante e scrupoloso monitoraggio sugli effetti avversi delle vaccinazioni
– un’informazione corretta, trasparente e imparziale
– l’imparzialità rispetto ai portatori di interessi economici che possono trarre vantaggio da una decisione politica a danno anche solo potenziale della salute pubblica
– la piena assunzione di responsabilità rispetto ai danni che ne possono derivare alla salute del minore
– l’assoluta non discriminazione del minore o punibilità del genitore che rifiuti l’intervento. Un genitore scrupoloso, che soppesa con cautela la decisione di far vaccinare o meno il figlio, è soltanto un genitore responsabile.
Quella dell’autodeterminazione e del consenso informato è comunque la strada seguita dai 15 Paesi UE su 27 che non prevedono nessun obbligo vaccinale; esso resiste soprattutto nei Paesi dell’Est europeo: segno, probabilmente, nei Paesi privi di obbligo, di un rapporto governanti-governati più maturo, basato sulla fiducia, sul rispetto e sulla considerazione per la libertà dei cittadini – in ultima analisi, più democratico. [continua]
Fonte: https://blog.movimentoroosevelt.com/home/520-l-obbligo-vaccinale-ovvero-chi-decide-della-salute-dei-bambini-parte-1.html.