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Logiche di distruzione del made in eataly

«Tre parole ridondavano nella comunicazione di Eataly all’inizio: “gestire il limite”.» [Tokyo Cervigni]

Logiche di distruzione del made in eataly
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25 Settembre 2013 - 12.23


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di Tokyo Cervigni

Correva l’anno 2007 quando Eataly, progetto d’avanguardia nato dalle logiche visionarie e imprenditoriali di Oscar Farinetti, aprì il suo primo supermercato a Torino, nella vecchia fabbrica del Carpano, davanti al Lingotto.

All’epoca ero uno studente al primo anno dell’Università di Scienze Gastronomiche. Ancora giovane, vedevo Eataly con gli occhi innocenti di chi, come Hansel e Gretel, entra per la prima volta in una casa di dolci non dubitando si tratti della casa di una strega che me se vole magnà.

Tre parole ridondavano nella comunicazione di Eataly all’inizio, dette dalla persona che si autodefiniva un nuovo messia del mangiare bene e a poco prezzo: “gestire il limite”. Le ho sempre adorate perché sapevo sin dall’inizio, nonostante la mia immaturità, si trattasse di una mirabolante cazzata.

Poco meno di sei anni dopo, quello che era il leitmotiv della crociata di Farinetti per una democratizzazione dell’alta gastronomia è sotterrato da Eataly aperti ovunque e con logiche espansionistiche degne di una multinazionale. Mi mancano le cifre, ma chissenefrega.

Uno dopo l’altro ecco Eataly aprire in qualsiasi angolo d’Italia e del mondo. Segno che la crisi può essere battuta con un’imprenditoria scaltra e che mangia sulle teste degli altri.

All’apertura a Roma, lo scorso anno, Oscar aveva definito il migliaio di impiegati dell’Eataly più grande al mondo “Giovani e belli”. Da cosa si misura il genio di un grande comunicatore? Dall’oculata scelta delle parole. Oscar ha presentato i suoi dipendenti con due aggettivi positivi “Giovani (si va bè) e belli (non è che Eataly mò ci diventa come Abercrombie?) omettendo una parola fondamentale per qualificare una persona che lavora da Eataly: “preparata”. perché Eataly oltre ai prodotti dovrebbe vendere anche savoir faire.

All’apertura di un supermercato, i colloqui di lavoro da Eataly durano dai 30 secondi ai due minuti. Qualsiasi sia il posto, c’è così poco tempo per organizzare l’offerta ad una domanda tanto grande e con tanto hype che basta avere mani in più, poco ci frega del cervello. Eataly, nuova frontiera dei così chiamati “Mc Job”.

Eataly non è altro che una copia del modello Autogrill applicato alle città e con criteri qualitativi leggermente più alti.

Queste le ragioni per pensarlo:

– Autogrill ha sempre avuto un angolo in cui mettere in mostra i prodotti del territorio.

– Autogrill ha sempre cercato di fornire più modelli di ristorazione all’interno di un solo spazio. Vedi le paninerie, i ristoranti “Ciao” o ancora le pizzerie con “Spizzico”.

– All’interno degli Autogrill sono comunicate le offerte del mese e i prodotti d’eccellenza del panorama DOP italiano.

L’unica cosa che manca a Eataly sono i best of di Al Bano Carrisi alle casse, ma credo che Oscar stia lavorando anche su quello. Magari facendo un disco di musica neomelodica napoletana cantata da Mario Batali.

Eataly rappresenta tutto l’opposto di quanto insegnatoci in tre anni di Università di Scienze Gastronomiche. Non rispetta gli artigiani nei loro tempi e nelle loro logiche di produzione. La merce venduta ha un [i]carbon print[/i] considerevole (non saranno dei sacchetti di tela con su scritti slogan da lobotomizzati a salvare il mondo). Quel che è prodotto nei supermercati di Eataly non è più buono della media (perché fatto spesso da mani inesperte).

Quello che Oscar resta è un grande comunicatore. Già il nome stesso del suo impero “Eataly” ha tantissimo da insegnare. Oscar ha riassunto in sei lettere l’eccellenza di una nazione e del suo patrimonio enogastronomico.

Avesse fondato un’agenzia di pubblicità anziché Eataly, Oscar avrebbe molto probabilmente risollevato le sorti dell’industria pubblicitaria italiana.

Il suo modo di fare pubblicità è molto simile al modello di Bill Bernbach che ha reso VolksWagen uno dei colossi mondiali dell’automobile. Un’illustrazione semplice legata a una bodycopy certosina e confezionata perfettamente.

I manifesti di Eataly non fanno solo pubblicità, educano in modo intelligente. Si legano a valori d’italianità ed hanno una lettura semplice, diretta e comprensibile.

Con che logica far arrivare un pacco di Barilla sugli scaffali di Eataly a New York? Semplice, sposandone l’immagine e non citando in alcun momento la qualità organolettica del prodotto. “Eataly ha scelto Barilla perché rappresenta l’unione della famiglia e della casa”. Puro genio del marketing, l’Italia non è più solo prodotti, ma anche quello che rappresentano. Un po’ come se dicessi che se bevo Cola-Cola è perché voglio condividere un momento di felicità con un amico e non perché abbia sete.

Oscar ha fatto tanto bene all’immagine dell’Italia nel mondo quanto male ai produttori con cui lavora. In pochi anni è diventato proprietario di buona parte dei brand che vende nei suoi supermercati, duplicando il suo guadagno e distruggendo le logiche del grande artigianato italiano.

Eataly World, di cui si sa ancora poco, è ai miei occhi solo un progetto di follia imperialista. Un luogo tanto grande da poter finalmente contenere l’ego di un imprenditore che si definisce rivoluzionario senza rispettare nessuno dei principi di ciò che è Buono, Pulito e Giusto.

Non me ne vogliano i miei compagni di università, che anzi invito a contestare le mie parole per aprire una discussione sugli aspetti positivi di Eataly, che saranno sicuramente molti ma che fatico a vedere se non con estremo cinismo.

Ah dimenticavo: “gestire il limite”.

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