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di Roberto Musacchio – www.altramente.info
L”unica volta che i cittadini italiani hanno votato per esprimere direttamente la loro opinione sull”Europa è stato l”11 maggio 1989 in un referendum consultivo, in cui cioè erano chiamati ad esprimere il loro parere su un quesito che recitava: “Ritenete che si debba trasformare la Comunità Europea in una effettiva Unione dotata di Governo responsabile di fronte al Parlamento affidando allo stesso Parlamento il mandato di redigere un progetto di Costituzione da sottoporre a ratifica dagli organi competenti degli Stati membri?”
Il risultato fu nettissimo: ben 29 milioni di si, l”88%, solo il 12% di no, ed una partecipazione al voto del 66,83%. Da allora non si è più votato per esprimersi direttamente sulle scelte europee in quanto i vari trattati, quello di Maastricht e quello Costituzionale di Lisbona, sono stati ratificati senza consultare il popolo e direttamente dal Parlamento. Gli unici momenti in cui si è votato direttamente sull”Europa sono state dunque le elezioni per il Parlamento Europeo nelle quali c”è stata sempre un affluenza alle urne abbastanza alta, superiore anche di molto al 50%, ben più ampia di quella di molti altri Paesi, anche se al di sotto di quella delle altre competizioni elettorali nazionali e molto concentrata nella campagna elettorale più sui temi italiani che su quelli europei. Quel voto dell”11 maggio 1989 consente alcune considerazioni.
L”Italia arriva alla scelta di dar vita all”Unione Europea con un forte consenso dei propri cittadini. Ma come si è formato quel consenso e quanto è consapevole e convinto? L”opinione dei cittadini in quel momento tiene conto di due fattori diversi. Il primo è la storia del Paese, molto segnata dalle idee dei grandi partiti di massa, la DC e il Pci; il secondo è la crisi di questa storia che non a caso sta per vedere la fine di questi due partiti e la nascita della cosiddetta “Seconda Repubblica”. Entrambi i fattori convergono nel dare importanza all”Europa. Il percorso storico dei vecchi grandi partiti, Pci e DC, ha finito col trovare nell”Europa una sorta di approdo di compromesso nel loro decennale conflitto che è stato politico, sociale ma anche di campo: USA contro URSS. In quella sorta di “compromesso storico informale” che è stata la convivenza tra Pci e DC, l”Europa ha rappresentato una sorta di terra terza. Il Pci, nel suo percorso storico, aveva avuto posizioni anche molto critiche verso l”integrazione europea, vista anche come luogo di un capitalismo continentale che rischiava di indebolire la centralità della scelta di campo socialista. Ma poi è l”Europa il luogo eletto da Enrico Berlinguer per indicare la sua “terza via”, la propria ricerca di un diverso cammino.
Sarà infatti l”Eurocomunismo a rappresentare questa scelta di autonomia rispetto all”URSS. E in questo sforzo di nuova collocazione, che è insieme geopolitica ed identitaria, il Pci incontra nuove culture politiche come quelle del Federalismo di Altiero Spinelli che non a caso fu eletto al Parlamento Europeo proprio dal Pci. Quanto questa adesione europeista fosse consapevole e conscia di ciò che sarebbe avvenuto è materia di discussione. L”esigenza di un posizionamento autonomo dal campo del socialismo reale era infatti probabilmente l”esigenza più pressante. La comprensione di ciò che sarebbe poi avvenuto con l”effettiva integrazione europea in termini di cambiamento radicale degli equilibri sociali ed economici, ancora era di certo molto approssimata. Ancora non si era aperta una riflessione vera sulla nuova fase che si sarebbe chiamata della “globalizzazione liberista” e di come essa avrebbe rotto gli antichi compromessi sociali e di quale ruolo avrebbe giocato in essa l”Europa. Non è un caso che la parte prevalente dell”allora Pci, quella che avrebbe dato vita prima al PDS, poi ai DS e infine al PD, sarebbe passata dall”eurocomunismo al socialismo europeo del PSE fino alla attuale non collocazione, anche se per il PD è prevalente la relazione con il PSE, che però si tenta di trasformare in “democratico”. D”altro canto il 1989 è l”inizio della rapidissima caduta dei vecchi partiti italiani e della prima repubblica. La seconda, così segnata da una radicale crisi di consenso della politica presso i cittadini, trova nell”Europa una sorta di motivazione al fare che sostituisce quasi l”idea di un cambio di modello sociale.
L”altra sinistra, quella che fu detta del ”68 e che dopo lo scioglimento del Pci,si trova in Rifondazione Comunista, comincia invece a misurarsi con l”Europa in modi diversi e più approfonditi. La parte prevalente del ”68 italiano non è mai stata filosovietica. Ha guardato molto ai movimenti generazionali ed operai di ogni parte del mondo. Ha un proprio campo di idee e comincia a ragionare dell”Europa come uno dei contesti in cui farle vivere. Comincia cioè a nascere un possibile “europeismo di sinistra” che sarà presente in questi anni in Italia anche se non riuscirà a cambiare il corso degli eventi.
Quale è questo corso degli eventi? Quello di una adesione all”Europa che non è pienamente consapevole, se non nelle elites politiche che la perseguono, di ciò che sta succedendo. Non è un caso che i principali atti di questo processo, l”adozione di Maastricht, del Trattato Costituzionale di Lisbona, ed ora di Europlus, avvengono senza un coinvolgimento del popolo, senza una vera discussione pubblica, con una sostanziale convergenza delle principali forze politiche. Non che tutte le forze politiche italiane siano “europeiste”. La Lega ad esempio ha avuto anche un profilo che in alcuni tratti è stato “antieuropeo”. Ma, al dunque, entrambi gli schieramenti del “bipolarismo italiano”, quello imperniato su Berlusconi e quello fondato su quello che attualmente è il PD, hanno coapprovato quegli atti, quale che fosse il governo in carica al momento.
Questa mancata discussione pubblica è stata tanto più grave in quanto invece le scelte europee hanno contato molto nei percorsi politici italiani. Non c”è dubbio che ad esempio per Romano Prodi la visione europea sia stata un elemento decisivo del suo profilo politico, del suo esprimere una leadership sul PDS di cui non era membro, nel suo vincere le elezioni due volte in un ventennio che è stato segnato si dall”egemonia di Berlusconi ma che, è bene ricordarlo, ha visto per quasi metà degli anni governi di centrosinistra.
E anche il populismo berlusconiano trova riscontri in determinate correnti europee. E non a caso oggi è Mario Monti, altro uomo che trova a Bruxelles molta della sua forza, che guida l”attuale esecutivo di “salvezza europea”. Quando dico che non c”è stata consapevolezza condivisa in ciò che questa Europa comportava, dico che non vi è stata una vera discussione pubblica delle conseguenze delle scelte fatte da Maastricht in poi. Questo ha corrisposto anche alla sempre più marcata omologazione delle principali forze politiche intorno ai “valori di mercato”. In particolare il Pds poi PD nel suo cammino teso a “legittimarsi” ha trovato nella “obbligatorietà ” delle scelte un valido alibi a compiere cambiamenti senza dover troppo motivare alla base il perché. Ancora una volta una scelta “ideologica”, di “posizionamento”, che però, come tutti i pensieri “opportunistici” a lunga non frutta.
Questa adesione supina alle scelte monetaristiche ha avuto conseguenze assai negative. I governi di centrosinistra che si erano avvalsi dell”europeismo per vincere le elezioni, hanno poi ampiamente fallito la prova del saper governare cambiando effettivamente le cose per la propria gente. Oggi che la crisi esplode a livelli drammatici il centrosinistra è costretto ad affidare la transizione ad un nuovo uomo esterno alla politica, Monti, dandogli praticamente carta bianca e rinunciando a sancire la sconfitta del berlusconismo.Come già accadde nel passaggio dalla prima e la seconda repubblica quando fu un altro uomo di banca, Azelio Ciampi, a pilotare la transizione verso approdi di subalternità agli assetti europei. Per giunta così facendo il centrosinistra italiano non è riuscito a porre al centro due questioni fondamentali e cioè cosa occorre fare per cambiare questa Europa sempre più in crisi e sempre più dominata dall”asse franco-tedesco; e, di conseguenza, come far stare questa Italia in questa Europa. Limiti ed errori drammatici. Perché in questa Europa le condizioni dell”Italia sono sempre più difficili.
Il modello sociale italiano è segnato da tante lotte ma è anche più esposto di altri alle incursioni che arrivano dalle violente ristrutturazioni imposte da questa Europa. Tanto più che i soggetti che hanno costruito questo modello non ci sono più a difenderlo e dall”interno si muovono forze tese a una totale destrutturazione, come quelle simboleggiate dall”amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne. Per giunta il modello produttivo italiano era segnato da un prevalente ruolo dell”economia di esportazione “aiutata” dalle svalutazioni ripetute della lira, ed ora, in assenza di esse, e con una struttura assai più precaria di altre, subisce colpi drammatici, anche se rimane in gradi di esprimere una propria forza.
La mancanza di una vera discussione pubblica consapevole ha fatto sì che si arrivasse impreparati a quella che è l”inderogabile esigenza dell”oggi, e cioè cambiare questa Europa per poter cambiare anche i singoli Paesi. Infatti mi pare evidente che nessun ritorno indietro, a dimensioni nazionali, sia praticabile o, anche, auspicabile. Perché la sfida vera è quella di battere questa globalizzazione liberista che ha messo al centro la finanza, destrutturato il lavoro, messo in sordina la democrazia.
E l”Europa dovrebbe essere il luogo, per l”accumulo di forze sociali che ancora che contiene, di una possibile alternativa. Questo il senso di quella Sinistra Europea che anche dall”Italia avevamo contribuito a fondare. Le idee per questo cambiamento sono presenti nella sua elaborazione ma devono trovare una nuova stagione di rilancio che si faccia forte dei nuovi movimenti scesi in campo per manifestare indignazione contro questo stato di cose. Guardando anche a quei Paesi dove le elezioni potrebbero servire almeno a proporre il cambiamento perché le destre mostrano la corda.
Un cambiamento della struttura stessa dell”Europa. Che si fondi sulla costruzione di una democrazia europea e una nuova economia sociale. L”esatto opposto di Euro plus. Poteri decisionali al Parlamento Europeo. Riforma della BCE. Ristrutturazione condivisa del debito. Lotta alla speculazione finanziaria e alle rendite. Nuova centralità del lavoro, stabilizzazione della precarietà , salari europei adeguati e basic income. Diritto di ricerca del lavoro per i migranti. Beni comuni alla base di una nuova economia. Produzione di politiche di economia sostenibile integrate al livello europeo. Insomma quello che chiamiamo un”altra Europa. Che ormai è indispensabile perché ciò che si è messo in campo con la crisi e le recenti decisione di Euro plus è una autentica eclisse della democrazia.
Questo testo è stato scritto per un seminario della fondazione Rosa Luxemburg.
Fonte: http://www.altramente.info/archivio/8-articoli/296-cosa-e-leuropa-per-litalia.html
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