Houellebecq che legge nel futuro

Dio non esiste, ma averlo ucciso nel modo in cui lo abbiamo fatto storicamente, ha portato a un modello di società insostenibile. [Nicola Lagioia]

Houellebecq che legge nel futuro
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16 Aprile 2015 - 14.08


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di Nicola Lagioia

Michel Houellebecq è uno scrittore di idee – toccato dall’esistenzialismo quando è al suo meglio, e dai romanzi a tesi quando si allontana dall’urgenza che ce lo fa sentire amico persino se siamo in disaccordo con lui. L’idea alla base di [i]Sottomissione[/i] è geniale quanto a forza destabilizzante, ma è pure la risorsa migliore del libro. Per chi ama i romanzi che fanno dell’ambiguità, della complessità, della contradditorietà la propria forza, non è un limite da trascurare. L’idea che sta alla base del libro è così potente – specie per i progressisti – perché sovverte tutto ciò che gli intellettuali di sinistra considerano l’ovvio terreno su cui poggiare i piedi quando discutono di distopia, e perfino di utopia.

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Di solito siamo portati a immaginare che il capitalismo avanzato, cioè il nostro mondo, crollerà su se stesso trasformandosi in un incubo: catastrofe climatica, guerra mondiale, collasso della democrazia nella demagogia e di quest’ultima nel regno millenario di un’oligarchia sempre più spietata che controlla ricchezza, tecnologia e mezzi di comunicazione. Da questo punto di vista, continuiamo a essere figli di George Orwell, Philip Dick, Antony Burgess, e dei loro eredi. Continuiamo, vale a dire, a essere degli umanisti.

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Di contro, quando arriviamo a pensare (con una più fiacca convinzione, in verità) che la situazione cambierà per il meglio, ci figuriamo al massimo una socialdemocrazia che porti l’Europa dei popoli (che comunque per i limiti della nostra fantasia rimane liberale, progressista, fondata sui diritti civili, talmente tollerante da abbracciare tutte le religioni, perfino in sintonia con l’economia di mercato a patto che mostri un volto umano) a trionfare su quella delle banche.

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Non ci passa mai davvero per la testa che la nostra civiltà possa crollare sotto la spinta tutto sommato pacifica dell’Islam, come accade nel romanzo di Houellebecq. Fatichiamo a immaginare che un’Europa in grado di trasformare la libertà in un micidiale strumento di tortura (psicologica, emotiva, spirituale) per i suoi abitanti si getti un giorno tra le braccia di un Dio che non è neanche più quello cristiano, e in questo modo trovi sollievo.

Sollievo dallo stress insopportabile in cui la competizione del tardo capitalismo ci scaraventa, dalle conseguenti umiliazioni e infelicità, dal rapporto sempre più angoscioso con i nostri corpi (e con quelli dei nostri partner), dalla paura di invecchiare, dalle isterie di una famiglia svuotata di tutto tranne di ciò che nuoce al nostro equilibrio mentale, costretti a dover comunque andare avanti armati di una fede incrollabile in qualcosa (Stato? Democrazia? Libero mercato? Civiltà occidentale?) a cui non siamo più in grado di riconoscere alcuna vera autorità.

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In altre parti del mondo, la fede ruota intorno a oggetti infinitamente più solidi, nulla di paragonabile a ciò che noi consideriamo feticci svuotati di forza. Questo, non può non fare la differenza. Ecco il ragionamento di Houellebecq in [i]Sottomissione[/i]. Da un lato molti suoi lettori non riescono a non subirne il fascino (secondo il romanzo il destino del mondo non si starebbe giocando sull’economia, bensì sugli scacchieri della cultura, delle idee, dell’istruzione, della demografia, in particolare su ciò che – come la religione – può imprimere alle nostre energie mentali, emotive e spirituali una forza sconosciuta al mondo laico). Dall’altro, il risultato finale (l’Eurabia) ci atterrisce. Uno spavento che acquista tuttavia – ed è questo il merito maggiore del romanzo – più di una sfumatura comica quando molti cittadini francesi del 2022, dopo la vittoria del candidato islamico alle presidenziali, scoprono che, tutto sommato, vivere sotto la mezzaluna è molto meglio che averlo fatto sotto Hollande (sorta di Romolo Augustolo di un mondo sull’orlo della dissoluzione).

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Sottomettiti, e tornerai a essere felice. Le donne, sottomesse ai maschi, possono rientrare in quella condizione di eterno infantilismo che le sottrae alle torture della competizione professionale ed erotica, fattasi ultimamente insopportabile; mentre i maschi, finalmente poligami, sottomessi a loro volta all’autorità di Dio, possono tornare a sorridere: la solitudine, in particolare, questo lascito terribile del mondo occidentale a ogni singolo individuo, viene spazzata via dal ritorno di una vera comunità. Cosa importa (facendo un rapido calcolo tra costi e benefici) se tutto questo avviene nel nome di Allah? Una distopia che al suo interno contiene la più disturbante (per noi) delle utopie. Ecco il colpo da maestro di Houellebecq. Geniale, come si diceva, sul piano delle idee. Ma a un romanzo è lecito chiedere anche altro.

Sul piano squisitamente letterario (la dimensione magica che ci fa entrare in comunione con un libro a un livello più intimo e profondo di quanto accada rispetto alla semplice messa in scena di idee e ragionamenti), ho trovato toccanti le pagine di Sottomissione in cui il protagonista soffre a causa della sua condizione di occidentale di ceto medio. Frustrazione. Senso di inadeguatezza. Mancanza di una vera vita affettiva. Incapacità di rispondere alle sfide lanciate da un mondo decisamente più forte e spietato di noi.

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Quando racconta la disperazione ai tempi degli ipermercati, Houellebecq è insuperabile, si tratti anche solo di descrivere l’angoscia del protagonista davanti alla propria buca delle lettere piena di documenti amministrativi e lettere del fisco. Da questo punto di vista, l’autore di [i]Le particelle elementari[/i] resta il più efficace cantore della depressione come malattia sociale. Solo che la depressione (per quanto diffusa) non esaurisce le possibilità di quella strana creatura che ancora siamo nel XXI secolo.

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Il racconto di come l’Islam prende potere in Francia – fuori dai massimi sistemi – è quanto di meno credibile si possa leggere in un romanzo di fantapolitica. I negozi di abbigliamento che cambiano all’istante la loro offerta. Le donne che dalla sera alla mattina rinunciano al ruolo sociale duramente guadagnato negli anni. I professori universitari che accettano di perdere la cattedra. La resa immediata dei poteri forti (politici, economici, culturali) che fino a quel momento hanno retto il paese. Difficile evitare di sentirsi in un cartoon. Qualunque scrittore di genere sarebbe stato più convincente. Non dico che questo sia un peccato mortale. Solo, non di rado ha spezzato in me la sospensione di incredulità. In diversi punti del romanzo non avevo più la sensazione di seguire la vita di François, professore universitario specializzato in Huysmans, mentre le sorti della Francia sono in procinto di sovvertirsi. Mi sembrava piuttosto di vedere Houellebecq impegnato ad allestire una storia di finzione che gli consentisse di mostrare al lettore le sue idee sulla tristezza e i paradossi della nostra civiltà.

Temo che per Houellebecq (tanto più in questo romanzo, dove le miserie del nostro mondo fanno posto a un nuovo ordine del tutto immaginario) valga la trappola dell’Orazio shakespeariano, convinto che tra cielo e terra ci siano meno cose di quante ne contenga la sua filosofia. Ovviamente non è così. Il fatto che l’uomo sia una creatura mediocre, non toglie che le sfumature persino di quella pochezza siano molteplici. Pozzo ricolmo di mediocrità non significa che non siamo anche un pozzo senza fondo. È questo, temo, il limite di Sottomissione – sottomettere l’infinita molteplicità della dimensione umana alle eccessive restrizioni delle idee, o di una sola, che comunque resta molto efficace. Perfettamente in grado di restare umano (dunque di esprimere la nostra contradditorietà, ambiguità, stranezza, complessità, ricchezza) quando racconta la disperazione, Houellebecq riduce i suoi protagonisti a semplici vettori narrativi (soldatini di un romanzo a tesi, incarnazioni di idee piuttosto monolitiche) quando passa ad altro.

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La realtà è che [i]Sottomissione[/i] è un libro che guarda alla religione dal basso (il luogo in cui l’autore e l’io narrante volontariamente si rannicchiano) di un ateismo indistruttibile. Non c’è il minimo soffio divino che sospinga la conversione di François. L’io narrante del romanzo passa all’Islam per semplice opportunità di specie. L’alternativa sarebbe l’estinzione. A me sembra che Houellebecq da questo punto di vista possa considerarsi un tardo esempio di scrittore naturalista, ateo, materialista, convinto che il mistero della Storia (nella quale crede molto più che nel Dio delle Scritture) non risieda in un’escatologia né nell’eterogenesi dei fini e nemmeno nel caos, bensì nel nostro dna.

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È la Natura il nostro vero dio. Da questo punto di vista, Houellebecq diventa quasi uno scrittore leopardiano. Dio non esiste, ma averlo ucciso nel modo in cui lo abbiamo fatto storicamente, ha portato a un modello di società insostenibile. Così, è la Natura stessa a suggerirci di fare marcia indietro. Bisogna salvarsi con ciò che si ha a portata di mano. E poiché l’Islam è il più saldo baluardo a disposizione contro l’estensione del dominio della lotta (una lotta suicida che ci porterebbe a scomparire dalla faccia della terra) rivolgersi ad Allah è solo uno stratagemma per salvarsi. L’illusione metafisica come bisogno naturale.

Visto in questa prospettiva, [i]Sottomissione[/i] è un godibilissimo romanzo comico. Occidentale fino al midollo. Eurocentrico (ed euroscettico) come pochi. Possiamo essere disperati quanto si vuole, ma non c’è nulla di più potente del nostro saper essere ridicoli.

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(31 marzo 2015)

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