Sfida di Mercalli: mappa del rischio idrogeologico

Due interviste al meteorologo e climatologo Luca Mercalli sulle sfide più importanti per il suolo italiano. Con nota di Antonino Bonan.

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28 Giugno 2013 - 00.20


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Intervista
di Sabrina Mechella a Luca Mercalli*


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Con nota di Megachip in coda all”articolo.

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E” l”uomo col farfallino di “Che
tempo che fa
“, la trasmissione
condotta da Fabio Fazio in onda su Raitre.
Luca
Mercalli
, torinese, meteorologo,
climatologo, presidente della società italiana di meteorologia e
direttore di “
Nimbus“,
ogni settimana in tv spiega quale sia lo stato di salute del pianeta,
perché ci siamo arrivati e cosa ci dobbiamo attendere dal prossimo
futuro, decisamente diverso dal nostro presente. Nel
2012
ha pubblicato un libro
dal titolo
eloquente “
Prepariamoci
in cui, dati alla mano, spiega perché dovremmo “
vivere
in un mondo con meno risorse, meno energia, meno abbondanza e, forse,
con più felicità
“.
Nell”intervista concessa a Eco-news è molto chiaro il suo pensiero
sulle cause che hanno ridotto l”Italia a un colabrodo –
l”urbanizzazione selvaggia degli
ultimi 50 anni e una visione a cortissimo raggio

– e lancia agli amministratori una sfida:
la
cartina del rischio idrogeologico
.


Con l”inverno arrivano le alluvioni e di
conseguenza i dissesti idrogeologici. Intanto è sempre piovuto così
o la situazione climatica e ambientale negli ultimi anni è cambiata?

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In Italia le alluvioni arrivano un po”
in tutte le stagioni: avendo un clima così variegato, a seconda
delle Regioni – alpine, padane, tirreniche o adriatiche – le
alluvioni saranno d”inverno prevalentemente al Sud, d”estate sulle
Alpi, in primavera e autunno in tutte le altre località, tipo
Liguria, Pianura Padana e Maremma, come abbiamo visto recentemente.
Quindi possiamo dire che
l”Italia è un
po” il “trionfo” delle alluvioni

e la storia parte da lontano. Abbiamo documenti che vanno indietro
nei secoli e registrano il fatto che questi eventi sono una costante
del territorio italiano. E allora cosa sta succedendo adesso? I
cambiamenti climatici finora non stanno fornendo un”evidenza
importante di aumento delle precipitazioni: sicuramente cӏ
all”interno un
segnale di variazione,
ma siccome si sovrappone a questa tendenza già naturale del nostro
territorio ad avere le alluvioni è difficile quantificarlo. Nessuno
può dire, insomma, se la percentuale della pioggia di Genova o della
Maremma è stata eventualmente incrementata per colpa dei cambiamenti
climatici. Dal punto di vista della teoria sappiamo che le
precipitazioni intense sono destinate ad aumentare perché fa più
caldo, evapora più acqua dai mari e pioverà comunque più
intensamente. È una malattia che ci aspettiamo ma i sintomi sono
ancora confusi.


Quali sono nel nostro Paese le
criticità più evidenti?

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Sicuramente i problemi derivano dal
fatto che siamo un Paese sovrappopolato e
sovraedificato.
Dunque proprio perché i cambiamenti climatici ancora non ci danno un
segnale forte di cambiamento ciò che invece incide veramente è
stata
l”urbanizzazione selvaggia degli
ultimi 50 anni.
Questo è veramente il
dato importante. Le alluvioni già picchiavano duro in passato su
piccoli paesi isolati su una rete di comunicazioni modesta,
figuriamoci oggi dove abbiamo un Paese fatto di case, di fabbriche,
di infrastrutture di viabilità, di linee elettriche, telefoniche:
abbiamo una tale quantità di infrastrutture da danneggiare che ormai
ogni alluvione in Italia qualcosa da tirare giù la trova.
Cinquant”anni fa, viceversa, c”erano anche alluvioni che non facevano
danni perché magari arrivavano in zone disabitate oppure con solo
aree agricole. Certo si perdeva il raccolto: ma un conto è questo,
un conto è perdere le case o addirittura le vite umane.

Quali errori sono stati commessi e
quali le responsabilità?

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Sicuramente quello di avere una visione
a cortissimo raggio.
La speculazione
edilizia vista nel dopoguerra
– dagli
anni ”60 in poi – ha usato il territorio là dove conveniva, senza
avere una visione a lungo termine, sapendo che le alluvioni talvolta
per manifestarsi hanno i cosiddetti “tempi di ritorno” di
cinquanta, cento anni. Si costruiva così dicendo “Mah, non
ricordo di aver visto mai nulla, edifichiamo magari vicino agli alvei
dei fiumi o in zone sotto frana”. In realtà, come dicevo prima,
studiando gli archivi storici si sapeva benissimo quali erano le zone
a rischio.
All”epoca i piani regolatori
dei Comuni non hanno minimamente tenuto conto di questo, mai stata
una legislazione ferrea.
Si inizia solo
oggi ad avere le fasce fluviali, zone di rispetto dove non si può
costruire, vincoli idrogeologici più ferrei. Però siamo in Italia
sappiamo benissimo che fatta la legge si trovano poi dieci eccezioni
varie che di fatto la annullano. Il risultato è che oggi quando si
verifica un fenomeno estremo si accresce la vulnerabilità. Quindi
aumentano i costi di ricostruzione, magari chiedendo i contributi al
Governo.
Certe volte bisognerebbe avere
il coraggio di non ricostruire negli stessi luoghi a rischio, invece
questo non accade.

Il presidente Anci Graziano Delrio
ha chiesto di allentare i vincoli del patto di stabilità per mettere
in sicurezza i Comuni? Che ne pensa?

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Ogni euro che viene speso per una
manutenzione del territorio è ben speso. Che arrivi dal patto di
stabilità o da qualsiasi altro sistema di finanziamento nazionale o
locale non ha importanza.
Sicuramente
dobbiamo investire in manutenzione. Basta aggiungere, il nostro
territorio non può più sopportare niente. In Italia c”è ancora la
visione che per la crescita economica si è disposti a fare qualsiasi
cosa, come far ripartire l”edilizia, costruire autostrade, alta
velocità, viadotti. Basta, non si può sommare più neanche un metro
quadro su questo territorio martoriato! Semmai bisognerebbe
toglierlo.

A proposito di Tav, Legambiente ha
lanciato un appello firmato anche dal lei, che suggerisce al Governo
di rinunciare alle grandi opere per mettere in sicurezza il
territorio…

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Certo, tra l”altro quando si dice la
Tav stiamo parlando di rinunciare a un pezzetto di alta velocità,
perché in Italia la linea è già fatta – da Torino a Napoli – ed ha
anche creato molti danni. Quello che si chiede è rinunciare al super
tunnel di 57 chilometri sotto il massiccio dell”Ambin** nelle Alpi,
che è un”altra cosa. Non si chiede di abbandonare il progetto Tav,
ma solo una tratta che c”è già, perché esiste una linea parallela
che passa da un tunnel più breve sotto il Frejus. È un”opera che
costerebbe 20 miliardi e sarebbe pronta – se va bene – tra quindici
anni. Forse è meglio usare questi miliardi subito, perché tra
l”altro le opere di manutenzione del territorio hanno il vantaggio di
essere capillari, quindi da un punto di vista economico mettono in
movimento un”economia diffusa. Invece le grandi opere concentrano i
soldi in piccoli posti, ecco il motivo perché sono tanto amate.

Secondo uno studio del ministero
dell”Ambiente, il 9,8% del territorio nazionale – vale a dire circa 3
milioni di ettari – è classificabile come area ad alta criticità
idrogeologica. Che ne pensa?

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Avendo noi più del 70 per cento del
territorio nazionale costituito da colline e montagne è ovvio che
questa tendenza è più critica rispetto ad altri Paesi, perché in
montagna e collina abbiamo frane e inondazioni, in pianura le grandi
inondazioni fluviali: alle fine si può dire che quasi tutto il
territorio italiano è esposto a questo tipo di rischio. Isole
comprese, anche se la minor densità della popolazione – penso alla
Sardegna – rende i danni meno evidenti. 

Lei ha affermato che in Italia non
c”è la cultura della prevenzione, né dell”informazione. Come la
gente comune può informarsi in merito alla situazione del suo
territorio, come prevenire disastri?

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In Italia manca la conoscenza
fondamentale della geografia del Paese, che non si studia neanche più
a scuola. Non ci sono le basi per capire cosa sia una frana,
un”alluvione, quali sono i tipi di territorio più o meno favorevoli.
Questo si sovrappone a una contro cultura che è quella del
fatalismo: meglio appendere il cornetto o pregare il santo devoto
piuttosto che occuparsi di studiare un opuscolo di protezione civile.
Il terzo punto che coopera questa situazione è la frammentazione di
utenti. Anche il cittadino più informato e volenteroso poi si
scontra con il fatto di non sapere chi sia il suo partner pubblico
che gli deve dare l”informazione. Mentre in molti Paesi europei,
negli Stati Uniti o in Canada cӏ un unico servizio di cui ci si
fida e che dà le informazioni di protezione civile, qui c”è il
Comune, la Provincia, la Regione e spesso ognuno di questi settori
dice cose diverse, non le dice proprio o sono poco chiare. Il
cittadino non sa mai cosa fare e come comportarsi. È chiaro che in
questa situazione gli atti di miglioramento sono evidentemente molti.
A cominciare dall”educazione nelle scuole, la produzione di
informazione per la gente comune: penso ad normalissimi opuscoli o
anche a trasmissioni televisive che spieghino alla gente come
comportarsi in caso di calamità naturale. Nessuno sa cosa fare in
questi casi. Se io adesso andassi per strada e gridassi “C”è
l”alluvione!” la gente sarebbe sorpresa chiedendosi cosa fare.
Basterebbe un decalogo delle cose da fare in questi casi, anche molto
banali tra l”altro, tipo non andare nei sottopassi con l”auto:
nell”arco di dieci anni sono morte dieci persone in questo modo. Ci
vuole dunque informazione in tutti i settori: scuole, televisione,
giornali, la classica bacheca comunale, il corso di formazione nei
piccoli centri: tutte cose fattibili.

Un cittadino che volesse acquistare
una casa come può fare per sapere che il luogo scelto è a rischio
idrogeologico?

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E” lo stesso problema che ponevo prima.
Manca un punto di riferimento che potrebbe essere il sito del Comune
o uno qualsiasi dove esista una mappa relativa alla zona che
interessa con segnalate le cartografie dei rischi. Io stesso, che
lavoro in questo settore, se dovessi cercarlo per casa mia diventerei
pazzo. Un comune cittadino che volesse andare a trovare questo
documento farebbe una fatica immane. La cosa più pratica sarebbe che
il Comune mettesse a disposizione una cartografia facile da
interpretare dove uno, con dei codici colore, trova subito la sua
zona e capisce il rischio. Dico i Comuni perché conoscono meglio il
proprio territorio. In questo modo si eviterebbe anche il rischio di
una mega banca dati nazionale, il grande progetto che poi non arriva
mai alla fine.

Lanciamo la proposta qui da Eco-news
ai Comuni?

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Perché no? Sui siti internet di ogni
Comune potrebbe essere inserita la cartina del rischio idrogeologico,
magari insieme alle istruzioni di protezione civile: le cose che
bisogna sapere come le norme basilari di comportamento, i punti di
raccolta eccetera. Vediamo se qualche amministratore di buona volontà
raccoglie la sfida.

Fonte:

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*
Climatologo, meteorologo, accademico, giornalista, scrittore e
divulgatore. Membro del Comitato Scientifico di Alternativa.

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**
Correzione di Megachip su suggerimento di L. Mercalli, rispetto
all”errore dell”articolo originale.

_______________________________________

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NOTA di Antonino Bonan*** per Megachip


Luca
Mercalli
è noto per le sue posizioni ambientaliste di ispirazione
attenta ai temi della “decrescita”. Le ha maturate studiando e divulgando (a partire
dal problema del clima ma non solo) le questioni legate ai limiti
allo sviluppo
.


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Abitando
in Val di Susa, ha ben presente cosa significhi lo scontro di una
faccia (peraltro impresentabile) della crescita economica con i
vincoli fisici. La sua battaglia, fondata sul massimo rigore
scientifico, è dunque infaticabile. È anche efficace, sebbene non rinunci a cercare orecchie attente tra i decisori politici del
momento. In un contesto in cui quelle orecchie si tappano per
ipocrisie, sordità e minacce, gli può capitare di lanciare alcuni
segnali di sfida,
apparentemente piccoli, improntati alla praticità o
perfino ad alcuni luoghi comuni.


L”intervista
che qui presentiamo, risalente al marzo 2013 e pubblicata sul sito
Econews (periodico online di area Legambiente), va letta in
quest”ottica. L”uditorio di riferimento è riformista e
semi-istituzionale, si suppone che per quella via i segnali arrivino
a chi di dovere, tra i decisori pubblici.


Quando
si dice ad esempio “Non si chiede di abbandonare il progetto Tav,
ma solo una tratta che c”è già”, l”idea non è certo quella di
approvare in sé il progetto nazionale della TAV. Piuttosto, è una
richiesta di limitarlo almeno alle opere meno invasive, se non altro
perchè ormai compiute o quasi.


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Allo
stesso modo, una “mappa online del rischio idrogeologico” è una
richiesta in apparenza tanto ovvia e minimale… da rendere assurda e
tragicomica la situazione di Enti pubblici che restino in tal senso
inadempienti.


Ma
questa è dopotutto la situazione della Protezione Civile in Italia,
se pensiamo che ci sarebbero i mezzi e le competenze per renderla
adatta alle intrinsche fragilità del Belpaese, come pure alla
loro moltiplicazione per effetti antropici recenti o per scenari
futuribili di cambiamento.


La
prevenzione è parte essenziale della protezione civile.
Essa si fa
con opportuna programmazione e manutenzione, in primis come risposta
al crescente dissesto idrogeologico. Ma ha come componente essenziale
anche l”informazione e la formazione della cittadinanza, che deve
saper capire le informazioni dei tecnici e i comportamenti da tenere
di conseguenza.


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Per
questi scopi, le competenze ci sono. Mancano “solo” le scelte
politiche per molti provvedimenti, tra cui quelli di informazione
puntuale e continua della popolazione. Laddove tale informazione ha
limiti d”incertezza, come accade per una valutazione di rischio
idrogeologico, non basta che ci sia un esperto da ascoltare: occorre
sapere cosa fare anche senza certezze sul futuro.


Altrimenti,
tutto s”annacqua pericolosamente nel marasma mediatico: una
previsione meteo è una sibilla (da credere o – viceversa – da
trattar con scetticismo), un rischio è da metter nel conto come un
fato.


Segue
un”intervista più recente allo stesso Luca Mercalli a Panorama, che
illustra ulteriormente quest”approccio anche alla luce dei recenti
eventi alluvionali nell”Europa centrale.


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***
Meteorologo. Membro di Alternativa.

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Alluvioni tra clima che cambia e
urbanizzazione: Italia impreparata

Intervista di Marta
Buonadonna a Luca Mercalli*

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da
panorama.it

Sono
21 le persone uccise
dalle piene dell”Elba e del Danubio che stanno ancora tenendo in
scacco la popolazione tedesca, ceca e ungherese. Gli sfollati
si contano a decine di migliaia e l”emergenza non cesserà fino
a mercoledì. L”Europa è nuovamente colpita al cuore da un
evento
climatico di eccezionale gravità
e viene
naturale domandarsi se la colpa sia da addossare interamente al
cambiamento climatico.

“Questa è una domanda alla quale è impossibile dare una
risposta netta”, esordisce Luca Mercalli, climatologo,
presidente della Società Meteorologica Italiana, autore di recente
del bel libro “Prepariamoci
“, nel quale suggerisce strategie per vivere in un pianeta con
meno risorse, messo alla prova anche dal riscaldamento globale.
“Prima di tutto occorre puntare il dito sull”urbanizzazione:
più costruiamo e riempiamo il territorio di strutture, più il
rischio aumenta. La densità abitativa incide moltissimo; per
esempio se viene un”alluvione in Islanda non succede niente perché
non c”è nessuno, a Roma con cinque milioni di abitanti lo scenario è
molto diverso”.

“Tutte le zone molto abitate del pianeta”, spiega il
climatologo, “hanno visto aumentare il rischio,
indipendentemente dal fatto che le scelte urbanistiche siano state
fatte bene o male. In alcuni paesi le scelte sono state fatte meglio,
in altri peggio. In Italia abbiamo costruito ovunque, anche
nelle zone più a rischio. Ma alla fine l”alluvione arriva e
dimostra che anche in paesi molto più organizzati e maturi di noi
nel gestire la cosa pubblica, come la Germania, i danni ci sono”.

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Il cambiamento climatico allora non c”entra? “Gli eventi
estremi ci sono sempre stati, capire qual è la percentuale di
aumento
di un evento estremo causata dal cambiamento climatico
è molto difficile. Le due discriminanti sono frequenza e
intensità, ma parliamo comunque di fenomeni piuttosto rari.
Prima di 150 anni fa non abbiamo dati sulle precipitazioni; posso
riferirmi alle cronache storiche del passato che mi raccontano quante
alluvioni ci sono state sul Danubio, ma non conosco l”effettiva
quantità d”acqua caduta, le condizioni di allora, la disposizione
delle costruzioni, della popolazione”. Insomma i dati per dire
con certezza se a causa del riscaldamento globale le alluvioni siano
“peggiorate” sono troppo pochi.

Secondo il climatologo il rapporto tra il cambiamento climatico ed
eventi come le alluvioni che stanno colpendo l”Europa in questi
giorni è come quello tra il fumo e la bronchite. “Il medico
dice al fumatore che se continua a fumare potrà avere problemi ai
polmoni. Quando il paziente è colpito da una brutta bronchite la
colpa è sicuramente del fumo? Difficile dirlo, forse gli sarebbe
venuta lo stesso, magari, opzione più probabile, il fumo l”ha
peggiorata. Ecco”, conclude Mercalli, “il clima che
cambia
probabilmente incide su questi fenomeni, li aggrava,
ma è difficile dire di quanto”.

E in futuro cosa dobbiamo aspettarci? “Se la temperatura
continua ad aumentare, come sembra destinata a fare, sul pianeta da
un punto di vista fisico è atteso che le precipitazioni diventino
più intense
. Il motivo è semplice: evapora più acqua dagli
oceani e quindi ne cade di più”. La distribuzione varierà in
base alla latitudine. “Sulla zona del Mediterraneo ci si
aspetta una forte disparità stagionale: episodi di piogge
intense più frequenti nel semestre invernale e rischio di siccità
nei mesi estivi. I paesi del Nord Europa sembrano invece destinati a
prendere acqua in più tutto l”anno”.

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Come ci si prepara? “Un amministratore che deve decidere
dell”urbanistica della propria città se già oggi ha problemi per le
condizioni meteorologiche attuali deve progettare un futuro in cui
i problemi saranno maggiori
“, spiega il climatologo. “La
prognosi è che la malattia, anche se adesso non siamo bene in
grado di diagnosticarla, evolverà in negativo“.

Il nostro paese come è messo? “L”Italia brilla per la totale
assenza di una politica di prevenzione. Questa andrebbe fatta
su due livelli. Per gli addetti ai lavori la prevenzione è di tipo
urbanistico: costruire casse di espansione, rimuovere le case che si
trovano nelle zone troppo a rischio. Ancora più importante è poi la
formazione delle persone. In Germania e Austria in questi
giorni se legge i giornali non troverà nessuna polemica sui
soccorsi. Quelli sono paesi dove la prevenzione è fatta anche a
livello di cittadino. Qui da noi vige il fatalismo e negli episodi
estremi ci si aspetta di essere salvati. Ma la protezione civile
sei tu
. Nel momento dell”emergenza devi sapere cosa fare”.

“In un paese con così tanti rischi tra terremoti, alluvioni,
frane”, conclude Mercalli, “non si fa alcuna prevenzione né
educazione su come affrontare queste emergenze. Peccato perché sulla
parte di previsione dei fenomeni siamo molto avanti con
stazioni meteorologiche che trasmettono dati in tempo reale con una
certa precisione. Manca l”anello di congiunzione col pubblico e si
lascia spazio ai siti internet non ufficiali dove ognuno sbraita la
sua cosa. La conclusione è che al lettore arrivano informazioni
contraddittorie
, mentre occorrerebbero indicazioni chiare da una
fonte autorevole con consigli mirati sul da farsi”.

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Fonte:

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