di Paolo Bartolini
Quando nasce una bambina (o un bambino) qualcosa si muove in noi, una crepa fende la dura scorza dell’abitudine e dell’insensibilità, le parole vengono a mancare, un sorriso si affaccia sulle nostre labbra sciogliendo quella piega amara che troppo spesso accompagna la “vita adulta”. Esserci è una costante sorpresa, ma quando assistiamo a una nascita ci sembra che il mistero dell’esistenza si schiuda e, nudo, rifulga di una semplicità miracolosa.
Un piccolo miracolo, e mi si perdoni l’enfasi, è il nuovo libro della poetessa italiana Chandra Livia Candiani “Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione” (Einaudi, collana Vele, 2018, €12). Da poco uscito in libreria, questo volumetto, che non supera le 140 pagine, si impone, con delicatezza e precisione, come un testo unico nel suo genere.
Una prosa poetica di inaudita sensibilità illustra al lettore quell’arte della meditazione che Candiani pratica ormai da anni, nel suo lavoro di traduttrice di testi buddhisti e nell’esercizio quotidiano che svolge in solitudine e in gruppo.
La sensazione, scorrendo le pagine, è di essere accompagnati per mano verso qualcosa di più grande, verso uno spazio vuoto e accogliente che possa abbracciare i nostri dubbi, le esitazioni, i dolori e le gioie. Meditare, per l’autrice poetessa, è un dare forma alla vita senza fissarne mai lo sviluppo, è un modo di abitare quell’infinito non-sapere che solo rende possibili gli incontri, l’amore, la conoscenza.
Il libro riesce nel compito, tutt’altro che scontato, di aprire un canale di comunicazione tra la consapevolezza di chi medita (sati) e la consapevolezza di chi dice, con la parola poetica, ciò che altrimenti resterebbe al di là del linguaggio. Il silenzio li accomuna e unisce, a ben vedere, tutti coloro che percorrono una delle Vie verso il risveglio, un silenzio fertile dal cui grembo nascono parole sensate, capaci di rispecchiare la bellezza del mondo.
Candiani può quindi sussurrare: «Non tutti i silenzi sono uguali. […] Il silenzio non è tacere o mettere a tacere, è un invito, è stare in compagnia di qualcosa di tenero e avvolgente […]. Il silenzio sorride. […] Il silenzio semina. Le parole raccolgono. Il silenzio è cosa viva.» (p. 50). Fare silenzio, in tempi come i nostri predati dal rumore e dalla chiacchiera, è difficile e persino rivoluzionario. C’è, e non solo in tal senso, qualcosa di profondamente politico, di etico, in questo dono scritto che l’autrice ha voluto fare ad amici e sconosciuti. Prestare attenzione alle piccole cose, guardare negli occhi le nostre emozioni invece di guardare il mondo con i loro occhi, significa rendere la nostra presenza nel qui e ora più saggia, stabile e meno invadente, meno contrappositiva. La politica, lo sappiamo bene, ha a che fare con il conflitto, e il conflitto può essere generativo se, invece di inclinare verso la distruttività, mette in movimento lo spirito, il pensiero, l’aspirazione a una vita buona. Ecco allora che, nel tempo dell’accelerazione continua, della crescita infinita, del consumo bulimico, l’autrice ci offre una sporgenza a cui aggrapparci: la possibilità di rallentare, di sentire, di assaporare tutto (la gioia, la sofferenza, il fastidio, la paura, la tenerezza…).
Aggrapparci, ma non “attaccarci”, poiché queste pagine non intendono essere una guida, non vogliono condensarsi in certezze monolitiche. Il loro scopo, al contrario, è proteggere uno spazio libero dove il flusso della vita possa continuare il suo processo creativo.
Nel pieno dell’era digitale, mentre gli algoritmi programmati dalle grandi aziende dei big data tentano di semplificare in modo riduttivo la complessità dell’umano e di comprimerlo nel sottile spessore di un “profilo”, una poetessa schiva, delicata e minuta sembra offrirci oggi una strada praticabile per prendere posizione in favore della vita, della sua ricchezza, della sua irriducibile mancanza di prezzo. Per questo, e per mille altri buoni motivi, invito a leggere “Il silenzio è cosa viva” e a regalarlo, e a farlo circolare. Che l’anima esista, mentre leggiamo queste pagine, ci sembra qualcosa di naturale e indiscutibile. Che solo il corpo possa farcela conoscere è, invece, il primo insegnamento della meditazione. Dobbiamo ringraziare Chandra per aver preparato un luogo ospitale nel quale scoprire, al ritmo del respiro e della poesia, una fiamma di fiducia che sa illuminare l’opaco trascorrere del tempo e ci strappa alla pigrizia del pensiero unico. Anche leggere e scrivere sono cose vive.