di Andrea Scanzi.
Torni a casa e trovi, su RaiTre, uno speciale su Pino Daniele. “Il tempo resterà”. Non ti racconta nulla che non sai, ma te lo racconta bene. Che è poi quasi tutto, per un documentario.
Chissà cosa c’era, in questo cazzo di straordinario paese, a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta.
C’era Ivan Graziani che inventava una musica tutta sua.
C’era Rino Gaetano che era il fratello figlio unico di tutti noi.
C’era Gaber che aveva già capito tutto.
C’erano cantautori mostruosamente bellissimi, tra le torri di Babele di Edo, la musica ribelle di Eugenio, le case del serpente di Ivano, le avvelenate e i rimmel dei due Francesco.
La Rimini mai esistita di Fabrizio.
C’erano le voci del padrone. C’era il mare profondo di Lucio. C’era Pierangelo a muso duro. C’era Vasco che era già Vasco. C’era il divino Lucio, la batteria il contrabbasso eccetera.
C’era una creatività mostruosa, che chissà dove è finita, ora che viviamo ‘sta contemporaneità mediamente di merda.
E poi c’era Pino. Un illuminato folle, intriso di “appocundria”, che metteva sullo stesso piano il blues e la tradizione napoletana, inventando orizzonti alieni con un sound che aveva due palle così e che teneva dentro James Senese, Tullio De Piscopo, Tony Esposito, Rino Zurzolo, Joe Amoruso e talenti infiniti.
Pino ha creato un genere e poi ha assecondato l’onda. Sempre l’onda. Anche onde che neanche gli piacevano granché. Lo vedi, adesso, che duetta con Al Di Meola. Con Joe Bonamassa. Con Pat Metheny. Lo vedi che dà del tu a Eric Clapton, no dico Eric Clapton, uno che ha vissuto cinquanta vite ed è morto altrettante volte senza neanche accorgersene. Ed Eric lo guarda, giustamente, come un parigrado. Lo vedi che cambia genere, cambia capelli, cambia chitarre. Ma lo sguardo e il genio no: quelli restano intatti.
Lo vedi che muore troppo presto, ed è una morte assurda come capita quasi sempre agli artisti, che vivono vite tutte loro ed è inutile che proviate a giudicarli coi canoni idioti e stolti del pensiero comune. Lo vedi che canta “nun me scoccià”, inno sublime contro tutti quei rompicoglioni dei logorroici che non hanno nulla da dire e per questo lo dicono.
Lo vedi mentre canta di esser pazzo, e se non lo fosse stato non sarebbe stato il genio che è stato, e a sentirlo c’è Careca cotto come un copertone, e poi Maradona che balla neanche lui sa cosa, con un gilet dai colori più vietati di ogni cosa per cui lo hanno condannato. E poi lo vedi con Troisi, con il suo Massimo, che canta “Quando”. E lì puoi solo piangere, perché è una canzone che ti strappa l’anima. Che non esiste. Che andrebbe vietata per troppa bellezza.
Pino Daniele è uno dei più grandi talenti mai visti, sentiti e vissuti in questo paese. Altro che i guepequeno re di Spotify. Altro che questi pesci piccoli e inutili. Troppo inutili. Dobbiamo coltivare la memoria, ragazzi. E’ un nostro dovere: viviamo in un paese che trasuda genio. Solo che siamo i primi a scordarlo. O, peggio, a sputarci sopra. E questo è imperdonabile.
Speriamo solo che, prima o poi, piova. “Ma po’ quanno chiove/ L’acqua te ‘nfonne e va/ Tanto l’aria s’adda cagnà”. Speriamo proprio che piova. Che l’aria cambi. Sì, che l’aria cambi.
Fonte: https://www.facebook.com/andreascanzi74/posts/1995282243821427 _____________________________________________________
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