Da te solo a tutto il mondo. Lezioni italiane di Jared Diamond.

Le istituzioni sono figlie della storia, la storia è figlia della geografia. [Pierluigi Fagan]

Da te solo a tutto il mondo. Lezioni italiane di Jared Diamond.
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28 Maggio 2015 - 20.50


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di Pierluigi Fagan

L’agile libricino di Diamond condensa temi propri dell’immagine di mondo del noto studioso (Armi, acciaio, malattie; Collasso) trattati in altrettante lezioni svolte in un suo soggiorno italiano alla LUISS di Roma. L’Introduzione è disponibile in preview, [url”qui”]http://www.einaudi.it/var/einaudi/contenuto/extra/978880622462PCA.pdf[/url]. L’Autore sviluppa una analisi causale dell’accoppiata geografia – istituzioni, stante che di collegamento tra le due ci sarebbe la storia. Si tratterebbe quindi di una -geostoria delle istituzioni-.

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Quanto alla geografia, si parte dalla constatazione che le regioni temperate stanno meglio di quelle tropicali, il che può essere ridotto alla banalità del giusto mezzo ovvero si hanno condizioni più favorevoli all’umano dove non fa molto caldo o molto freddo. Nel molto caldo ci sono, tra gli altri, due handicap: la minore produzione agricola ed il maggior rischio sanitario, quindi la doppia problematica di fame e salute. I suoli tropicali sono meno fertili e meno profondi perché non hanno subito l’andare e venire dei ghiacciai, la decomposizione del fogliame è troppo veloce e non viene assorbita interamente per cui la terra è meno fertile. Ai tropici c’è più biodiversità, quindi anche più insetti, muffe, microbi e parassiti (che rimangono sempre in riproduzione non essendo soggetti al benefico passaggio dell’inverno temperato) il che incide sull’estensione della vita umana nel senso che si vive meno e quindi si accumula meno esperienza, le malattie endemiche debilitano, poiché la mortalità è alta si fanno più figli e quindi le donne non lavorano ed il capofamiglia deve mantenere più persone. Si aggiunga la maggior obsolescenza della materia (caldo e sole) e l’oggettiva debilitazione dell’organismo esposto a caldo ed umidità elevate.

Ma oltre alla questione climatica ve ne sono anche altre sempre di origine geografica. Ad esempio l’accesso al mare o la presenza di fiumi navigabili stante che il trasporto via acqua è sette volte meno costoso di quello via terra. L’Africa con ben quindici nazioni su quarantotto senza coste marine e con solo un fiume navigabile (Nilo) è quella messa peggio, oltre che quella maggiormente attraversata dai Tropici. Poi c’è la cosiddetta “maledizione delle risorse” dove pare che avere risorse indigene sia peggio del doversele andar a cercare ma qui intervengono forse anche altri fattori. Se si rimane relativamente isolati per lungo tempo, forse prima o poi si raggiunge un efficiente sfruttamento delle stesse o quantomeno uno sviluppo equilibrato.

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Se invece le proprie risorse attraggono invasori o degli esterni troppo interessati, allora l’intervento esterno distorce l’evoluzione interna, a volte, fatalmente. Il petrolio ed il gas, è stato ed è fatale per le stato-nazionalità mediorientali ed africane ma non certo per la Norvegia e la Russia. Si passa così ai fattori istituzionali che ancora sulla geografia, intervengono ad esempio nel governo dei fattori ambientali. In Olanda, un territorio sotto il livello del mare non ha impedito un eccellente sviluppo, in Bangladesh esondazioni periodiche hanno invece martoriato le locali popolazioni solo di recente in grado di “gestire” in qualche modo la situazione.

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La lente istituzionale è usata soprattutto dagli economisti occidentali, i quali segnalano almeno dodici variabili: assenza di corruzione, protezione della proprietà privata, legalità diffusa, applicazione dei patti e contratti, opportunità di investimento, basso rischio delinquenziale sono tutti afferenti la presenza e certezza delle regole del gioco sociale ed economico ed usati per spiegare il benessere comparato tra nazioni. L’azione efficace dei governi, il controllo dell’inflazione, la libera circolazione dei capitali, il libero scambio, l’istruzione e l’intelligenza logistica sono il complemento. Ma ciò si riduce ad un circolo: funziona meglio dove funzionano meglio le istituzioni che lo fanno funzionare meglio. La precocità storica dello sviluppo agricolo e la domesticazione di piante ed animali che hanno attivato la crescita demografica allora, è chiamata in ballo come causa prima da Diamond.

Le istituzioni sono figlie della storia, la storia è figlia della geografia. “Essere figli” non è un riduzionismo tanto quanto la mia causa complessiva non è riducibile alla somma dei miei genitori. La causa prima o genetica è solo la più influente, quella che determina il preciso ventaglio delle successive condizioni di possibilità. Ma nello sviluppo del segmento storico, ha poi giocato anche il fattore turbamento nel senso che laddove ricchezze indigene hanno attirato colonizzatori imperiali, lo sviluppo naturale è stato distorto irrimediabilmente, dove invece ciò non è avvenuto o dove, come il Costa Rica non si è avuta una colonizzazione istituzionale ma semmai una affluenza privata di singoli individui o piccoli gruppi, nel tempo, il principio di autorganizzazione umana ha potuto raggiungere forme relativamente più libere ed efficienti.

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Sottolineiamo questo fattore imperial-coloniale un momento. Giudichiamo di solito negativamente l’imperial-colonialismo per diverse, ottime, ragioni. Ma tra queste, ci interessa notare il principio di distorsione. Ogniqualvolta qualcuno che si ritiene maggiormente sviluppato, occupa per un certo periodo la terra di qualcun’altro che subisce l’occupazione, distorce irrimediabilmente lo sviluppo naturale di quest’ultimo. Poiché nelle scienze sociali non è possibile riprodurre esperimenti con un campione manipolato ed uno di controllo, isolando uno ad uno gli effetti di varie variabili prima da sole e poi assieme, di solito si prendono quelle situazioni tipo Germania Ovest ed Est, Corea del Sud e del Nord, Haiti e Repubblica Domenicana, in cui la geografia è la stessa ma l’esito è diverso. Rispetto allora al problema della distorsione dell’imperial-colonialismo, si possono prendere India e Cina, la prima parte dell’Impero britannico, la seconda toccata solo limitatamente dal colonialismo europeo (il Giappone per niente ma il Giappone è un isola e quindi lì il discorso è diverso sebbene si possa comparare Giappone alle isole del china-vs-indiaSud-Est asiatico).

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La differenza demografica tra India e Cina è contenuta (1.270 mio vs 1.390 ONU 2013), quella geografica semmai a favore dell’India stante il pro dei tanti accessi al mare ed i molti grandi fiumi, di contro ai grandi deserti e le imponenti catene montuose per la Cina. L’India è la 10a economia del mondo, la Cina è la seconda, per PIL procapite, Cina 95a – India 132a. Si noti poi che dall’indipendenza del ’47, l’India ha comunque una ideologia non anti-capitalista, anzi, la stessa dominazione britannica si potrebbe pensare abbia preparato il terreno istituzionale in senso favorevole ad uno sviluppo di tipo occidentale mentre la Cina ha avuto una svolta in tal senso solo negli anni ’80 ed è partita quindi con trenta anni di ritardo, dovendo operare culturalmente una vera e propria conversione ad “U” rispetto ai principi del comunismo maoista e quelli della Rivoluzione culturale. Le coppie Germanie-Coree sono la delizia del comparativismo mainstream, quella India e Cina invece non è mai presa in esame. Non è detto che tutta la differenza di performance sia spiegabile col colonialismo britannico come agente perturbatore ma nulla impedisce di assumerlo come ipotesi decisivamente influente.

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A dire che, com’era già noto per Centro e Sud America, Africa, Medio Oriente, l’imperial-colonialismo (ma anche una costante pressione diretta o indiretta senza necessariamente sbarcare soldati e coloni) è una poliomielite che una volta contratta, debilita l’organismo ed il suo sviluppo irrimediabilmente, così come uno stupro nell’infanzia o nell’adolescenza. Nel lungo periodo, questa distorsione dell’altrui sviluppo, distorsione che si è operata per ottenere un vantaggio egoista, presenta il conto. Anti-occidentalismo, terrorismo, migrazioni ingestibili, instabilità permanente, bellicosità ribellista, diffusione di reazioni integraliste ed altre strane ideologie, fragilità istituzionale congenita, élite corrotte ed asservite che tradiscono l’interesse nazionale, disorientamento culturale e perdita di autonomia, sono l’effetto indesiderato dell’essersi approfittati dell’altrui corpo geo-storico. In Medio oriente, ad esempio, abbiamo imposto confini dove non esistevano da secoli, creato stati sul modello occidentale senza che vi fosse la tradizione occidentale, imposto governanti ed accordi a noi unilateralmente convenienti, esportato la democrazia (?) con le cattive più che con le buone, bombardato, occupato, torturato, armato gli uni contro gli altri per vendere più armi a gli altri contro gli uni e poi ci meravigliamo del casino che minaccia di venire a disturbare la nostra quiete.

Secondo l’ideologia occidental-anglosassone è severamente vietato metter mano ai naturali principi di autorganizzazione del mercato perché se ne distorce fatalmente la dinamica (Hayek) ma non si danno pari prescrizioni per il metter mano ai principi di autorganizzazione che governano lo sviluppo degli altri popoli. Anzi, con palese disonestà scientifica, si occulta palesemente che sono poi questi secondi a rendere così mirabile l’apparente funzionamento del “miracolo del mercato” di cui l’Occidente ha lungamente beneficiato.Tra divieto alla manipolazione e turbamento del mercato e divieto alla manipolazione e turbamento dell’altrui dinamica evolutiva, potremmo cominciare a sintetizzare un principio generale, quello per i quale quando gli uomini intervengono manipolando sistemi molto complessi fanno danni.

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Tale principio risulta pertinente nell’altro grande problema che osserviamo come caratteristica più evidente della nuova era complessa: il problema ambientale. La lievitazione demografica e la diffusione planetaria di un modo di stare al mondo altamente perturbante il contesto ambientale, sono manipolazioni e turbamenti inintenzionali.

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La geo-ingegneria ambientale coperta da una coltre di riservatezza per la quale pochi ne sono al corrente e di cui è per altro per lo più negata la stessa esistenza, è invece una manipolazione intenzionale. Poiché è noto a tutti gli epistemologi ovvero coloro che provano a conoscere come conosciamo, che il procedere umano sulla via della scoperta scientifica è connotato anche dallo stile “tentativi ed errori” (si prova – si vede come va – si riprova sulla scorta del primo feedback), pensare di applicare la logica dei tentativi ed errori all’ambiente, provoca non poche preoccupazioni poiché il prezzo degli errori potrebbe essere insostenibile. Inoltre ed in linea generale, provoca preoccupazione fondata, il modo istituzionale con cui tutto ciò viene fatto.

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Ci riferiamo al fatto che far guidare la ricerca scientifica, la manipolazione biologica, quella geo-ambientale dalla logica dagli interessi dell’economia privata (profitto a breve termine) e da quella degli interessi unilaterali di questa o quella entità geo-politica (guidate quasi sempre da una logica competitiva e di potenza) è sottomettere la definizione stessa di cosa tentare e di quale errore fare o sopportare o anche solo giudicare tale, da un punto di vista molto particolare quando gli effetti dell’azione, la cosa stessa sulla quale si agisce (codice genetico umano, vita, ambiente terrestre), sono il quanto più generale ci sia.

L’epifenomenologia delle mostruosità contemporanee, dallo Stato islamico alla dilatazione delle ineguaglianze, dalla pressione di ingestibili flussi migratori al manifestarsi di eventi ambientali sempre più frequenti e fuori-scala, dalle disfunzioni create dall’individualismo egoista a base della teoria dei giochi (si veda F. Schirrmacher, Ego. Gli inganni del capitalismo, Codice edizioni, 2015) alla crescente instabilità esistenziale dovuta alla perdita di prevedibilità del sistema economico a cui affidiamo l’organizzazione del nostro vivere associato, fino ai nuovi ceppi virologici che mutano e velocemente si espandono, per non parlare della desertificazione etico-morale o dei danni derivanti dalla manipolazione molecolare (chimica o genetica), tutto ci dice che c’è qualcosa nella nostra immagine di mondo che non funziona. In particolare quel motore interno ai fatti ed ai fenomeni provocati dal nostro agire che possiamo definire -logica-.

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Diamond conclude la sua chiacchierata proponendo di adottare un principio appreso nei suo soggiorni in Nuova Guinea a contatto con la saggezza indigena: la paranoia costruttiva. Nel mondo molto complesso aumentano i rischi di massimo disordine, la paranoia costruttiva porta a consigliare prudenza e previdenza. Si tratterebbe poi di qualcosa di simile al Principio di precauzione o responsabilità di Hans Jonas (Das Prinzip Verantwortung 1979, H. Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi, 2009): ogni gesto dell’uomo dovrebbe prendere in considerazione le conseguenze future delle sue scelte e dei suoi atti. Si tratta di un principio restrittivo, di una limitazione preventiva della libertà assoluta priva cioè di ogni condizionamento, invocata dalla logica neoliberale. In sistemi molto complessi, la rete delle interrelazioni tra varietà è estremamente sensibile alla perturbazione e come un trasformatore a sorpresa può restituire output fiacchi ai più intensi input come restituire output devastanti al più distratto e sottile degli input casuali o moltiplicare esponenzialmente imput già intensi in entrata.

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L’osso del principio è che nessun atto è privo di conseguenze, queste non sono lineari -quindi- si consiglia di accoppiare prudenza e miglioramento della calcolabilità preventiva per uniformare l’azione al contesto. Ma anche, sul piano logico, sottomettere questa calcolabilità ad una etica più universale dell’egoismo personale. Rendersi coscienti di cosa si fa e dismettere atteggiamenti compulsivi basati solo sulla vasta e richiestiva costellazione dei bisogni e desideri più disparati la cui soddisfazione è l’impianto che regge il nostro vivere associato. Ogni soddisfazione di desiderio comincia ad avere un costo (costo opportunità) che però non è quotato nel mercato, diventando quello che gli economisti chiamano “esternalità”. Oggi ci troviamo in un mondo affollato ed interrelato in cui ogni minima internalità risolta ha riflessi importanti in termini di esternalità problematica. Ma -di contro- l’espansione e l’affollamento del mondo comune, rende sempre più interno quello che credevamo esterno, magari accendendo pesanti retroazioni o feed back che dall’esterno, vengono a bussare alla nostra porta.

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L’imperativo della logica universalistica (kantiana) di Jonas recita: “Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana”. L’imperativo della logica individualistica (utilitaria) a base del sistema sociale ordinato dall’economia di mercato recita “Agisci in modo tale da ottenere i migliori benefici per te, ora”. Nella differenza tra un logica che prevede il nostro contesto ed il tempo a venire (tutto il mondo) ed una che prevede solo Io e l’adesso (te solo), si gioca la differenza tra l’adattamento al mondo complesso o il provocare reazioni che potrebbero annientarci. Registrare questa relazione tra il “te solo” ed il “tutto il mondo”, tra Io e Mondo, è uno dei problemi della complessità di cui noi qui ci occupiamo.

Quando in questo spazio di ricerca, parliamo di “nuovo modo di stare al mondo” intendiamo ad esempio anche il cambio di atteggiamento per il quale geostorie fortunate (quelle temperate occidentali a guida nordatlantica ad esempio) dovrebbero prendersi maggiormente la responsabilità di quelle meno fortunate. Quantomeno dismettere l’atteggiamento di stupro&rapina e non (solo) per ragioni etico-morali. Per usare una espressione cara all’antropologia anglosassone: non esistono pasti gratis.

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(25 maggio 2015)

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