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Puigdemont, un avventurista; Rajoy, un provocatore

La politica è l’arte di rendere possibili cose difficili. A Madrid e Barcellona pare che la politica latiti dall’una e dall’altra parte. Ineludibili questioni costituzionali e di consenso. [Andrea Pubusa]

Puigdemont, un avventurista; Rajoy, un provocatore
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4 Novembre 2017 - 10.35


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di Andrea Pubusa.
 

Ho già detto che l’indipendenza di Carles Puigdemont sa  di farsa mentre quella di Lluís Companys del 1934 fu una tragedia. Ora dall’esilio belga il presidente deposto annuncia che non andrà dai magistrati spagnoli e per lui è scattato il mandato d’arresto. E’ probabile che il prossimo passo sarà la richiesta dell’estradizione e il Belgio potrebbe alla fine concederla.
E’ l’esito scontato di un iter sconsiderato e avventurista, da furbetto che scherza con cose più grandi di lui. 

La secessione è fatto serio, tremendamente serio; è un atto di fondamentale importanza per chi la promuove e per chi la subisce. Se non c’è accordo, è un fatto rivoluzionario in senso giuridico e politico, posto che le Costituzioni solitamente sanciscono l’indissolubilità dell’ordinamento. 
Una questione sulla quale, se non c’è intesa, si combatte, con armi giuridiche e non solo, senza esclusione di colpi, e dunque richiede da parte dei contendenti la migliore preparazione. 
E qui sta l’errore fondamentale di Puigdemont e dei suoi seguaci: non hanno puntato a costruire un’ampia legittimazione popolare. Hanno usato una furbizia di breve respiro: indire un referendum senza quorum di validità. E così hanno potuto dire che il 38% dei sì legittima la secessione. Ma l’asino è cascato immediatamente anche perché la restante parte degli elettori è scesa in piazza, mostrando una forza pari se non superiore a quella degli indipendentisti. 
Ma, direte, se fosse stato previsto il quorum costitutivo, il referendum avrebbe avuto esito negativo. Esattamente. Ma sarebbe stato un bene nell’ottica di una lotta di lunga durata, fondata sul consenso ampio
Puigdemont, comunque, visto il risultato avrebbe dovuto, correttamente, non dichiarare l’indipendenza, ma dire che lui e i suoi sostenitori avrebbero lavorato ancora per raggiungere una adesione ampia coi tempi necessari. Certo, si sarebbe scontrato con una immancabile fascia di impazienti, ma avrebbe salvato il processo proiettandolo positivamente verso il futuro. Avrebbe fatto tesoro di quel 38% di SI’ e accresciuto le simpatie e i sostegni interni e internazionali.
L’azzardo della proclamazione di una indipendenza “a minoranza” invece ha come unico risultato quello di creare divisione nel fronte indipendentista e di far retrocedere anche qualunque ipotesi federalista. Companys fu destituito e condannato a 30 anni e poi fucilato dal boia Franco. Erano tempi duri e feroci. Ma lui aveva proclamato l’indipendenza avanzando un’ipotesi di federazione con lo Stato spagnolo, quindi neppure una separazione. 

Puigdemont non ha messo in campo questa prospettiva, puntando su una secessione confusa senza legittimazione sociale e senza appoggi internazionali. Ha avuto l’appoggio del presidente della Regione Sardegna Francesco Pigliaru, è vero, ma non basta! Così come non è bastata la dichiarata solidarietà e appoggio del consigliere regionale sardo Franciscu Sedda a salvarlo dal mandato di cattura internazionale.
Nè Puigdemont poteva confidare in un atteggiamento morbido degli organi statuali. Già nel luglio del 2010 la Corte costituzionale spagnuola ha stoppato l’istanza indipendentistica. Ricordo che, poco tempo prima della decisione del Tribunal constitucional, ebbi modo di parlare con Luis Ortega, collega ed amico dell’Ateneo di Toledo, giudice costituzionale, il quale mi disse, molto preoccupato, che la pretesa catalana non aveva alcuna possibilità di accoglimento, stante il principio di indissolubilità dell’ordinamento sancito dalla Carta spagnuola. 

La Corte poi ha ripetutamente sanzionato le iniziative secessioniste del governo e del parlamento catalano.
Se Puigdemont è stato avventato, il presidente del governo Mariano Rajoy assomiglia a quel tale che accende il fuoco vicino al serbatoio di benzina. 

La repressione contro gli indipendentisti, col ricorso alla carcerazione, è un altro grave errore, che può avere conseguenze tragiche se mette in movimento le masse degli indipendentisti e degli unionisti, provocando un corto circuito. In questi contrasti interni si sa dove s’inizia, non si sa dove si finisce.
E’ vero, l’attentato all’unità statuale è un reato grave, come lo è l’attacco alla Costituzione. Sul piano giuridico-formale la carcerazione può apparire adeguata e doverosa. Ma in queste vicende conta anche il modo, anzi questo diventa assorbente: se il metodo seguito è latu sensu democratico, pacifico, la risposta dev’essere politica, rimessa alla dialettica delle idee più che a quella della forza. 

E qui è innegabile che Puigdemont e i suoi seguaci si siano mossi sul terreno della mobilitazione non violenta. Lo hanno anche dichiarato ripetutamente in ogni occasione. 
Sul punto offre utili spunti di riflessione la Costituzione italiana nella parte in cui disciplina i partiti. Ebbene la nostra Carta, per riconoscere la massima libertà ai partiti, dà rilevanza non alle loro finalità ma al metodo
Con metodo democratico si possono perseguire anche finalità eversive, fatta eccezione per il fascismo, per il quale esiste una disposizione espressa di divieto. 
Dunque tornando ai catalani, al momento sarebbe saggio tener conto del metodo democratico seguito dagli indipendentisti, più che della obiettiva finalità di rompere l’unità statuale
Comprendo che il limite è labile, ma la politica è l’arte di rendere possibile cose difficili. 
In terra di Spagna pare che la politica latiti dall’una e dall’altra parte. 
A Puigdemont sarebbe bastato non dichiarare l’indipendenza rimandandola a tempi migliori, ossia al momento di un esteso consenso, a Rajoy, dopo la dichiarazione d’indipendenza, sciogliere il governo e il parlamento. Anche perché le elezioni sono imminenti e saranno un test importante per misurare le forze in campo. 
La campagna elettorale sarebbe stato il terreno per riportare la questione in un democratico confronto.
Gli uni e gli altri giocano col fuoco: il pericolo che le scintille provochino l’incendio è più reale di quanto si pensi.


Fonte: http://www.democraziaoggi.it/?p=5156#more-5156.


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