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Gorbaciov: Sull'orlo di una nuova guerra fredda

Giulietto Chiesa commenta il discorso di Gorbaciov a Berlino per il 25° anniversario della rimozione del Muro. Il lucido bilancio nelle parole dell’ex presidente dell’URSS.

Gorbaciov: Sull'orlo di una nuova guerra fredda
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14 Novembre 2014 - 06.00


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Pandora TV – Speciale. 

Giulietto Chiesa commenta il discorso tenuto da Mikhail Gorbaciov l’8 novembre 2014 a Berlino in occasione del 25° anniversario della caduta del Muro. Il lucido bilancio di un quarto di secolo di storia nelle parole dell’ex presidente dell’URSS.

Segue: il testo del discorso pronunciato da Mikhail Gorbaciov l”8 novembre 2014 durante il simposio berlinese del New Policy Forum

[Traduzione a cura di greenitalia-verdiliguri.blogspot.it

 

I

Sono lieto di dare il mio benvenuto a tutti i partecipanti, e
d”intravedere fra loro sia gli habitué del nostro Forum, sia dei volti
nuovi. Mi attendo da tutti un contributo nella direzione di quel genere
di dialogo serio e costruttivo di cui oggi cӏ estremo bisogno.

Il nostro incontro coincide con le celebrazioni per il venticinquesimo
anniversario della caduta di quel muro che divise la Germania e
l”Europa. Innanzitutto gradirei porgere le mie congratulazioni ai
tedeschi, e a noi tutti, in occasione della ricorrenza di questo evento
propriamente storico.

Cambiamenti storici che ai contemporanei paiono inattesi finiscono in
seguito per sembrare inevitabili, prestabiliti. Ma ripensiamo all”epoca
in cui tutto ciò stava accadendo, e a quanto tumultuoso e urgente fosse
il processo del cambiamento. Il suo esito — cioè la pacifica
riunificazione della Germania — fu reso possibile solo perché il
terreno era stato preparato da alcuni significativi mutamenti
nell”ambito della politica internazionale, e nella mente della gente.

Quei cambiamenti furono cagionati dalla Perestroika in Unione Sovietica.
Essendoci imbarcati in una serie di riforme, in nome della glasnost e
della libertà, non avremmo mai potuto negare alle nazioni dell”Europa
Centro-orientale la possibilità di percorrere la medesima strada.
Rifiutammo la “dottrina Brezhnev”, e riconoscemmo l”indipendenza di
quegli stati, così come la loro responsabilità nei confronti delle
proprie popolazioni. Fu questo ciò che dissi ai loro leader nel corso
del nostro primo incontro a Mosca.

La benefica influenza del cambiamento in Unione Sovietica avviò processi
politici all”interno dei paesi confinanti, e i cittadini della DDR
cominciarono a chiedere delle riforme, e subito dopo la riunificazione,
mentre tutto questo di rimando costrinse l”URSS a riconoscere la
necessità di compiere delle scelte difficili.

In molti paesi europei, non solo nel nostro, il processo della
riunificazione sollevava dubbi e preoccupazioni. Condivisibili, come
quelli di Margaret Thatcher e François Mitterand e di altri leader.
Dopotutto, la tragedia della Seconda Guerra Mondiale era ancora fresca
nella memoria. C”erano anche altre ragioni che giustificavano la loro
diffidenza.

Il popolo del nostro paese in particolare, che più di tutti aveva
sofferto l”aggressione di Hitler, aveva ancor più motivo di
preoccuparsi.

Intanto gli eventi si succedevano sempre più velocemente, sospinti
principalmente dal popolo — un popolo che pretendeva il cambiamento, e
proclamava la propria intenzione di vivere in un paese unito: “Siamo
un”unica nazione”, dicevano.

Nel gennaio del 1990, durante un incontro della leadership sovietica, ci
trovammo a discutere sull”evoluzione di quella situazione, e giungemmo
unanimemente alla conclusione che l”Unione Sovietica non avrebbe dovuto
frapporsi — ma anche che l”unificazione sarebbe dovuta accadere in un
modo che fosse rispettoso degli interessi dell”Europa tutta, e del
nostro paese, oltre che di quelli dei tedeschi stessi.

Se fossimo sfuggiti a una valutazione realistica e responsabile, o se
avessimo preso altre decisioni, gli eventi avrebbero potuto prendere una
svolta molto diversa, e drammatica. E l”uso della forza avrebbe portato
a uno spargimento di sangue su vasta scala.

Invece scegliemmo una strada che avrebbe richiesto di prendere decisioni
politiche e di impegnarci attivamente nella diplomazia. Per affrontare
le conseguenze a livello di politica estera della riunificazione tedesca
fu creato il meccanismo del “2+4”. La questione più difficile era il
problema del ruolo della Germania unita all”interno della NATO.

Personalmente ero a favore di una Germania neutrale. Il presidente Bush
obiettò: “E perché mai? Forse i tedeschi ti preoccupano? Tanto più
allora dovranno essere inclusi, ”ancorati” all”interno della NATO”. Gli
risposi: “Sembri tu ad esserne intimorito”.

Dibattemmo diverse possibilità. Alla fine concordammo sul fatto che la
Germania unita avrebbe preso le proprie decisioni in merito al suo ruolo
all”interno dell”alleanza, ma anche sul fatto che gli interessi
dell”URSS in merito alla propria sicurezza dovessero essere presi in
considerazione.

Cosa che richiese lunghi colloqui. Alla fine, il Trattato sullo stato finale della Germania conteneva le seguenti richieste:

— la presenza di truppe sovietiche sul territorio dell”ex DDR per un periodo di transizione;

— il non-stazionamento di truppe straniere NATO in quel territorio in seguito a detto periodo di transizione;

— il non-stazionamento di armi nucleari in quel territorio;

— una riduzione significativa di quasi il cinquanta percento del personale delle forze armate della Repubblica Federale.

Si trattava di richieste importanti, che furono effettivamente rispettate.

In quegli anni i tedeschi sono stati in grado di dimostrare la propria
dedizione nei confronti della pace e della democrazia, e il governo
tedesco ha compiuto scelte generalmente costruttive e responsabili
nell”arena internazionale.

Sono fiducioso che la storia saprà premiare gli sforzi dei leader politici dell”epoca.

II

La riunificazione tedesca fu un passo importante del processo che pose
fine alla Guerra Fredda. Per il mondo, e in particolare per l”Europa, si
aprirono della nuove prospettive. La forma di una nuova Europa stava
emergendo dalla Carta di Parigi firmata dai leader di tutti i paesi
europei, oltre che dagli Stati Uniti e dal Canada.

All”epoca sembrava che l”Europa potesse essere d”esempio per tutti gli
altri, nella creazione di un valido sistema di sicurezza reciproca, e
nell”assunzione di un ruolo guida per la soluzione dei problemi di un
mondo globale.

Ma gli eventi presero un”altra strada.

La politica europea ed internazionale non resse alla prova del
rinnovamento, e delle nuove condizioni del mondo globale nell”epoca
immediatamente successiva alla Guerra Fredda.

Bisogna ammettere che dalla creazione del nostro Forum, all”inizio di
questo secolo, non ci siamo mai incontrati in un clima tanto teso e
inquieto. Lo spargimento di sangue in Europa e in Medio Oriente, sullo
sfondo dell”interruzione del dialogo fra le grandi potenze, è motivo di
enorme preoccupazione. Il mondo si trova sul precipizio di una nuova
Guerra Fredda. C”è chi sostiene che sia già iniziata.

Eppure, per quanto sia drammatica la situazione, non vediamo la più
importante istituzione internazionale — il Consiglio di Sicurezza
dell”ONU — svolgere alcun ruolo, né prendere alcuna iniziativa. Che
cos”ha fatto per far tacere le armi e fermare l”uccisione della gente?
Avrebbe dovuto agire con determinazione per valutare la situazione e
sviluppare un programma d”azione congiunta. Ma ciò non è stato fatto, né
viene fatto. Perché?

Descriverei ciò che è accaduto nel corso degli ultimi mesi come un
crollo della fiducia — la fiducia che è stata costruita grazie al duro
lavoro e agli sforzi reciproci nel processo con cui si pose fine alla
guerra fredda. Quella Fiducia in assenza della quale le relazioni
internazionali nel mondo globale risultano inconcepibili.

Limitare l”analisi agli eventi più recenti, tuttavia, sarebbe sbagliato.
Devo essere onesto: questa fiducia non è stata minata ieri; è successo
molto tempo fa. Le radici della situazione attuale s”individuano negli
eventi degli anni ”90.

La fine della Guerra Fredda fu solo l”inizio di un percorso verso una
nuova Europa e un ordine mondiale più sicuro. Ma invece di costruire
nuovi meccanismi e nuove istituzioni a tutela della sicurezza europea, e
di inseguire una decisiva smilitarizzazione della politica europea —
cosa che per inciso era stata promessa nella Dichiarazione di Londra
della NATO — alla fine della Guerra Fredda l”Occidente, e in particolar
modo gli Stati Uniti, dichiararono vittoria. L”euforia e il
trionfalismo diedero alla testa dei leader occidentali. Approfittandosi
dell”indebolimento della Russia, e dell”assenza di un contrappeso,
proclamarono il proprio monopolio della leadership e del dominio del
mondo, rifiutandosi di ascoltare gli inviti alla cautela di molti dei
presenti.

Gli eventi degli ultimi mesi sono la conseguenza di politiche miopi,
della volontà d”imporre la propria volontà e il fatto compiuto,
ignorando gli interessi dei propri partner.

Eccone un breve, ma sufficiente, elenco: l”allargamento della NATO, la
Jugoslavia, e in particolare il Kosovo, i piani di difesa missilistici,
l”Iraq, la Libia, la Siria.

Metaforicamente, una piccola vescica si è nel frattempo trasformata in una ferita sanguinolenta e infetta.

E chi è che soffre maggiormente per tutto questo? Credo che la risposta sia piuttosto chiara: l”Europa, la nostra casa comune.

Invece di diventare un leader del cambiamento nel mondo globale,
l”Europa si è trasformata in un”arena di sconvolgimenti politici, di
competizione fra sfere d”influenza e, infine, di conflitto armato.
Inevitabilmente, la conseguenza di tutto ciò è l”indebolimento europeo,
proprio nel momento in cui altri centri di potere e d”influenza stanno
crescendo. Se va avanti così, l”Europa perderà la possibilità di far
sentire con forza la propria voce nelle questioni internazionali,
finendo col diventare gradualmente sempre più irrilevante.

Qui a Berlino, durante l”anniversario della caduta del muro, mi trovo
costretto a osservare come tutto ciò abbia inoltre avuto degli effetti
negativi sui rapporti fra Russia e Germania. Proseguire su questa strada
significherebbe causare danni duraturi ai nostri rapporti, che finora
sono sempre stati esemplari. Ricordiamolo: senza la partnership
Russo-Tedesca, in Europa non può esserci sicurezza.

III

Come iniziare a uscire da questa situazione?

L”esperienza degli anni ”80 dimostra che, anche in situazioni
apparentemente disperate, ci dev”essere una via d”uscita. La situazione
in cui il mondo si trovava allora non era né meno urgente né meno
pericolosa di quella in cui si trova oggi. Eppure riuscimmo a invertirne
il corso, — non solo normalizzando i rapporti, ma ponendo fine al
conflitto e alla guerra fredda. I leader politici dell”epoca possono
giustamente assumersene il merito.

L”obiettivo fu raggiunto innanzitutto grazie alla ripresa del dialogo.

Le derive negative possono e devono essere interrotte, e invertite. La
chiave ne è la volontà politica e una corretta valutazione delle
priorità.

E oggi la priorità dovrebbe essere innanzitutto il ritorno al dialogo, e alla capacità d”interagire e di ascoltarsi a vicenda.

I primi segnali di una ripresa del dialogo ci sono già stati. I primi
risultati, per quanto modesti e fragili, sono stati raggiunti. Mi
riferisco agli accordi di Minsk sul cessate il fuoco e sul disimpegno
militare in Ucraina, gli accordi trilaterali sul gas fra la Russia,
l”Ucraina e l”Unione Europea, e la sospensione dell”escalation delle
sanzioni reciproche.

In questo contesto vi invito a prendere attentamente in considerazione
le recenti dichiarazioni di Vladimir Putin durante il Forum di Valdai.
Nonostante la durezza delle sue critiche nei confronti dell”Occidente, e
in particolar modo degli Stati Uniti, nel suo discorso intravedo il
desiderio di trovare il modo per abbassare il livello di tensione, e in
ultima analisi di costruire delle nuove basi per una partnership.

Ciò che dobbiamo fare — e prima è, meglio è — è allontanarci dalle
polemiche e dalle accuse reciproche, per andare in cerca di punti di
convergenza, e allentare gradatamente le sanzioni, che sono dannose per
tutti. Un primo passo sarebbe quello di sollevare le sanzioni che
colpiscono determinate figure politiche e parlamentari, così da
permettere loro di partecipare alla ricerca di soluzioni reciprocamente
accettabili.

Una delle aree d”interazione potrebbe essere quella di aiutare l”Ucraina
a superare le conseguenze di una guerra fratricida, e ad avviare la
ricostruzione in quelle regioni che ne sono state colpite.

IV

Raggiungere quegli obiettivi a breve termine non sarà facile. Ma allo
stesso tempo dovremo compiere degli sforzi vigorosi in tutti gli altri
ambiti della nostra agenda comune.

Ne individuerei due all”interno dei quali il dialogo risulta altrettanto
importante, e che già hanno subito parecchi danni. Innanzitutto la
cooperazione nelle sfide globali, e in secondo luogo le questioni della
sicurezza paneuropea.

I problemi globali — terrorismo ed estremismo, incluso quello di natura
settaria; la povertà e la disuguaglianza; l”ambiente, il problema delle
risorse, e le migrazioni; le epidemie — stanno tutti peggiorando ogni
giorno.

Per quanto diversi essi siano fra loro, cӏ un tratto che li accomuna
tutti: nessuno di questi richiede una soluzione militare. Eppure i
meccanismi politici necessari a risolverli mancano, o risultano
disfunzionali.

Le lezioni di una crisi globale continua dovrebbero convincerci della
necessità di cercare un nuovo modello che garantisca sostenibilità
politica, economica e ambientale. Questo è un problema che dev”essere
affrontato adesso, senza ulteriori ritardi.

Lasciatemi parlare della sicurezza europea. Ritengo sia ormai evidente
che debba essere di natura paneuropea. I tentativi di affrontare il
problema della sicurezza europea ampliando la NATO, o attraverso una
politica di difesa dell”UE non possono portare risultati positivi. Anzi,
sono controproducenti.

E perciò dobbiamo tornare al tavolo di progettazione e lavorare a dei
piani per costruire un sistema di sicurezza europea che fornisca
rassicurazioni e garanzie a tutti i suoi partecipanti.

Abbiamo bisogno d”istituzioni e meccanismi che funzionino nell”interesse
di tutti. Bisogna riconoscere che l”OSCE [Organizzazione per la
sicurezza e la cooperazione in Europa, ndt], un”organizzazione nella
quale erano state riposte grandi speranze, non è stata all”altezza del
suo compito.

Significa forse che dovrebbe essere abbattuta per costruire al suo posto
qualcos”altro di nuovo? Non credo, tanto più che l”OSCE al momento sta
assumendo importanti funzioni di controllo in Ucraina. Ma direi che il
complesso richiede importanti ristrutturazioni, e qualche nuovo
edificio.

Anni fa, Hans Dietrich Genscher, Brent Scowcroft e altri proposero la
creazione di un Consiglio di Sicurezza, o di un Direttorato, per
l”Europa. Condividevo il loro approccio. Su quelle stesse line Dmitry
Medvedev — durante il suo mandato alla presidenza — ha proposto
un”iniziativa che richiedeva la creazione di un meccanismo di diplomazia
europea preventiva, e di consultazioni obbligatorie in caso di una
qualsiasi minaccia alla sicurezza di chiunque. Se un meccanismo simile
fosse stato creato, gli scenari peggiori degli eventi ucraini avrebbero
potuto esser prevenuti.

Perché questa e altre “idee europee” sono state archiviate? Certo, c”è
da incolparne i leader — ma anche noi siamo responsabili. Mi riferisco
alla classe politica europea, alle istituzioni della società civile, e
ai media.

Dobbiamo prendere in considerazione un”iniziativa non-governativa per
tornare a costruire una casa comune europea. Consiglio di riflettere
sulla forma che un”iniziativa simile potrebbe avere. Spero che nel corso
della nostra discussione si possano valutare dei modi e delle proposte
specifiche in questa direzione.

V

Per natura non sono un pessimista, e mi sono anzi sempre descritto come
un ottimista. Ma devo ammettere che in questa situazione essere
ottimista risulta piuttosto difficile. Ciò non di meno, non dobbiamo
cedere al panico e alla disperazione, né rassegnarci a un”inerzia
negativa. Finiremmo in un vortice senza via d”uscita. Le amare
esperienze degli ultimi mesi devono invece trasformarsi nella volontà di
tornare a impegnarci nel dialogo e nella cooperazione.

Ecco il mio appello ai nostri leader, e a tutti noi: riflettiamo, proponiamo e agiamo insieme.

Questo testo è originariamente apparso su The World Post United States ed è stato tradotto dall”inglese.

Fonte: http://www.pandoratv.it/?p=2225.

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