Rabbia e paura. Gli aspetti più profondi oltre lo scenario politico italiano

Non ci sono in gioco soltanto variabili di tipo politico, sociale, economico, culturale, ma anche fattori di altra natura, che è bene osservare. Uno sguardo sulle energie in campo.

Rabbia e paura. Gli aspetti più profondi oltre lo scenario politico italiano
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14 Giugno 2018 - 12.12


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di Luisa Martini.

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Ognuno si interroga, oggi, chi con paura chi con speranza, davanti allo scenario politico italiano. Quali sviluppi, quali conseguenze possiamo, dobbiamo attenderci? Al di là delle dichiarazioni e delle molte analisi possibili, uno sguardo sulle energie in campo può essere di qualche utilità.

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Non ci sono in gioco, infatti, soltanto variabili di tipo politico, sociale, economico, culturale, ma anche fattori di altra natura, che è bene osservare perché sono in grado di agganciare i singoli a forme più vaste che hanno una loro autonomia rispetto alle strategie politiche, sia nelle finalità sia nelle modalità.

Osservare queste forme può contribuire alla comprensione di aspetti più profondi di ciò che sta avvenendo e suggerire strumenti diversi per affrontare la crisi in modo costruttivo. Insieme ai rischi ci sono infatti delle opportunità cruciali per la nostra evoluzione, non solo come sistema politico italiano, ma anche come singole persone e come umanità. Più che attendere, possiamo essere partecipi attivamente prendendo coscienza e facendoci carico di alcune energie che ci attraversano.

 

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La rabbia: scontento, protesta, esasperazione, indignazione, disprezzo per l’avversario, sono alcune delle molte sfumature di questa energia che serpeggiano in ogni schieramento, senza distinzione di parte politica. Molti hanno temuto e ancora temono l’esito violento della rabbia popolare, un esito verso il quale la rabbia tende naturalmente specialmente al raggiungimento di determinate soglie, e per questo costoro vorrebbero reprimerne la manifestazione. Pessima idea, e controproducente: la rabbia repressa non fa che aumentare e diventare più pericolosa. Se gli italiani hanno votato così hanno dei motivi, sarebbe ora di riconoscerlo: il modo migliore per governare la rabbia è consentirle di esprimersi, darle vero ascolto. E’ necessario accoglierla e trasformarla, perché la rabbia racchiude un potenziale creativo vitale che può rivelarsi decisivo nella soluzione della crisi in cui ci troviamo.

La rabbia che nasce da un senso di ingiustizia stimola un desiderio di rivalsa che non è semplicemente prepotenza, ma voglia di riscatto, bisogno di ragionare e di comprendere, di conoscere e appropriarsi di strumenti nuovi, anche intellettuali. Tutto ciò è eminentemente necessario soprattutto laddove si trovi l’ignoranza: pertanto la rabbia ha un grande potenziale di evoluzione e crescita costruttiva per il singolo e per la società. Permettere alle istanze popolari cariche di rabbia di manifestarsi, esprimersi e collocarsi al comando è un passaggio necessario per questa trasformazione costruttiva.

Riconosciuta, questa rabbia si trova nelle condizioni di potersi confrontare con il sistema, obbligata a prendere forma nuova, aggiornarsi, dotarsi di nuove conoscenze e strutture di pensiero, e a liberarsi di ciò che non può essere assimilato. E’ dunque vitale soprattutto per coloro che la temono permettere ed accettare che emerga e spinga le persone a parlare e ad agire. Più questo le sarà consentito nei canali istituzionali, più sarà possibile che avvenga una trasformazione costruttiva, perché all’interno di questi canali la rabbia non è sola, ma trova lo spazio per confrontarsi con altri e dare vita a qualcosa di nuovo sì, ma ancorato all’esistente.

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Emerge in questa fase tutta l’importanza di una opposizione che sia intelligente e autenticamente al servizio del bene comune (anziché del proprio, con polemiche fini a se stesse): anche le forze politiche sconfitte alle ultime elezioni hanno dunque l’occasione di ritrovare identità e forza. Un’occasione che devono saper cogliere, il che non è scontato a giudicare dalle condizioni in cui versa il dibattito interno.

Il passaggio tanto criticato del contratto di governo, nel quale molti vogliono vedere semplicemente l’incoerenza di due gruppi o di due leader che fino a poco tempo fa si accusavano a vicenda, è in realtà già una fase del processo di trasformazione della rabbia entro argini democratici, un processo che tutti dovremmo salutare come positivo. Infatti due collettori della protesta popolare, diversi per natura uno dall’altro, e ognuno al proprio interno vario e composito, hanno portato nel canale istituzionale una forte spinta al cambiamento. Lì, se vuole poter incidere sulla realtà, questa spinta al cambiamento è costretta a confrontarsi con altre istanze, deve imparare a mediare con l’altro. E’ una attitudine che nessuno dei due gruppi aveva dichiarato in partenza, una abilità che nessuno dei due sembrava possedere, ma che è stata sollecitata già nei novanta giorni che hanno preceduto il giuramento del nuovo governo, periodo nel quale è diventato chiaro che senza capacità di mediazione sarebbero stati inutili e sprecati anche i voti ricevuti. In un comizio si è liberi, ma anche isolati e senza potere. In un ingranaggio democratico si deve mediare, e quindi anche lasciare indietro qualcosa e trasformarsi, per poter agire. Questo è già un passo di trasformazione democratica, attraverso il quale la rabbia, invece di esprimersi ciecamente, spinge a trovare una via costruttiva verso il cambiamento lasciando indietro qualcosa di sé. Questo aspetto dovrebbe essere apprezzato, anziché esecrato.

Nessuna energia entra in un processo restando uguale a se stessa. Solo chi non si confronta resta sempre uguale a se stesso. Occorre aver fiducia, se non nelle persone, almeno nelle leggi di questo mondo, che impongono a tutto una trasformazione.

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La paura: in questo caso attanaglia soprattutto chi non ha personalmente gravi motivi di malcontento e non sostiene i gruppi di turno al potere. Costoro temono la deriva autoritaria, l’incompetenza, la bancarotta, la barbarie. Chi fino ad oggi si è sentito in qualche modo compreso nell’orbita di una qualche ‘melior pars’, patisce molto il prevalere di chi non sa nemmeno che cosa ciò significhi. E’ prima di tutto una ferita narcisistica, dal momento che molti disastri attuali ed imminenti sono stati preparati ben prima e da ben altri che questo governo appena insediatosi. Non è quindi una paura fondata su argomenti autenticamente ragionevole. La paura si appella al diritto non per vero spirito di condivisione, ma in realtà per spirito di egoismo: accogliere tutti sì, ma non te che sei stato eletto. Dialogare con tutti sì, ma non con te che la pensi troppo diversamente. Io sono democratico e civile, tu no, e non mi sporcherò certo le mani per costruire qualcosa di buono con te. 

La paura vuole contagiare e trattenere, conservare tutto immobile anche quando non funziona perché ‘il peggio incombe’. La paura è realmente il contrario non del coraggio, ma dell’amore. Se il medico avesse paura e schifo della malattia, non potrebbe avvicinarsi al malato e curarlo; se un educatore avesse paura dell’ignoranza, degli atteggiamenti ribelli e provocatori, non potrebbe relazionarsi proprio con i ragazzi più bisognosi del suo intervento; se un genitore avesse paura di fare dei sacrifici, non potrebbe mettere al mondo e crescere dei figli. Il coraggio di curare, coltivare e trasformare l’esistente viene dall’amore. La paura è la reazione di un’umanità immatura di fronte alla realtà, la quale può essere sgradevole e problematica, ma cambierà soltanto con il nostro contributo positivo, non certo col nostro disprezzo e il nostro rifiuto. La paura va quindi osservata con attenzione perché racchiude e sollecita un grande potenziale di amore ancora inespresso.

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L’amore ha a che fare con la politica? Certamente, perché ha a che fare con tutto ciò che è autenticamente umano, e la politica dovrebbe essere, restare, e – nel caso – ritornare ad essere una attività e una capacità eminentemente umana. In ogni tempo e in ogni cultura voci autorevoli lo hanno ricordato in molti modi. Gesù Cristo ha riassunto tutta la legge (la legge, quella che regolava la vita concreta di un popolo) nell’amore. Ricordare tutti gli altri sarebbe lungo, ma ognuno certamente può farlo.

Tra chi, in tempi più vicini a noi, ha riflettuto su questi temi, possiamo citare Rudolf Steiner il quale scrisse:

“Non vi è null’altro, nella vita umana, che possa venir pensato nel modo giusto riguardo alla società, se non ciò che a questo riguardo viene pensato con amore materno. […] Una efficace soluzione dei cosiddetti problemi sociali non è altrimenti possibile se non a condizione ch’essa venga da pensatori capaci di alimentare un amore materno nel risolvere i problemi. E’ una faccenda molto umana quella da cui dipende la risposta alle esigenze sociali del tempo presente. Non è una questione di acume, o di ordinaria intelligenza, o di erudita convinzione, ma è una questione di potenziamento della capacità di amare fino al grado in cui si dispiega l’amore materno”

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(Rudolf Steiner,  Trasformazione e redenzione dell’uomo e della società, Editrice Antroposofica).

Ancora più vicino a noi, Ernesto Balducci scriveva:

“In apparenza l’unità del genere umano si frantuma, ma in realtà si stanno preparando le condizioni del passaggio dalla unificazione coatta alla libera comunione. […] Sotto il giogo di una sperequazione economica crescente, l’umanità che si sta apprestando a diventare il soggetto della propria storia è percorsa da brividi di regressione tribale o da sussulti di volontà di potenza. Questa soggettività dissestata è ancora ben lontana dai livelli di consapevolezza unitaria richiesti dalla congiuntura ma è attraversata, per la prima volta, da provocazioni comuni che, sollecitando la risposta dell’istinto radicale della specie, quello della sopravvivenza, mettono in moto risorse creative rimaste latenti, suggeriscono nuove formazioni politiche, nuove convenzioni internazionali, nuove istituzioni e preparano, così, i presupposti di quel nuovo patto sociale da cui dovrebbe nascere il soggetto politico all’altezza delle sfide del tempo. Questa metamorfosi è già evidente nel vecchio mondo europeo che ha creato e gestito fino a oggi il modello della modernità.”

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(Ernesto Balducci, La terra del tramonto, Giunti editore)

 

Se ognuno di noi saprà riconoscere prima di tutto in se stesso l’azione di queste forze e le potenzialità che esse racchiudono, lavorando per accompagnarne la trasformazione in un senso autenticamente umano, sarà possibile cogliere l’occasione di evoluzione che questi tempi difficili offrono.

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L’occasione che abbiamo è quella di contribuire a costruire una società in cui non ideologie contrapposte, non rigidità di pensiero e di bandiera, non rabbia e paura, ma intelligenza, creatività e amore dirigano le scelte politiche e gli scambi tra le persone: la storia ci spinge ad evolvere da Homo Sapiens a Homo Amans.

A ciascuno di noi l’augurio di saper cogliere questa occasione epocale, per un bene che è insieme personale, comunitario, planetario.

 

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