Lo scontro sul Senato: cosa c'è dietro?

Lo scontro rivela due diversi tentativi di liquidare la democrazia repubblicana. Non ci resta che sperare in Razzi, Scilipoti e amici [Aldo Giannuli]

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31 Marzo 2014 - 09.35


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di Aldo Giannuli.

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Con l’intervista del Presidente del
Senato Pietro Grasso (Corriere della Sera, 30 marzo 2014) e il successivo
battibecco fra lui e Renzi è esploso uno scontro di grande portata
politica
, nel quale si stanno inserendo anche altri soggetti
istituzionali. Con l’inarrivabile rozzezza dei renziani, la Serracchiani
è arrivata a richiamare il Presidente del Senato (seconda carica
istituzionale del paese) alla disciplina di partito: non era mai
accaduto prima
.

Ma, in realtà, Grasso ha
solo reso manifesto un conflitto che covava copertamente e che riguarda
due diverse concezioni della democrazia, entrambe autoritarie e
liberticide
, ma fra loro opposte: la variante iper-populista e
plebiscitaria
e quella elitaria e monarchica.

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La proposta fatta da Renzi e Berlusconi
di fatto abroga il Senato, togliendogli quasi tutte le competenze, ma,
soprattutto, disegnando una composizione non elettiva e di persone
(sindaci e Presidenti di Regione) legate al loro ruolo sul territorio e,
pertanto, di fatto impossibilitate a partecipare ai lavori di un
organismo a centinaia di chilometri dalla propria sede. E, infatti, si
prevede una riunione mensile puramente simbolica.

La concezione plebiscitaria della
democrazia, comune a Renzi e Berlusconi, vede al centro l’esecutivo
presieduto da un capo onnipotente e carismatico (l’”Unto del Signore”),
limitato dal minor numero possibile di “impacci” (a cominciare dalla
Costituzione) e nettamente prevalente sul legislativo, ridotto a puro
simulacro. In questo quadro il Senato presenta un ostacolo, perché può
dar luogo all’esistenza di maggioranze differenziate fra le due Camere
(e, infatti, nessuna democrazia parlamentare in cui viga il sistema
maggioritario è bicamerale).

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Dunque, perché non abrogarlo tout court?
Sia per considerazioni tattiche (dare un contentino formale alla Lega,
indorare la pillola da far ingoiare al ceto politico), sia, soprattutto,
per evitare di abrogare o riscrivere decine di articoli della
Costituzione
, quello che avrebbe ostacolato il bliz che i due avevano
immaginato con scarso realismo, non tenendo conto delle inevitabili
resistenze dei  senatori.

La seconda posizione, quella
elitario-monarchica, ha preso le mosse da una proposta di Mario Monti,
Renato Balduzzi e Linda Lanzillotta
che prevede un Senato dotato di
forti poteri di controllo e di interferenza sulle attività di governo
composto da

«200 membri eletti dai consiglieri
regionali, dai membri delle giunte regionali e da un certo numero di
sindaci e scelti non solo tra le classi politiche locali ma anche tra i
rappresentanti della società civile, dei ceti economici più dinamici,
dell’università, delle professioni».

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Attenzione: qui gli enti locali
designano i senatori, ma non mandano i propri vertici, bensì persone
scelte dalla “società civile” (università, professioni, ceti
economici…”) in grado, quindi, di partecipare effettivamente alla vita
dell’organismo. Dunque, un Senato vero e dotato di poteri ancora non ben
definiti, ma che possa mettere becco nelle scelte del governo.

Il passo successivo è stato un appello
del “Sole 24 ore” che ha iniziato a parlare di una “Alta camera della
cultura e delle competenze”
. Appello intorno al quale sono andati
raggruppandosi intellettuali come la senatrice a vita Elena Cattaneo,
Chiara Carrozza, Luciano Canfora (e questo mi duole), ma, soprattutto,
Eugenio Scalfari (Sole 24 ore 30 marzo 2014) e la proposta, man mano è
diventata quella di una Camera composta da grandi personalità della
cultura, indicate in una rosa dall’Accademia dei Lincei (il museo
egizio!) e dalle Università e poi nominate dal Presidente della
Repubblica. Col che, salvo per la nomina a tempo e non a vita, è
esattamente quello che era il Senato di nomina Regia.

Una proposta che pensiamo piaccia molto
all’attuale capo dello Stato, che è uno che la monarchia ce l’ha nel
sangue
. Ovviamente, non è affatto negativo il coinvolgimento di
autorevoli personalità della cultura nelle attività parlamentari, ma
questo è auspicabile attraverso un mandato popolare, non con una nomina
dall’alto. D’altro canto, in caso di bicameralismo, per quanto
imperfetto, è per lo meno bizzarro comporre una Camera delle competenze
da contrapporre all’altra che, implicitamente, diverrebbe “degli
incompetenti”.

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A ben vedere si tratta del modello della
“democrazia a trazione elitaria” teorizzata da Monti e che ha trovato
espressione tanto nel “governo dei tecnici” (esplicitamente citato da
Monti nel suo articolo sul Corriere della Sera il 30 marzo 2014) quanto
nelle due commissioni di saggi che dovevano riformare la Costituzione. 

Dunque, la Camera bassa (che il sistema elettorale in discussione
assicurerebbe che sia davvero molto bassa) elettiva e quella Alta di
nomina presidenziale. 

E questo porta ad un altro punto della questione:
la torsione presidenzialista prodottasi in questi anni. Inizialmente,
l’iper attivismo di Napolitano fu il risultato dell’impresentabilità
internazionale di Berlusconi e della concomitante crisi del debito
sovrano. Ma con la nomina di Monti, il Presidente è andato sempre più
assumendo funzioni di indirizzo politico e, più che di garante della
Costituzione, di garante delle obbligazioni Ue del paese ed in
particolare del debito. Comprensibilmente, le polemiche di Renzi con la
Ue in materia di vincoli di bilancio non devono aver molto allarmato il
Colle che, alla vigilia del semestre europeo dell’Italia, si sente una
volta di più chiamato a garantire per il futuro. Tuttavia, Napolitano,
per ragioni che non stiamo qui a ripetere, si appresta a lasciare il
Quirinale. Di qui la tentazione di trasformare il sistema costituzionale
introducendo definitivamente le modifiche di assetto dei poteri che,
sin qui si erano prodotte di fatto
.

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Per cui, attraverso la nomina di un
Senato con penetranti poteri di controllo e di indirizzo sull’attività
di governo, il Presidente acquista definitivamente il ruolo di
super-Presidente del Consiglio
(vagamente ispirato al modello francese)
in alleanza con il ceto tecnocratico
. Così da contrappesare
efficacemente un governo ancora troppo condizionato dalle “spinte
populiste” che vengono dal voto popolare.

Grasso, nella sua infelice intervista al
Corriere, ha cercato una mediazione che tenesse conto degli umori degli
attuali senatori che vorrebbero qualche chances di tornare a sedersi a
palazzo Madama, ed ha proposto un Senato un po’ composto sul modello
delle autonomie territoriali, un po’ elettivo, con poteri reali ma
limitati. La scomposta reazione di Renzi, che arriva a proporre una
revisione costituzionale per voto di fiducia (cosa che neppure nel più
sconnesso regime sudamericano degli anni trenta si sarebbero sognati di
fare), ha tolto il coperchio alla pentola.

Di fatto siamo di fronte a due diversi
tentativi di liquidare la democrazia repubblicana voluta dalla
Costituzione
. Non ci resta che sperare in Razzi, Scilipoti ed amici che
mandino tutto gambe all’aria.

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