Tra Barroso e Bouhlel

15 anni dopo Genova, quando il globalismo neoliberista festeggiò sanguinosamente il suo trionfo, molti segnali sul precipitare del tutto. [F. Berardi Bifo]

Tra Barroso e Bouhlel
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20 Luglio 2016 - 17.42


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di Franco Berardi Bifo

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[right]Things fall apart; the centre cannot hold;[/right]

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[right]Mere anarchy is loosed upon the world,[/right]

[right]The blood-dimmed tide is loosed, and everywhere[/right]

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[right]The ceremony of innocence is drowned;[/right]

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[right]The best lack all conviction, while the worst[/right]

[right]Are full of passionate intensity.[/right]

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[right](Yeats: The Second Coming)[/right]

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[center]***[/center]

Fine del thatcherismo

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Quindici anni dopo Genova, quando il globalismo neoliberista festeggiò sanguinosamente il suo trionfo, molti segnali fanno pensare che tutto stia precipitando: il dominio neoliberista, che ha garantito un equilibrio di potere a livello globale sta franando, e la guerra civile frammentaria si espande in ogni area del pianeta, fino a coinvolgere gli Stati Uniti d’America dove la diffusione capillare di armi alimenta la quotidiana mattanza di cui gli afro-americani sono la vittima privilegiata.

I segnali si moltiplicano ma come interpretarli? Quale tendenza intravvedere? E soprattutto come ricomporre l’autonomia sociale, come proteggere la vita e la ragione dalla follia omicida che il capitalismo finanziario ha attizzato e il fascismo nelle sue varianti nazionaliste e religiose sempre più spesso aggredisce?

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Il 2 luglio del 2016, pochi giorni dopo il referendum che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, l’Economist, la rivista che ha sempre entusiasticamente appoggiato le politiche neoliberiste, dichiara improvvisamente e drammaticamente la disintegrazione del processo di globalizzazione. In un editoriale intitolato The politics of anger, sulla rivista, che in copertina mostra un paio di mutande con i colori della bandiera inglese e il grido punk Anarchy in the UK, possiamo leggere (con un certo sbalordimento): “dall’America di Trump alla Francia di Marine Le Pen, moli sono arrabbiati. Se non trovano una voce nelle forze di governo finiranno per farsi ascoltare uscendo dal sistema. Se non credono che l’ordine globali funzioni per loro il Brexit rischia di diventare solo l’inizio di un disfacimento della globalizzazione e della prosperità che essa ha creato”.

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La rabbia degli esclusi dalla globalizzazione, aggiunge l’Economist, è giustificata. “Coloro che propongono la globalizzazione, compreso il nostro giornale, debbono riconoscere che i tecnocrati hanno fatto degli errori e la gente comune ha pagato il prezzo. La scelta di dar vita a una moneta europea è stata una scelta tecnocratica che ha prodotto stagnazione disoccupazione e ora sta distruggendo l’Europa. Elaborati strumenti finanziari hanno confuso i regolatori, rovinato l’economia mondiale e hanno finito per far pagare ai contribuenti il salvataggio delle banche”.

Confesso che non mi sarei mai aspettato un’autocritica da parte della rivista che ha sempre con arroganza propagandato le politiche neoliberali. E invece: “Mentre il prodotto americano è cresciuto del 14 per cento, i salari medi sono cresciuti solo del 2 per cento. I liberali credono nei benefici di una rinuncia alla sovranità per il bene comune. Ma come mostra il Brexit quando la gente sente di non controllare la propria vita e di non ricevere i frutti della globalizzazione colpisce duro. E l’Unione europea è diventata un obiettivo”.

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È dunque finita l’epoca neoliberista? È dunque prossimo il crollo del capitalismo globalista? Le cose non sono così semplici. Nessuno ha idea di come sostituire le politiche neoliberali, nessuno ha in mente un modello sociale che possa prendere il posto della dittatura dei mercati che negli ultimi quattro decenni, partendo proprio dall’Inghilterra della Thatcher, ha trasformato la società il lavoro e la politica. Inventare un processo di fuoriuscita dal capitalismo è il compito gigantesco che attende l’intelligenza autonoma. Mentre intorno infuria la guerra.

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Una bomba a orologeria

La Brexit fa paura per tante ragioni: perché spalanca le porte del nulla di fronte all’Unione europea, perché rende possibile uno sgretolamento dello stesso Regno Unito, perché apre prospettive recessive all’economia globale che già si trova in condizioni di stagnazione e sovrapproduzione deflattiva. Ma anche, e forse soprattutto perché l’Inghilterra è stata negli ultimi due secoli l’avanguardia del capitalismo mondiale: lì iniziò l’offensiva neoliberista, perché quando qualcosa accade a Londra ben presto gli effetti si fanno sentire dovunque. Prima di tutto si fanno sentire negli Stati Uniti, dove nel 1980 Ronald Reagan importò le politiche thatcheriane, e dove oggi si svolge una campagna elettorale dominata dalla ridicola figura di Donald Trump.

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Forse anticipando la futura vittoria trumpista, all’inizio di luglio il presidente Obama ha partecipato a Varsavia a un vertice Nato di cui non si è parlato abbastanza. In questo vertice si sono prese decisioni che possono portare l’Europa sull’orlo di un abisso militare. Dopo aver dispiegato 25.000 soldati Nato nell’esercitazione Anaconda, in Polonia, ora la Nato decide di schierare permanentemente truppe nei paesi Baltici, in un’area in cui la più piccola provocazione potrebbe portare a due esiti: il confronto militare con la Russia di Putin, o il disfacimento della Nato. Il colpo di stato in Turchia mostra che quel paese è diventato un terreno di scontro tra Russia e Nato.

Sconfitti i generali filo-americani Erdogan trasforma il paese in una dittatura islamista e fascista, e stringe un patto con Putin. Perduta la motivazione originaria, la Nato è oggi una fragile architettura che rischia di intrappolare l’Europa. Lo scrive il tedesco Jochen Bittner in un articolo dal titolo Does Nato still exist? (Sul NYT dell’8 luglio). “La Nato tenta di contrastare il suo declino col suono delle sciabole più pesanti. Il suo gruppo dirigente vuole fare degli stati baltici quel che un tempo era Berlino Ovest: un detonatore nucleare”.

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Il vertice di Varsavia, poi il colpo di Stato in Turchia: la Nato è ormai una bomba a orologeria la cui esplosione può avere effetti inimmaginabili.

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Estate nera in America

Mentre in America inizia la campagna elettorale un’impressionante successione di omicidi razzisti, che suscitò nell’autunno 2014 il movimento Black lives matter, porta la popolazione afro-americana a un tale grado di esasperazione che nelle manifestazioni si grida: “Kill the police”, e a Dallas un ragazzo nero di nome Micah, addestrato alla guerra in Afghanistan, ha sparato sui poliziotti uccidendone cinque. Confesso che dopo aver ricevuto le prime informazioni sulla strage di Dallas, quando ancora circolava la notizia che si trattasse di un gruppo armato, ho pensato che dopo tanti anni si ripresentasse sulla scena un’organizzazione rivoluzionaria armata come Black Panther Party dei primi anni ’70.

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La realtà si è rivelata ben presto più banale. Nessuna azione collettiva armata, ma il solito atto di disperazione suicida, simile ai tanti che da Columbine in poi punteggiano la vita di un paese in cui chiunque può procurarsi armi micidiali perché la National Rifle Association possa incrementare i suoi profitti.

La reazione dell’establishment è stata di un’ipocrisia rivoltante. Dicono che l’azione di Micah Jones avrà il risultato di far perdere al movimento la sua influenza e i risultati che aveva acquisito. Ma quale influenza e quali risultati? Da Ferguson in poi il movimento è cresciuto, ha marciato in tutte le città del paese, ma lo stillicidio di omicidi razzisti polizieschi non ha mai rallentato il suo ritmo.

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All’inizio di luglio molti si sono chiesti se si tratti dell’inizio di un’insurrezione nera, simile alle rivolte che da Newark a Watts a Detroit segnarono in maniera indimenticabile gli anni ’60 americani. Io direi di no. Negli anni ’60 e ’70 la rivolta nera faceva parte di un movimento che si dispiegava in ogni area del mondo e si prefiggeva di trasformare i rapporti sociali in senso progressista e rivoluzionario, e che riuscì effettivamente a migliorare le condizioni di vita di milioni di persone, tra cui naturalmente la popolazione afro-americana. Purtroppo quel movimento mondiale antiautoritario e socialista fu sconfitto dalla controrivoluzione capitalistica.

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Quel che è accaduto dagli anni di Thatcher in poi è noto: distrutto il movimento dei lavoratori con l’attiva collaborazione degli infami partiti della sinistra, il capitalismo finanziario ha potuto liberamente devastare l’ambiente, la vita sociale e l’equilibrio psichico dell’umanità. Qualcuno aveva detto: Socialismo o barbarie. Il socialismo è stato sconfitto. E la barbarie avanza inarrestabile.

Il movimento nero che un tempo gridava Black power ora implora Black lives matter. Queste parole sono il segno di una sconfitta gigantesca. Fate di noi qualunque cosa, ma per favore non ammazzateci.

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Razzismo bianco Fascismo islamista guerra civile globale

I lavoratori sono stati ricattati, precarizzati, impoveriti, e non hanno più alcuno strumento per difendersi. Perduta ogni possibilità di emancipazione e di organizzazione oggi si aggrappano disperatamente alla sola forma di identità che gli rimanga: l’appartenenza etnica, religiosa o nazionale. Rotta la solidarietà internazionalista la disperazione si aggruma in forma identitaria, e il fascismo si ripresenta. Non siete operai sconfitti, ma popolo – questo dice il fascismo. E i popoli fanno la guerra, perché è la sola cosa che sanno fare.

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L’eredità di secoli di colonialismo e di schiavismo si ripresenta oggi in tutto il mondo. Per i popoli colonizzati, depredati, sottomessi a schiavitù, la sola ribellione è la vendetta armata. L’islamismo radicale è l’avanguardia di questa vendetta. La migrazione di massa dal sud al nord del mondo è la conseguenza dell’irrisolta eredità coloniale, e delle nuove guerre che la vendetta armata non fa che alimentare. E intanto l’impoverimento dei lavoratori bianchi d’Europa e d’America alimenta un’onda di razzismo sociale e di nazionalismo i cui effetti sono il Brexit e lo sgretolamento dell’Unione.

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Numericamente declinanti, i bianchi invecchiano, mentre le popolazioni colonizzate, più giovani e demograficamente crescenti, premono alle frontiere. C’è una sorta di frustrato supremachismo al fondo dell’inconscio bianco, che si oppone al supremachismo aggressivo dei popoli che cercano vendetta. Esiste una possibilità di evitare che lo scontro tra razzismo supremachista e pressione aggressivamente disperata dei popoli colonizzati si risolva in una carneficina globale? Esisteva, e si chiamava socialismo. Quella possibilità stata cancellata e quello che rimane è barbarie, razzismo e la guerra civile globale.

L’eredità del colonialismo

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Secoli di oppressione coloniale impoverimento e deportazione della forza lavoro stanno presentando il conto. Solo una cultura internazionalista renderebbe possibile la necessaria redistribuzione delle risorse, e solo una politica egualitaria e socialista può rendere possibile l’internazionalismo. La sconfitta del movimento operaio (di cui è responsabile la sinistra convertita al liberismo) ha distrutto quella possibilità aprendo le porte dell’inferno. Ora siamo all’inferno e non si vede via d’uscita.

La pressione migratoria sulle frontiere europee continuerà e l’Unione europea reagisce da potenza coloniale. Un documento della Commissione europea dell’inizio del giugno 2016 sostiene che entro il 2025 occorrono 83 milioni di lavoratori ad alta qualificazione che l’Europa in calo demografico (e in piena descolarizzazione) non è in grado di fornire. Di conseguenza il documento afferma che occorre favorire l’afflusso di lavoratori qualificati dal sud del mondo. Gli altri crepino in mare o nelle mani di Erdogan. I paesi poveri verranno ulteriormente impoveriti dal drenaggio di cervelli mentre aumenteranno le forze del terrore. L’Unione europea è un morto che cammina. Il sistema bancario europeo (Deutsche Bank in testa) batte cassa di nuovo, per l’ennesima volta. Naturalmente il sistema bancario otterrà quel che vuole e la società europea pagherà, per l’ennesima volta. La sinistra francese sprofondata nell’abiezione morale, impone un salto di qualità nella precarizzazione del mercato del lavoro e cancella le 35 ore. Si tratta delle ultime battute di un ceto politico infame che si segnala soltanto per la sua incultura e il suo servilismo. Presto penzoleranno sulla forca che i fascisti gli stanno preparando in Francia come in Austria come altrove: dovunque.

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Questi sono gli attori sulla scena europea: il ceto finanziario predatorio e questuante e il nazional-socialismo montante. I governi sono ridotti a ripetere bofonchiamenti sulla democrazia e la crescita imminente. Che farà Merkel ora che il suo beniamino Merdogan provoca un colpo di stato per eliminare definitivamente ogni parvenza di democrazia? Concederà il visto ai turchi per ottenere che l’assassino ospiti i migranti siriani che i popoli europei non sono disposti ad accogliere?

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L’orrore

In una sorta di crescendo dell’orrore, la demenza islamo-fascista lancia attacchi contro la vita quotidiana nelle città europee, mediorientali e asiatiche. La carneficina nizzarda compiuta dal macho fallito Mohamed Lahouaiej Bouhlel giunge contemporanea alla notizia che il signor Manuel Barroso, presidente della Commissione europea tra il 2004 e il 2014 (massima autorità del morto che cammina) è ora ufficialmente dipendente dell’agenzia finanziaria Goldman Sachs, un organismo internazionale al cui confronto Bouhlel appare come un dilettante nell’arte del massacro.

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Conclusione

Come scriveva Yeats nel 1919:

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“La marea insanguinata s’innalza e dovunque. La cerimonia dell’innocenza è annegata. I migliori mancano di ogni convinzione mentre i peggiori sono pieni di intensità appassionata”.

La resistenza può oggi organizzarsi soltanto in forma marginale: la società è paralizzata, incapace di difendere i suoi interessi e i suoi diritti. In Italia si gioca a fare i referendum, come se il problema fosse la forma della democrazia, quando è del tutto evidente che la democrazia è un arnese da tempo spuntato, privo di ogni efficacia e credibilità. Al referendum d’autunno andrò comunque a votare, non perché me ne importi delle forme della democrazia: voterò perché voglio che il governo Renzi crolli, e si acceleri il crollo di quel che resta dell’Unione.

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Solo allora la società comincerà a porsi il problema della solidarietà,
dell’autorganizzazione e della fuoriuscita dal cadavere del capitalismo. Il prossimo decennio sarà dominato da una guerra sempre più sanguinosa e devastante. Chi non lo vede è in pericolo. Chi cerca di negarlo è pericoloso. Chi lo sa cominci a costruire le strutture della solidarietà che serviranno a sopravvivere, e a ragionare sulle forme di una società egualitaria, per ritornare un giorno a vivere. Forse.

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(17 luglio 2016)

[url”Link articolo”]http://comune-info.net/2016/07/tra-barros-buhel/[/url] © Franco Berardi Bifo © Comune-info.

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