Esce in questi giorni in libreria un volume interamente dedicato alla figura e al pensiero di Carl Gustav Jung. Il libro, intitolato appunto [url”Carl Gustav Jung. L’opera al rosso”]http://www.lafeltrinelli.it/libri/romano-madera/carl-gustav-jung/9788807227059[/url], viene pubblicato nella collana Feltrinelli “Gli eredi†diretta da Massimo Recalcati. Il confronto con il padre simbolico è qui sostenuto dal filosofo e psicoanalista [url”Romano Mà dera”]http://megachip.globalist.es/Detail_News_Display?ID=126429[/url] (già autore nel 1998 di un altro studio monografico dedicato al maestro di Zurigo e ideatore di una terapia dell’esistenza che rinnova e trasfigura i contributi della psicoanalisi e delle pratiche filosofiche: l’analisi biografica a orientamento filosofico).
Questo lavoro illustra alcuni dei concetti chiave del pensiero junghiano – individuazione, simbolo, archetipi, tipi psicologici… – senza pretendere di offrire un quadro “oggettivo†delle innovazioni introdotte da Jung nella cultura e nelle clinica del Novecento. Mà dera preferisce sondare il nesso che lega strettamente biografia e teoria, partendo dal lascito più misterioso e inquietante dello psichiatra zurighese, quel “Libro Rosso†che raccoglie visioni, pensieri e turbamenti emersi a ridosso della rottura con Sigmund Freud e nell’imminenza della Prima Guerra mondiale.
Con audacia Mà dera ci offre una lettura di Jung che definiremmo “sapienzialeâ€, rendendo possibile – come già era stato per lo stesso Jung nei confronti del padre pastore, del padre della psicoanalisi Freud e del modello intellettuale Nietzsche – un superamento dialettico capace di conservare l’eredità ricevuta trasformandola e portandola a compimento. La tensione junghiana verso l’uomo indiviso, risultato mai scontato di una composizione progressiva dei conflitti e delle scissioni implicati nella sua originaria scindibilità psichica, ha preso la forma, nel tragitto esistenziale, teorico e professionale di Mà dera, di un viaggio mitobiografico sviluppato al crocevia tra filosofia, psicologia del profondo, politica e spiritualità . La cura di Sé che l’autore propone è, in quest’ottica, una ripresa dell’eredità junghiana finalmente consapevole delle coordinate storiche tracciate dal capitalismo globale e capace di lasciarsi alle spalle tanto l’atomismo epistemologico della psicoanalisi classica quanto il distacco scientifico dalle vicende sociali e politiche del proprio tempo.
Leggendo i sette capitoli del libro (“Vietato imitareâ€, “Critica dei padri e crisi del patriarcatoâ€, “La fine dell’eroe e il sacrificio dell’ioâ€, “L’ombra, la guerra, il capro espiatorioâ€, “Dio è morto? Risposta a Nietzscheâ€, “Clinica dell’individuazioneâ€, “Psicologia storico-biografica, filosofia come stile di vita e spiritualità laicaâ€) assistiamo non al riguardoso omaggio a un genio indiscusso dell’ultimo secolo ma a un confronto serrato, pieno di rispetto e quindi di sincerità , con chi ha intravisto, senza poterlo seguire fino in fondo, il crollo delle certezze moderne e il palesarsi di un’era di confusione collettiva e individuale senza precedenti. Il dialogo tra Mà dera e Jung sprigiona dunque prospettive nuove che ci consentono di interrogare la nostra epoca segnata dalla coazione a ripetere dell’accumulazione economica “immaginando altrimenti†il futuro. Non si darà infatti alcuna trasformazione profonda della realtà condivisa senza una carica utopica capace di generare, nel medio e lungo periodo, una rivoluzione d’anima che sia culturale e soggettiva insieme.
Per concludere questo invito alla lettura del libro di Romano Mà dera lascio volentieri la parola all’autore:
I processi sociali di atomizzazione e, al tempo stesso, i possibili processi di individuazione, generano i “tanti dèi†che, in un certo senso, erano stati previsti da Weber, e ai quali Hillman ha dato voce nella sua psicologia. Ma questo è solo un dato di fatto, un fenomeno che riflette, nella psiche e nei valori sociali, il regno effettuale del dio-capitale e dell’egotismo di massa, cioè della figura, adombrata senza poter essere vista, del Caos come supremo organizzatore-distruttore della interconnessione globale. Clinicamente ciò significa che ognuno ha il suo dio, alcuni lo sanno, altri ne sono servi inconsapevoli. Il dio unico è la risultante caotica che domina, come meccanismo inconsapevole e incontrollato, tutti gli agenti – in realtà “maschere di carattereâ€, come le chiamava Marx, di un copione che credono proprio, ma non lo è, perché l’autore è il Nessuno formato dal cozzo atomistico di tutti. Uno dei compiti centrali, se non il compito fondamentale, di ogni cura dell’umano è quello di mettere a confronto cosciente il proprio dio e la propria esperienza, di interrogare assiduamente e senza sconti questa relazione, di vivere lo scontro e l’incontro del senso e dei suoi controsensi, per saggiare l’eventuale nascita di un senso superiore, capace di sostenere le richieste dell’esistenza (pp. 131-132).
(15 ottobre 2016) [url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.es[/url]