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La famiglia Genovese e la Sicilia che lavora e combatte contro la mafia

Il papà, per mantenere potere e occasioni di ricchezza, si è spostato da un partito all'altro, da sinistra a destra, senza batter ciglio. Poi ha candidato il giovanissimo figlio

La famiglia Genovese e la Sicilia che lavora e combatte contro la mafia
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23 Novembre 2017 - 21.02


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di Onofrio Dispenza.

 

“Stamattina – ammirato – sentivo alla radio il racconto dell’esperienza di giovani, coraggiosi siciliani che hanno dato vita ad una splendida impresa sulle Madonie. Con il loro lavoro strappano terreni all’abbandono e alle mire della mafia, creando altro lavoro, realizzando un presente diverso e un futuro migliore. Piantano e coltivano alberi da manna. E “Quando la manna non cade dal cielo”, è il bel nome del loro progetto. Nome che dice tutto, di come tanti giovani non aspettano – come si dice da queste parti – che la manna cada loro in bocca dal cielo.
Ascoltavo la loro storia, quando non avevo ancora sentito le ultime dalla Sicilia, le news sul giovane Genovese, fresco di investitura all’Assemblea Regionale Siciliana, accompagnato nel più antico parlamento da una marea di consensi, eredità di papà. Il giovanissimo onorevole è indagato per riciclaggio ed altro, virtù, anche queste, ereditate dal padre, grande maestro di giochi finanziari di prestigio.

Tutto accade a Messina, città crocevia di affari e misfatti su un asse che per anni l’ha voluta “provincia babba”, scema, sciocca, innocua, e che invece si è dimostrata un enorme verminaio dove cattiva politica, ma anche mafia e massoneria hanno fatto, e continuano a fare, la loro parte.

I Genovese sono famiglia ricchissima, e il sequestro dei loro beni ha dato solo un assaggio di questa ricchezza, fatta in tutti i modi. E nel gioco perverso di Genovese padre è entrato il giovanissimo Genovese, che il padre ha strappato alle severe aule della Luiss di Roma per portarlo in trionfo in un posto chiave del potere dell’Isola. Per moltiplicare potere e patrimonio. I Genovese non si fermano mai, non ha potuto fermarli la giustizia, non li ha potuti fermare il carcere, quello attraversato da Genovese senior e che adesso rischia il piccolo Genovese.
Il papà, per mantenere potere e occasioni di ricchezza, si è spostato da un partito all’altro, da sinistra a destra, senza batter ciglio. E senza che i partiti in entrata mettessero in dubbio questo gioco. Più che l’etica, valeva l’acquisizione di cospicui pacchetti di voti. Per vincere e comandare.

L’esercito dei Genovese avrebbe seguito la famiglia, e in effetti l’ha seguita, anche quando nell’agone la famiglia ha buttato il piccolino, già ficcato negli affari poco chiari della famiglia. Di tanto in tanto, in tv passa “Cetto Laqualunque”, film che ritenevamo surreale e che si dimostra tragicamente realista. Il nuovo neorealismo, potremmo dire, rappresentazione di un’Italia che supera col reale la rappresentazione grottesca dei suoi mali. Il figlio di Cetto Laqualunque somiglia maledettamente al pargolo del personaggio meravigliosamente incarnato da Antonio Albanese.
Tre decine di anni addietro, un grande siciliano, guardando a Palermo, arrivò a definirla “irredimibile”. Quel giudizio severo e amaro, più bruciante di un ferro rovente, oggi ritorna e si impone. E’ vero, ci piace non condividere l’amarezza dei Sciascia, pensare che la Sicilia non è “irredimibile”, che non è irredimibile il Paese. Ma è anche vero che c’è chi ce la mette tutta perché accada l’irredimibile. Fanno la loro parte le forze politiche che per la selezione del personale politico applicano il principio delle porte scorrevoli. Fanno la loro parte le migliaia e migliaia di elettori che, supini, con il loro voto avallano, un sostanziale stato di schiavitù.

 

Foto: http://mc.globalist.it/news/articolo/2015307/la-famiglia-genovese-e-la-sicilia-che-lavora-e-combatte-contro-la-mafia.html.

 

 

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