Operazione Fori Imperiali

«Roma può tornare a respirare e sorridere solo se si abbandonano le mezze misure e la gestionalità piccola piccola.» [Sandro Medici]

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30 Luglio 2013 - 13.46


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di Sandro Medici

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È una di quelle circostanze in cui non si riesce a essere del tutto soddisfatti, ma neanche completamente delusi. Tra qualche giorno, a Roma, verrà chiuso al transito automobilistico il tratto finale di Via dei Fori imperiali, quello contiguo al Colosseo. È appena un ritocco, ma finalmente si materializza una trasformazione urbana attesa da decenni, s”infrange un cronico e patetico indugio. Si procede tuttavia al minimo attrito, come fossimo ai preliminari: è un gesto appena accennato e poco più o forse niente più. Un evento comunque rilevante, obbligatoriamente storico (considerando il contesto millenario). Evoca una grande suggestione e agirà sull”immaginario culturale collettivo. Se ne parlerà in tutto il mondo: speriamo più dell”abdicazione di re Alberto del Belgio o della nascita dell”erede al trono d”Inghilterra.

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Allora, dopo decenni d”inguardabile ignavia, d”inerzia politica e di miseria culturale, ci si avvia a salvaguardare uno degli ambiti archeologici più importanti nel lungo cammino della storia. Un intervento che un meschino provincialismo aveva a lungo rabbiosamente impedito, ma che finalmente prova a schiudersi nel concreto, sia pure tra rattrappite timidezze. Merito del nuovo sindaco di Roma, Ignazio Marino, ma merito soprattutto di una battaglia urbanistica e ambientale durata mezzo secolo, avviata da intellettuali come Antonio Cederna e Italo Insolera, raccolta da amministratori come Luigi Petroselli e Renato Nicolini e coltivata dai tantissimi che in città hanno continuato a ritenerla cruciale e indispensabile.

Bene, si comincia. Ma si comincia davvero a proiettare questa città ingrigita e impigrita verso una dimensione contemporanea, a darle nuovo slancio e imprimere una spinta vitale? Oppure, alla fine, tutto si ridurrà a un corridoio di quattrocento metri riservato a bus e taxi, con contorno di biciclette e palloncini? Del resto, se ci si limita a interdire l”accesso automobilistico privato, a disegnare le corsie per i mezzi pubblici, a rivedere qualche senso unico, rimodulare qualche semaforo, è difficile pensare che vada diversamente. Dal tono delle polemiche in corso, che tendono a ridurre il tutto a una questione di disciplina del traffico, di vigili urbani da impiegare, di aree e transiti per lo scarico merci, l”impressione è che l”intervento sia non solo esiguo nelle proporzioni, ma anche d”incerta qualità. Un”impressione peraltro confermata dalla preoccupata ritrosia dell”amministrazione comunale, quasi fosse dubbiosa o addirittura ignara del valore e l”entità delle sue stesse scelte politiche.

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Per ripristinare quanto meno il senso storico dell”intervento che, seppure in una logica da minimo sindacale, il Campidoglio si accinge a realizzare, proviamo a ricostruire l”impianto generale in cui si colloca e le ragioni politiche che lo rendono necessario.

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La Via dei Fori viene inaugurata all”alba degli anni trenta da Mussolini in persona, dopo aver completamente polverizzato i quartieri medievali che sorgevano ai bordi della Suburra (gli stessi già inceneriti da Nerone) e deportato nelle borgate migliaia di persone. Così riassume l”intervento Italo Insolera in Roma moderna: «Il più colossale sventramento nella vecchia Roma è indubbiamente quello attuato per mettere in luce i ruderi dei Fori imperiali demolendo tutte le case (tra cui alcune di valore) tra Piazza Venezia e la Velia, la collina dietro la Basilica di Massenzio che fu tagliata per completare il tracciato rettilineo di Via dell”Impero. I ruderi rimessi in luce – continua Insolera – furono subito seppelliti sotto una soletta di calcestruzzo su cui passano le strade: così si è rotta per sempre e volutamente l”unità della zona archeologica, l”unità cioè dei Fori imperiali che gli imperatori avevano attuato proprio come ampliamento dell”antico Foro repubblicano».

Sventrare nel cuore del centro corrisponde a una malintesa e grossolana esigenza di monumentalizzare e “liberare” gli antichi Fori, eliminando come fossero scorie architettoniche (oltreché sociali) quei tessuti urbani che la storia aveva lasciato crescere intorno a essi. «Quella città – la definisce Ludovico Quaroni nelle sue splendide Lezioni romane – di casette e di ortiche, di ruderi e di miseria polverosa, di luce e di nuvole». L”intento del regime è quello di collegare, in un impeto di idealismo urbanistico, le antiche vestigia imperiali con le velleità imperialiste del fascismo.

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Al di là delle riserve ideologiche e di un residuale e stucchevole romanismo, il risultato è sostanzialmente un goffo e ridondante asse urbanistico, che avrebbe dovuto congiungere il moderno (l”Altare della patria) con l”antico (il Colosseo), ma che in pratica diventa uno stradone grigio che né riesce a comporre una prospettiva decente, né a far respirare come meriterebbe il sedime archeologico. Con il tempo (e il traffico) Via dei Fori imperiali ha finito per diventare una pista automobilistica, il Colosseo un ciambellone assediato e Piazza Venezia una rotatoria puzzolente.

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C”è da dire che il tentativo mussoliniano, per quanto tardivamente, raccoglie un modello politico autoritario, esplicitamente connotato da un”ideologia aggressiva e persecutoria. Figlio di quell”urbanistica autoritaria e militaresca a cavallo tra l”ottocento e il novecento il cui obiettivo era ripulire le città dai grovigli edilizi disordinati che davano rifugio alle classi povere e spesso ribelli. E infatti lo sventramento dei Fori era stato previsto fin dal piano regolatore del 1883, confermato in quello del 1909 e infine realizzato in conformità con quello del 1931. Insomma, per affermarsi, il nuovo deve divorare il vecchio, costi quel che costi. Un metodo distruttivo e azzerante.

Invece, l”antico non è un peso da eliminare ma un bene da accarezzare e coccolare. E lo si custodisce al meglio non negandolo o nascondendolo, ma esaltandone la qualità formale e la suggestione immateriale. Dunque, per imporsi, il nuovo deve accettare, accogliere il vecchio. Non cannibalizzarlo, semmai strumentalizzarlo, con sensibilità estetica e intelligenza progettuale. In questo quadro, il centro storico di Roma è in sé un magnifico orizzonte, una scintillante stratificazione culturale, che in fondo necessita di sole politiche nutritive: manutentive e valorizzanti. E dunque non solo conservazione e salvaguardia ma anche rinnovamento e sviluppo.

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E dove, se non nel comprensorio degli antichi Fori, si può realizzare tutto ciò? La restituzione alla città della funzione baricentrica di quell”area: non più politica ed economica, ma culturale e ambientale. Si tratterebbe dunque di pedonalizzare integralmente la Via dei Fori e la Via dei Cerchi e riconnettere il Colosseo con il Circo Massimo, l”Arco di Costantino e la Via Sacra, i Fori e i Mercati traianei, il Palatino e il Campidoglio. Disselciando l”asfalto e riesumando i tesori sotterranei scampati al piccone fascista, e così riconsegnando l”intero sedime allo sguardo e al transito umani. Ci si troverebbe di fronte a un incanto, in uno dei paesaggi più affascinanti al mondo: quanto e più di Pompei, come nella Valle dei re, nell”Acropoli di Atene, sulle alture di Machu Picchu, sotto la Piramide di Tulum.

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Così si può rilanciare Roma, tentando di farle riacquisire quel prestigio di capitale internazionale della cultura. Una città che si è stancata d”indossare quell”invecchiata grisaglia marroncina e affumicata, e che perciò desidera cambiarsi d”abito e infine misurarsi più lieve e convinta con la sua storia millenaria. Una storia che afferma il primato assoluto della cultura e della natura non per una nobile nostalgia ma come impronta contemporanea, restituendo la città al sole e al vento, alle luci e alle ombre, al suono delle parole, al piacere dello sguardo.

Dovrebbe essere questo l”impatto dell”operazione Fori. Ritrovarsi invece a ragionare su dove passano le macchine, se di qua o di là, o dove mettiamo la fermata dell”autobus, o se i noleggiatori sono equiparabili ai tassisti, o se i centurioni possono continuare a lavorare, o dove sistemiamo i camion-bar, se insomma è così che si affronta e si programma questa pedonalizzazione, beh, il timore è che tutto finisca in una spolveratina o poco più.

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Non basta aver allontanato Alemanno, né appare particolarmente efficace affidarsi alle tecniche cognitivo-comportamentali in un fine settimana a Tivoli. Roma può tornare a respirare e sorridere solo se si abbandonano le mezze misure e la gestionalità piccola piccola. C”è bisogno di coraggio culturale, di una visione alta, di una strategia finalmente ariosa e slanciata. C”è bisogno di radicalità nelle scelte, quella radicalità che oggi appare come la più ragionevole delle politiche.

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