‘di Lelio Demichelis
La cura di sé come scopo autentico della vita umana, come insegnava Socrate. Qualcosa che si costruisce non isolandosi dal mondo ma condividendo(lo) e soprattutto ponendo(si) domande, educando(si) alla conoscenza di sé e degli altri e alla cura della propria anima e dei modi di stare insieme con gli altri. Sapendo che il trovare è sempre incerto e fragile, ma che importante è cercare domandando(si).
Ma dove cercare – e come – se oggi tutto è liquido e veloce? se manca un pensiero critico o non riesce a farsi discorso (e intanto è nato Socrates Search, motore di ricerca che attiva i dubbi per noi)? se siamo chiusi in quello che Marcuse aveva definito principio di prestazione, affinché si produca «la confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà della società tecnologica avanzata»? se è una società che ci vuole uni-dimensionali e omologati, isolati dagli altri però sempre connessi, e tutti ben ripiegati narcisisticamente su noi stessi, incapaci di immaginare e di sognare?
Oggi è il tecno-capitalismo che produce per noi immaginazione e immaginari, sogni e spettacolo, comunità e identità , integrazione e personalizzazione. Tutto falso, ovviamente; o merce. Ma ci arrendiamo facilmente davanti alla ammaliante capacità del tecno-capitalismo di creare coinvolgimento emotivo e religioso per sé, accrescendo la nostra interiorizzazione della sua Grande narrazione. E se l’anima poi si ammala comunque, ecco che scatta il meccanismo della colpa (individuale) e ci accomodiamo docilmente sul lettino per essere curati (sempre individualmente, come nella confessione). Perché la cura è e deve essere individuale, impedendo di mettere in discussione il sistema, anche se la malattia proviene dal sistema stesso, sistema che possiede il potere di normalizzarci alla cronicità della sua malattia e alla sua cura. Ma, allora, come recuperare la dimensione del sogno, dell’immaginazione e della consapevolezza di sé, senza essere curati dal sistema in funzione del sistema? Come trovare se stessi, contrastando oggi anche l’ultima forma di eteronomia, quella da algoritmi?
Domande che nascono – come l’autore voleva che fosse – da un libro importante, questo di Paolo Bartolini, analista filosofo. Saggio dove si compone e si sviluppa ulteriormente una diversa forma di «analisi», biografica a orientamento filosofico. Dove l’analisi incontra la filosofia e l’antropologia ma anche la sociologia. Dove l’analisi biografica si declina in strumenti per la cura di sé ma anche dell’intero, cioè del mondo. Perché «dove gli individui soffrono, c’è sempre un mondo malato». Perché la filosofia ha una specifica vocazione terapeutica e nel suo spirito «è insita una critica impietosa verso tutto ciò che può soffocare la capacità umana di evoluzione e di felicità ». Una filosofia nuova e antica allo stesso tempo, aperta e diversa dall’analisi clinica prevalente: perché quest’ultima «considera gli esseri umani come attori isolati immersi nelle dinamiche sociali, presi in relazioni puramente esteriori che non ne modificano l’essenza. Salute significa così principalmente combattere i sintomi e, nei casi migliori, raggiungere un equilibrio psico-fisico funzionale all’adattamento allo stato di cose presente». Ma questa, appunto, non è cura. Né filosofia.
E quindi, il sogno. Secondo Freud o secondo Jung e molti altri autori (che Bartolini ben analizza). Qui ci piace richiamare Romano Mà dera, per il quale sognare «significa attivare una capacità fondamentale dell’uomo, quella di immaginare altrimenti i dati di realtà , producendo quindi trasformazioni» dell’esistente e dell’esistenza. Perché l’uomo, ancora Mà dera, è un «animale visionario». E allora, «coltivare la capacità di immaginare altrimenti è più importante di qualsiasi interpretazione esatta del sogno. O meglio: l’interpretazione efficace è quella che lascia vivo nel tempo il desiderio di interrogare i propri sogni, trasformando in atto creativo la potenza del pensiero immaginativo». Qualcosa di simile al lavoro dell’artista.
Dunque, ecco che la filosofia può e deve riavvicinarsi al sogno e quindi «l’analisi biografica a orientamento filosofico, in qualità di terapia dell’esistenza, finalizzata a fornire ragioni al dolore e direzione al piacere di vivere, si pone al servizio della soggettivazione individuale e di gruppo» (e soggettivazione è cosa tutta diversa dall’individualizzazione prodotta dal tecno-capitalismo). Purtroppo «oggi il capitalismo globale si è trasformato in una specie di sogno tra le più invadenti e pericolose: l’incubo».
E quindi, e ancora: il ruolo della filosofia; di questa filosofia però, capace di generare e di aiutare a generare un racconto di senso collettivo e individuale diverso dal discorso del capitalismo e della tecnica. Tuttavia, per arrivare a questo occorre prima chiedersi «quali siano le specificità e i punti di forza di un sistema che riesce ad assorbire prontamente ogni forma di rivolta e di ribellione». Un sistema – tecnica e capitalismo – «che mima, sconvolgendone il senso, la cura di sé coltivata in epoca ellenistica, per cui quello che era un esercizio paziente volto al trascendimento degli egoismi privati in nome della verità e della convivenza responsabile nella polis, diventa oggi l’impegno costante a rendersi “appetibili†sul mercato, guardando a se stessi come a un capitale da valorizzare continuamente, tutto all’insegna di uno spirito imprenditoriale penetrato al cuore stesso della soggettività umana. Le soddisfazioni offerte dal sistema si accontentano di riprodurre piaceri fuggevoli e ripetitivi, diffondendo la frustrazione programmata del desiderio e la ricerca ansiosa di nuove occasioni di auto-valorizzazione».
Scardinare questo dover essere tecnico ed economico – il «mondo malato» e il suo essere «epidemia» globale – diventa allora l’obiettivo primo da realizzare per recuperare la possibilità e la capacità dell’uomo di essere soggetto di cura (di sé e del mondo) e di trasformazione. Scrive Bartolini, quasi in conclusione: «Proporre una cura del senso che accompagni ogni fase dell’esistenza è la sfida che, in questo preciso momento storico, la filosofia può lanciare per rimanere fedele alla propria vocazione trasformativa. Tale ambizione, prendendo accuratamente le distanze tanto dalla medicalizzazione dell’in-tera società quanto dalla cura di sé funzionale solo all’inserimento del soggetto nell’ingranaggio della valorizzazione economica, fallirebbe se trascurasse la centralità assunta, negli ultimi due secoli, dall’individuo e dall’unicità irripetibile del suo tragitto di vita. Ecco allora che una nuova alleanza tra psicologia e filosofia, qui in Occidente, si rende ormai indispensabile e non più differibile, purché l’incontro di queste discipline dia luogo a una revisione profonda di entrambe». E dell’uomo. E del suo mondo.
Leggi [url”qui”]http://megachip.globalist.es/Detail_News_Display?ID=126878&typeb=0&la-conoscenza-delle-relazioni[/url] un estratto dell”introduzione di Stefania Consigliere al libro di Paolo Bartolini.
(21 dicembre 2016)[url”Link articolo”]http://www.alfabeta2.it/2016/12/21/sognare-cercare-trovarsi/[/url] © Lelio Demichelis © Alfabeta2.
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