di Dafni Ruscetta.
Abbiamo visto, in queste settimane di paura, come la bellezza (di forme, colori, suoni, odori, atteggiamenti etc.) esploda all’improvviso, manifestandosi con caparbia volontà, come un bisogno, un richiamo d’altrove. Spesso accompagnata dalla sofferenza, dalle esistenze appese a un destino che fa paura; in quei momenti, tra gli interstizi della più buia umanità, riprendono a crescere i fiori, rivitalizzati da un ‘concime’ filosofico e spirituale che abbiamo a lungo dimenticato di coltivare. Ripartire proprio da qui, da tutto il buon senso sprigionato in questo periodo di forzata – e talvolta drammatica – clausura. Partire da quel fuoco, da tutte quelle buone pratiche che hanno rivelato brace ardente sotto la cenere delle miserie della narrazione tecnocapitalista degli ultimi decenni. Ripartire dai momenti di bellezza a cui abbiamo assistito in questi giorni: le espressioni artistiche libere e spontanee, quelle di solidarietà, le manifestazioni di ironia e la capacità di sdrammatizzare, vero patrimonio di gran parte della cultura italiana. Non voglio fare l’elogio dell’identità nazionale, che non amo, in quanto richiama una dimensione politica, una retorica nazionalista, esclusivismo di matrice etnocentrica. A tal proposito mi ha fatto riflettere il fatto che, enfaticamente, di fronte a un evento così terribile e sconosciuto, la pandemia, si parli di ‘guerra‘. L’uomo, in particolare quello del mondo e della cultura occidentale, ha l’abitudine a ragionare per dicotomie, dualismi, che sono poi la vera causa delle ideologie a senso unico, che imprigionano l’individuo nelle sue gabbie; le ideologie ci portano a ragionare sempre e solo in termini di bene e male, di amici e nemici, di pace e guerra. Anche nella situazione drammatica di questi giorni, anziché farci domande sul nostro stile di vita, sulla necessità di ripensare un intero apparato culturale-filosofico – ancor prima che politico-economico e sociale – ci poniamo di fronte a un ente esterno, il virus, richiamando il simbolismo atavico dello scontro fisico, funzionale a mantenere vivo un meccansimo consolatorio: la necessità di individuare sempre un nemico dietro ai nostri mali, alle paure. No, questa non è una guerra, per una volta non è il frutto della volontà umana, è un evento doloroso della vita, la quale probabilmente si sta ribellando al nostro ego, al nostro voler controllare tutto, natura compresa. Il virus è probabilmente un semplice antagonista, qualcosa che si frappone alle nostre coscienze assopite, come a risvegliare un senso genuino per l’universo e per la vita. Dovremmo fare i conti, una volta per tutte, con le nostre fragilità di esseri viventi; la nostra epoca ci ha abituati all’idea che la tecnica, la scienza, il danaro, possano controllare tutto, la morte è stata per troppo tempo censurata, come un fatto accidentale, nella cultura del materialismo.
E’ dunque fondamentale – l’unica vera salvezza per questo XXI secolo – ripensare a un nuovo senso di identità, con un’accezione individuale che aiuti la persona ad agire responsabilmente nel suo percorso esistenziale; l’identità intesa in senso ‘nazional-popolare’ è solo lo strumento di cui si serve il potere per governare le masse. D’altra parte la consapevolezza di chi siamo, da dove veniamo, non può prescindere dallo studio delle culture del mondo, la storia non può solo occuparsi dei principali accadimenti politici che si sono succeduti nel corso del tempo. La conoscenza diffusa della micro-storia e delle espressioni culturali delle diverse forme di umanità è propedeutica al senso di identità personale, perché consente una elaborazione intima e personale del proprio sé all’interno di una comunità.
Denaro, crescita infinita della produzione di merci, accumulazione di beni di consumo, ideologie, potere, sesso e piacere, Internet, etc, sono le forme (imposte) di dominazione del nostro immaginario collettivo da troppo tempo, che ci rendono prigionieri attraverso l’attaccamento al lato materiale, fondamento dell’egoismo, e l’appagamento effimero dell’Io. A tal proposito mi ha colpito un potente slogan lanciato nei giorni scorsi: “Non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema”. L’attuale pandemia da Covid19, tragico e inaspettato evento della storia dell’umanità, forse ci dice che è davvero giunto il tempo, adesso e senza ulteriori proroghe, di comprendere tali dinamiche, di guardare alle nostre ferite e di cercare altre forme di soddisfazione del nostro sé, andando a cercare la fonte inesauribile, il centro di gravità permanente, nel nostro essere più intimo. Solo da qui nasce la pace, nella scelta tra verità e follia.
Questi giorni di ‘assenza’ dal mondo, di forzata ‘reclusione’ ci hanno certamente insegnato molto, ci hanno reso una dimensione sconosciuta, o forse semplicemente dimenticata. Provate a immaginare che a molti di noi, in fondo all’animo, questa realtà – al di là dei disagi e delle paure – abbia risvegliato un senso di armonia che avevamo smarrito o forse mai conosciuto veramente. Il distacco dal mondo, se consapevole e volontario, non è mai isolamento, la ricerca di una vita più autentica non è mai una chiusura in se stessi, a volte consente di recuperare il valore della dimensione spirituale e delle relazioni umane.
Quanti di noi, in queste giornate, hanno riscoperto il valore della condivisione familiare, dei ritmi rallentati, dell’attenzione verso i propri cari? Quanta passione si è risvegliata nello scelta degli ingredienti di una ricetta da cucinare, e quanto ci è sembrato più buono del solito quel pasto? Quanti hanno riscoperto l’importanza delle piccole botteghe di prossimità e dei loro prodotti genuini? Quanti di noi hanno nuovamente assaporato alcuni riti quotidiani dell’infanzia? Quanti hanno rispolverato antichi interessi e passatempi casalinghi, dallo strumento musicale alla pulizia della casa, dal bricolage all’arte, dalla lettura di poesie alla contemplazione del fuoco del camino? Quanti si sono meravigliati nell’apprendere che gli animali – cervi, daini, delfini, lepri, cinghiali – hanno ripreso a invadere gli spazi abitualmente frequentati dall’uomo in sua assenza, anche negli angoli più antropizzati del pianeta? Quanti, ancora, hanno osservato con ammirazione, o si sono perfino commossi, per i numerosi esempi di impegno, solidarietà umana e condivisione nell’aiutare chi ne aveva bisogno? Insomma, quanti si sono resi conto (o forse ricordati), nel momento della privazione della libertà, di quale sia la vera libertà?
Ripartiamo proprio da qui allora. Anche senza stravolgere
totalmente l’impostazione della propria vita, la dipendenza dal denaro e
dal consumo sfrenato di merci può essere stravolta.
Per fare ciò occorre inventarsi una diversa narrazione del mondo, anzitutto sovvertire il paradigma culturale che accomuna le ideologie
ottocentesche e novecentesche d’ispirazione liberale e socialista.
Occorre incentivare nell’immaginario collettivo nuovi valori orientati alla all’umiltà, alla sobrietà, alla solidarietà. Occorre convincere gli altri, tramite l’esempio virtuoso quotidiano, di cosa sia ‘cool’ e di cosa non lo sia più, di cosa sia nocivo, nel nostro stile di vita, per il processo di sviluppo personale, per una felicità meno effimera e artificiale. Era questo forse il senso del cambiamento antropologico a cui alludeva Pierpaolo Pasolini per l’Occidente.
La felicità si nutre di bellezza, ne ha bisogno la psiche stessa; oggi, più che mai, la bellezza – quella disinteressata e non mediata dai canoni del libero mercato – è a fondamento dell’armonia, dell’amore, della solidarietà. L’abbiamo vista tante volte in questi giorni, ad esempio nelle mascherine colorate con i disegni dei bambini nelle corsie d’ospedale, o nelle anziane signore che ballavano dai balconi del sud Italia per esorcizzare la paura della morte, o nel lavoro instancabile dei volontari che andavano a servire il pasto nelle mense dei poveri, nonostante la paura del contagio. Sono solo esempi di forme poetiche del vivere d’oggi, perché siamo, inevitabilmente e indistintamente, parte di un tutto, non vi è separazione. Questa unità si declina in diverse forme e rappresentazioni, conoscere quelle forme aiuta a comprendere meglio le dinamiche culturali, economiche, sociali, politiche che stanno alla base delle moderne e complesse società.
Da qui non si tornerà davvero più indietro. Per rimarcare questa evidenza termino con una proposta, semplice ma dalla forte valenza simbolica. Isituire, d’ora in avanti, a perenne ricordo di questo momento doloroso, in memoria delle tante persone che se ne sono andate non potendo ricevere un saluto e un conforto, in testimonianza di un momento di profondo ripensamento del nostro stare al mondo, la celebrazione – in maniera ufficiale e solenne – del 21 marzo come giorno della ‘primavera dell’umanità‘, metafora di una rinascita ormai non più prorogabile.
“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi, d’antico: io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole…” (G. Pascoli, L’Aquilone).