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Una nuova politica anticapitalistica senza spontaneismi e senza dogmi

Una nuova politica anticapitalistica senza spontaneismi e senza dogmi
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8 Novembre 2011 - 07.19


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legomarxismdi Piero Pagliani.

Il recente documento del professor Guido Cosenza pone in campo diversi elementi critici che non possono essere ignorati. Io cercherò di affrontarne solo due, di carattere nodale. Inizio dalla seconda parte. La critica alle soluzioni organizzative immaginate da Alternativa  sembra scaturire dalla constatazione che le condizioni che potevano giustificare la validità della forma-partito sono mutate e, oltretutto, l”esperienza storica del comunismo novecentesco dovrebbe suggerire soluzioni differenti.

Io invece penso che da quelle premesse non si possano trarre quelle conclusioni e teorizzare che bisogna fare tutto l”opposto. In specifico, io non penso che il partito con politburo sia stato in quanto tale la causa della sconfitta (o se volete, del disastro) del socialismo reale. Perché, se per quello, il partito leninista è stato anche l”unica forma politica che per la prima volta nella storia ha portato al potere le classi subalterne (se si eccettuano la brevissima Rivolta dei Ciompi e la meteora Comune di Parigi).

Il processo ha subito una corruzione? Va bene, ma non a causa della “burocratizzazione”, della “forma partito”, la prima classica tesi trotzkista e la seconda consiliare che a mio modo di vedere non vanno a fondo delle cose, cioè non deducono le categorie interpretative dalle condizioni storico-sociali.

Di contro, non si è mai visto un movimento spontaneo-molecolare che noi sia stato prima incistato, e in seguito utilizzato come bella statuina oppure distrutto senza difficoltà quando è diventato scomodo.

Nella storia recente è da almeno il Sessantotto che il mondo è pieno di movimenti molecolari di base nati con le migliori intenzioni. Cioè da più di quarant”anni. E il risultato è che le cose sono peggiorate a dismisura. Il movimento no-global, che il «New York Times» in vena di titillamento sornione della vanagloria dei vari leader e leaderini chiamò la “seconda potenza mondiale”, non è riuscito a ritardare le guerre di Bush nemmeno di un”ora, non dico evitarle.

Alla faccia della seconda potenza mondiale.

E alla faccia delle moltitudini, magari desideranti ma alla mercé di chi sa come organizzarle e indirizzarle verso desideri utili o compatibili coi propri giochi di potere.

Occorre trovare le opportune forme organizzative e gli opportuni linguaggi per far convergere i movimenti molecolari spontanei verso obiettivi politici generali, non sostenere che gli obiettivi politici generali e le analisi generali possono essere accessibili da movimenti molecolari spontanei senza una organizzazione generale (per poi chiedersi immancabilmente: “Ma perché non ci riusciamo?”).

La lotta al capitalismo è tutto tranne che spontanea.

Il resto delle critiche al programma rivela un”impostazione marxista molto ortodossa, specialmente rispetto alla coppia struttura-sovrastruttura: ovvero la sovrastruttura dipende strettamente dalla struttura. Qui l”esperienza storica di longue durée dovrebbe invece averci insegnato che le cose non stanno per nulla così.

È una registrazione empirica e non storica fermarsi alla constatazione che la costituzione e le istituzioni democratiche sono nate da determinati e ben conosciuti processi storici. Tuttavia, come già sapeva Marx, le idee nate in un frangente storico non sono legate meccanicamente ad esso. È quel che si evince, ad esempio, dalle domande che Marx pone sul perdurare della validità artistica di prodotti della storia passata, addirittura quando quelle condizioni storiche sono morte e sepolte da un pezzo (mi verrebbe da chiedere a questo “marxismo-causa-effetto”, come mai dopo duemila anni, e ogni tipo di rivoluzione sociale, scientifica,tecnologica, filosofica e antropologica inimmaginabile, ci siano ancora più di due miliardi di cristiani).

Allo stesso modo la Costituzione può essere vista come l”obsoleto frutto di una stagione passata. Tuttavia le potenzialità insite nella nostra carta fondativa sono state magistralmente espresse da Piero Calamandrei: una “rivoluzione promessa” per compensare una “rivoluzione mancata”.

Bene, allora: chiediamo che le promesse siano mantenute.

Sono state promesse di sessantaquattro anni fa? Bene, riscuotiamole adesso. Le promesse si riscuotono dopo che sono fatte e quando le circostanze lo impongono e lo permettono. E queste circostanze possono maturare ben lontano da quando le promesse sono state formulate.

Diverso il discorso invece sulla riformabilità della costruzione europea, che assieme a molti io ritengo improbabile.

Per quanto riguarda il primo punto toccato dal professor Cosenza, cioè la possibilità di un altro ciclo di sviluppo, intanto noto un passaggio su cui ci potrebbe essere convergenza in Alternativa. Cito il documento:

«L”arresto dell”espansione è il provvedimento principale ed essenziale da adottare, come molti di noi hanno dedotto dalla analisi dei dati e dallo studio del moto impresso alla comunità umana. Tale operazione è incompatibile con l”esistenza stessa del capitalismo – rappresenta una azione di soffocamento del sistema capitalista e non potrà mai essere accettata dall”establishment che attualmente detiene in maniera ferrea il potere. L”arresto dell”espansione è tuttavia il primo atto irrinunciabile di un processo di transizione a un regime economico compatibile con esigenze ambientali e sociali a questo punto indilazionabili.»

Tuttavia ci si può chiedere, e all”interno di Alternativa la domanda viene effettivamente posta dando vita ad un ricco dibattito, se, come sostiene il professor Cosenza, pur essendo la crisi «ciclica strutturale e aggravata dalle limitazioni ambientali», il sistema è in grado di superare questa crisi:

«A nostro avviso due elementi decisivi giocano a favore della ripresa e dell”inizio di un nuovo ciclo. Per un verso infatti esistono ancora sufficienti risorse energetiche e minerarie e inoltre al momento il dissesto ambientale non pregiudica la ripartenza, anche se iniziano a pesare  le ripercussioni sempre più dannose e onerose dei guasti ambientali generati dall”attività produttiva umana.»

In Alternativa, come nel resto del movimento anticapitalista, ci si chiede se invece questa non sia una crisi terminale, ovvero se non si sia raggiunta una fase con caratteristiche terminali.

Implicitamente viene posta una opposizione tra la categoria “ciclo” e la categoria “stadio”.

In Alternativa molti sono propensi a dare una risposta affermativa, proprio come conseguenza dei limiti fisico-ecologici, che si suppongono ormai raggiunti. La crisi, quindi, non avrebbe le caratteristiche della ciclicità, ma dello stadio.

Altri, nel movimento anticapitalista, pensano che non ci sia un”uscita sociale a questa crisi, o che il capitalismo abbia raggiunto il suo fondo per via di contraddizioni come la caduta tendenziale del saggio di profitto o perché la legge del valore viene tenuta artificialmente in vita da un meccanismo finanziario dove la moneta è puro comando “biopolitico” al quale non corrisponderebbe più alcun meccanismo di valorizzazione reale.

Sebbene da un punto di vista in parte differente da quello del professor Cosenza, io penso invece che la crisi attuale sia veramente una crisi ciclica, anche se ciò non significa che se ne possa uscire con gli strumenti che ciclicamente hanno permesso finora una nuova fase di espansione capitalistica.

Io procedo dallo schema interpretativo di Giovanni Arrighi (col quale ho avuto il privilegio e l”opportunità di condividere una proficua e formativa fase di militanza politica negli anni Settanta), secondo me il migliore approccio ad oggi disponibile per capire cosa stia succedendo senza ricorrere a spiegazioni economicistiche (siano classiche o marxiste). Anzi, il migliore proprio per questo, perché fa un uso congiunto di storia, sociologia, antropologia, teoria delle reti informative e organizzative e infine – ma solo infine – dell”economia.

Sintetizzando all”estremo, Arrighi dimostra ampiamente come nel capitalismo ci siano degli schemi, dei “pattern“, che si ripetono, eppure il capitalismo sia strutturalmente variante. Sembra paradossale ma non è così, perché gli stessi schemi ricorrenti cambiano la struttura dei processi e cambiano le loro condizioni di replicabilità.

Un passo in avanti di immensa portata e direttamente contrapposto all”idea di “invarianza strutturale” che è la dannazione del marxismo scolastico (sia ortodosso sia eterodosso).

Nell”ottica di Arrighi quindi, la crisi odierna ripete in forma nuova le crisi precedenti. In ciò è una crisi “ciclica”, ma questa ciclicità non vuol dire che si possa ripetere un nuovo ciclo di espansione materiale (tanto è vero che Arrighi stesso dice di non amare il termine “ciclico”, perché non esprime quel che succede nella realtà dei processi).

Per diverse ragioni Arrighi dubitava infatti che ci potesse essere un nuovo ciclo di espansione materiale dopo quello entrato oggi nella fase terminale della sua crisi (che storicamente può durare lustri), e fra queste ragioni c”erano anche quelle ecologiche, che lo studioso ha preso esplicitamente benché brevemente in considerazione (possiamo supporre che avesse rimandato lo sviluppo di questo tema a successive analisi che non ha potuto compiere per via della sua morte prematura).

Nessuno ha veramente in mano sufficienti evidenze per dire se un prossimo sviluppo materiale ci sarà oppure no, perché innanzitutto esso dipende da un concorso di decisioni politiche (la famosa “eterogenesi dei fini” di Giambattista Vico), che come è noto interagiscono e interferiscono l”una con l”altra e quindi hanno conseguenze difficilmente predicibili.

E queste decisioni vertono sulla possibilità di mobilitare enormi risorse sociali e materiali in scala ancora maggiore di quella precedente – già enorme – e, soprattutto, riguardano la possibilità che un soggetto le governi e le coordini.

Una combinazione di disponibilità di risorse e di capacità globale di governo di queste risorse, quindi, la cui possibilità è tutta da verificare.

Tuttavia essa non è nulla, perché il capitalismo, come insegna ad esempio David Harvey (ma anche Henri Lefebvre), “crea” spazi, sia geografici sia naturali.

Possiamo veramente escludere che al momento opportuno non venga tirato fuori dal cilindro un metodo rivoluzionario per la produzione di energia, che non vengano tirati fuori dal cassetto chiuso a chiave motori ad altissima efficienza, merci a bassissimo impatto ambientale o con un differente impatto ambientale che ancora non conosciamo?

I supposti imminenti limiti ecologici del capitalismo sono valutati confrontando da un lato lo scorso sviluppo materiale basato su tecnologie, cumulative nel tempo perché distribuite inegualmente nel mondo, prima del tessile e del vapore, poi dell”acciaio e degli idrocarburi fossili e ora del silicio e delle “terre rare” (con parallele rivoluzioni dei processi in agricoltura e negli spazi urbani), e dall”altro lato con le riserve, ad oggi stimabili, riferite a quel tipo di sviluppo.

Ma possiamo escludere un ciclo di sviluppo capitalistico basato su un”altra “civiltà industriale”?

No. Anzi, io credo che se un nuovo ciclo ci sarà, si baserà obbligatoriamente su una civiltà industriale molto differente da quelle passate, che per via della distribuzione ineguale spazio-temporale, permarranno ma saranno sempre più marginali. Una civiltà industriale basata ad esempio sulle biotecnologie, sulle nanotecnologie, sulle fonti rinnovabili, sull”efficienza termica, sulla desalinizzazione.

Potremmo pensare a sei miliardi di persone lasciate in uno stato relativo di inquinata sopravvivenza e un miliardo di persone consumatrici di prodotti di elite, come abitazioni di lusso ecocompatibili, cibi ad altissima resa nutrizionale, organi di ricambio, terapie miracolose basate su cellule staminali, produzione seriale o personalizzata di prole tramite uteri in affitto testati e garantiti, nuove tecniche di fecondazione artificiale, manipolazione genetica su misura dei feti, incubatrici clonanti. Magari sei miliardi di persone con un”aspettativa di vita di 60 anni e un miliardo con un”aspettativa di vita di 120. Chi lo sa.

Ma al di là dell”orrido e iperbolico disegno qui scarabocchiato, avremmo allora il permesso di tirare un sospiro di sollievo? Saremmo usciti dalla minaccia di crisi disastrose? Nemmeno per sogno, perché le contraddizioni insite nel rapporto sociale capitalistico sarebbero comunque destinate a riesplodere, proprio perché come ha spiegato Marx, il fine dell”accumulazione capitalistica non è sociale e quindi non è neppure ecologicamente sostenibile; e questo per forza di cose, dato che ogni progetto sociale è in realtà un progetto socio-ecologico.

È per questo che il capitalismo, come spiegava Marx, supera le proprie contraddizioni solo per ritrovarsele davanti più gigantesche di prima.

E infatti riesploderebbero in poco tempo e in modo ancora di più impressionante, proprio per via della scala immensa delle risorse naturali, sociali e di governo che ogni nuovo ciclo capitalistico richiede.

Per cui ciò che oggi è ragionevolmente prevedibile sono, a mio avviso, due alternative:

– La prima è che i conflitti intercapitalistici non permetteranno un governo globale sufficientemente ampio da poter regolare la scala di risorse sociali e naturali richiesta da un nuovo ciclo di sviluppo materiale. In questo caso sarà compito degli anticapitalisti inserirsi nel caos sistemico prolungato che ne seguirà per cambiare il rapporto sociale capitalistico. Si noti anche che in questo caso i limiti ecologici naturali potrebbero essere “anticipati” da una concorrenza sempre più anarchica e spietata, in due modi: a) perché tale concorrenza indurrebbe a rimandare sempre ogni controllo, b) perché essa da concorrenza tra imprese potrebbe trasformarsi completamente, come in buona parte lo è già, in concorrenza tra Stati o blocchi di Stati, portando a guerre globali (che sono di sicuro il limite ecologico più preoccupante e più prossimo).

– La seconda è che un tale governo globale sarà sì possibile, ma proprio la scala e la conseguente velocità eccezionale dei processi di sviluppo messi in atto brucerà lo sviluppo stesso in un tempo proporzionalmente breve, ritrovandoci quanto prima in una situazione socio-ecologica peggiore di quella di oggi. Questo, per lo meno, è quanto ci suggerisce la logica e l”analisi storica che parla di momenti di sviluppo sempre più brevi e di momenti di crisi sempre più lunghi e drammatici.

 

 

 

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