di Paolo Bartolini.
Il titolo di questo intervento, stimolato da Giulietto Chiesa e da altri amici impegnati nel dibattito interno ad Alternativa, suona volutamente paradossale. Come potrebbe, ciò che attiene al Sacro e si pone fuori dalle comuni coordinate spazio-temporali, essere appunto “in Transizioneâ€, preso nel vortice dei mutamenti storici, economici e culturali del nostro tempo?
Eppure, oggi più che mai, religioni e spiritualità laiche sono interrogate intimamente dalla crisi della civiltà del denaro e dalla minaccia ecologica che incombe sul pianeta.
D’altronde – e questo fa la differenza – solo uno sguardo miope e privo di interesse per i grandi fenomeni umani collettivi potrebbe non cogliere che i cittadini globali sono comunque immersi in una “religione della vita quotidiana†(è di Marx l’ottima definizione), il cui centro (sfuggente e infinitamente frustrante) è la dinamica di accumulazione del capitale.
Così, piaccia o meno, ogni epoca ha bisogno di un orientamento di Senso che stabilizzi gerarchie di valori e di priorità , per gli individui e per la società nel suo insieme.
Su questo terreno – quello del Senso – i diversi cammini spirituali e religiosi sono chiamati ad esprimersi.
Sbaglieremmo, tuttavia, se credessimo che la spiritualità debba alimentare speranze nel futuro, in un determinato futuro socio-politico che prima o poi si realizzerà . Saremmo ancora nei dintorni di un’escatologia ambigua, tesa a giustificare il presente più atroce in nome di un compimento dei tempi ancora e sempre da rimandare.
Lo Spirito, piuttosto, ci aiuta – con le parole magnifiche di Raimon Panikkar – a “sperare nell’invisibileâ€, dunque nella forza di una dinamica di Vita che è sempre e ovunque Presente. Qui ed ora, insomma, siamo chiamati a rispondere di ciò che è nelle nostre possibilità di azione e comprensione.
I recenti tentativi del Papa di avviare una riforma seria e duratura della Chiesa Cattolica, ma anche l’avanzamento del dialogo inter-religioso in corso da alcuni decenni, ci conferma che la sfera spirituale non può nascondersi in una sua presunta autosufficienza, tanto più ai tempi della globalizzazione.
Ora che i destini di miliardi di esseri umani sono palesemente annodati, mentre la Terra subisce lo stupro quotidiano di un consumo di risorse scioccamente “illimitatoâ€, ci sembra più che mai necessario domandarci quale tipo umano potrà affrontare la Transizione e guidarla, almeno in parte, verso esiti meno infausti.
Ebbene, ci pare che l’uomo spirituale – una volta liberato dal residuo anacronistico dei dogmi e delle pretese assolute di verità – sia l’unico capace di mettere in discussione alla radice il feticismo del Potere, di vincerne la mortifera seduzione attraverso una diversa e praticabile pienezza di vita, centrata sull’infinita apertura del desiderio invece che appiattita sulla ripetizione meccanica del godimento.
In questione, infatti, non è solo l’adozione di nuovi stili di vita, che promuovano la convivenza pacifica tra gli uomini e con la natura, ma la nascita di un Mito per il terzo millennio che riconfiguri il nostro rapporto con il Tutto a cui apparteniamo e che ci supera da ogni lato.
Tale mito, come è ovvio, non potrà mai essere progettato a tavolino e non si riduce ad un piano razionale. Possiamo solo sperare nell’invisibile e, quindi, imparare a cercarne le tracce nella forma concreta, transeunte, di ogni essere vivente. Coltivare una “visione profondaâ€, come direbbe la tradizione buddhista, è la premessa indispensabile per sentirci nodi di un’unica Rete e andare oltre le pretese di dominio dell’Io.
Non è in fondo questa consapevolezza l’apice estatico di ogni ricerca spirituale? Non è forse il silenzio operoso dei fratelli, intenti a costruire ogni giorno la pace e a vivere in Comunione, la massima prova che il Regno dei Cieli è già in Terra?
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