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I provvedimenti #sbloccatrivelle di Matteo Renzi e la fine della democrazia. [Pietro Dommarco]

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8 Novembre 2014 - 07.29


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di Pietro Dommarco

La legge Sblocca-Italia apre a gas e petrolio, stoccaggi e prospezioni petrolifere (in terra e a mare), gasdotti e rigassificatori, e nel nome di un interesse strategico chiude le porte alla democrazia e alla partecipazione, tanto da parte delle amministrazioni locali quanto dei cittadini. Emblematico il “caso Basilicata”.

Il commento di Pietro Dommarco, che ha curato l”analisi degli articoli energetici del provvedimento nell”eBook “[url”Rottama Italia”]http://www.altreconomia.it/rottamaitalia[/url]” ed è l”autore di “[url”Trivelle d”Italia”]http://www.altreconomia.it/site/ec_articolo_dettaglio.php?intId=184[/url]”.

Lo Sblocca-Italia, che Altreconomia ha definito “Rottama Italia”, è legge dello Stato, e lo sono anche i [url”provvedimenti #sbloccatrivelle”]http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=4816[/url] di Matteo Renzi. L’iter di conversione, che il Governo ha deciso di blindare con voto di fiducia, si è chiuso il 5 novembre. Dalla bozza pubblicata in Gazzetta Ufficiale, passando per le varie versioni emendate, quello che viene restituito al Paese è un testo, nel suo complesso, peggiorativo. E questo giudizio riguarda anche gli articoli 36, 37 e 38, recanti misure urgenti in materia di energia.

Resta ferma la volontà dello Stato – tramite i ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente – di sostituirsi agli enti locali nelle decisioni riguardanti i progetti energetici, vanificando gli strumenti di partecipazione dei cittadini. Le comunità e i territori non avranno più voce in capitolo per quanto concerne la realizzazione di gasdotti di importazione di gas dall”estero (come il TAP, il Salento), di terminali di rigassificazione di GNL (gas naturale liquefatto), di stoccaggi di gas naturale ed infrastrutture della rete nazionale di trasporto del gas naturale.

Stesso discorso vale per le attività di prospezione, di ricerca e coltivazione di gas e greggio, nella terraferma e nel mare, in quanto rivestirebbero – secondo la legge approvata – “carattere di interesse strategico” e sarebbero – sempre secondo lo Sblocca-Italia “di pubblica utilità, urgenti e indifferibili”. Ciò deriva da una supposta esigenza di valorizzare delle risorse energetiche nazionali e per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese, nonché richiamando il decreto del Presidente della Repubblica numero 327 del 2001 (Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità).

L”effetto del nuovo intervento legislativo è che nel giro di qualche mese potrebbero trovare compimento oltre 100 progetti, da Nord a Sud, e in altre aree individuate appositamente dal ministero dello Sviluppo economico che – grazie al comma 1-bis dell’articolo 38 dello Sblocca-Italia – “con proprio decreto, sentito il Ministro dell”ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attività […]”.

Insomma, una sorta di “militarizzazione energetica” in odore di incostituzionalità, pianificata dai ministeri competenti, alla quale si arriverebbe grazie ad un titolo concessorio unico applicabile anche agli iter in corso, dietro richiesta formale delle compagnie petrolifere.

L’obiettivo dichiarato è snellire i tempi di avvio dei progetti, concedere concessioni di coltivazione di gas e greggio della durata di “trenta anni da prorogare […] in caso di rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed economicamente coltivabile, riconosciuto dal ministero dello Sviluppo economico” e marginalizzare il parere delle Regioni. Dall’articolo 38, infatti, scompare il riferimento all’intesa regionale da esprimere in apposita Conferenza dei Servizi. Quest’ultima resta, ma l’intesa diventa un passaggio autonomo, e politico, da trasmettere nella fase precedente all’emanazione del decreto, fuori dalla Conferenza dei Servizi. E se la Regione non si esprime lo Stato può sostituirsi. Come farà il ministero dell’Ambiente, dopo il primo aprile 2015, in tutti quei procedimenti di Valutazione d’impatto ambientale (VIA) in itinere, che le Regioni – per non essere scavalcate – dovranno chiudere entro il 31 marzo 2015.

Può accadere, pertanto, che molti uffici regionali alle prese con progetti spinosi, e particolarmente contestati dai territori, potrebbero decidere di attendere il 31 marzo 2015 senza pronunciarsi nel merito, facendo ricadere la responsabilità sullo Stato.

Forse, l’unica novità sostanziale è rappresentata dal divieto – contenuto sempre nell’articolo 38 – di “ricerca e estrazione di shale gas e shale oil e il rilascio dei relativi titoli minerari” con la tecnica del fracking, “ai fini della tutela delle acque sotterranee dall’inquinamento […]” . Si vieta la fratturazione idraulica ma i piani ingegneristici delle compagnie petrolifere resteranno comunque secretati.

La Basilicata del raddoppio petrolifero

La regione che ospita il giacimento di greggio in terraferma più grande d’Europa merita un approfondimento specifico. Il raddoppio delle estrazioni petrolifere viene “scambiato” con il ristoro economico dei territori, e una rivisitazione dei bonus.

L’articolo 36 del decreto Sblocca-Italia manda in pensione il bonus benzina – istituito con la legge n.99 del 23 luglio 2009 – e introduce una social card, da attivare in quei territori interessati dalle attività di estrazione, così come un nuovo fondo “per la promozione di misure di sviluppo economico”. Le somme dovranno essere decise dal ministero dello Sviluppo economico e stanziate con apposito decreto, previa intesa con i presidenti delle Regioni interessate.

Ricordiamo che la legge con la quale nel 2009 venne introdotto il bonus benzina prevede che il relativo fondo venga alimentato con un aumento dal 7% al 10% delle royalties versate dalle compagnie petrolifere.

Ma non è solo la social card a tenere banco. Viene riportato in vita l’articolo 16 del decreto Liberalizzazioni (n.1/2012) – convertito dalla legge n.27 del 24 marzo 2012, e “reso operativo” con il decreto ministeriale 12 settembre 2013 – con cui il 30% delle maggiori entrate fiscali dello Stato (Imposta sul reddito delle società operanti nel settore, ndr), alimenteranno – per dieci periodi di imposta successivi all’entrata in esercizio dei relativi impianti – un fondo che mira allo sviluppo degli investimenti infrastrutturali ed occupazionali nei territori interessati da attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi.

Ma a quanto ammonterebbe questo fondo? Al momento non è possibile fare delle previsioni considerando la complessità della materia. E se ci fosse un azzeramento degli utili, sui quali c’è il prelievo fiscale, il fondo potrebbe evaporare.

Sembrerebbe una sorta di “accordo in bianco”, perché per aver diritto al bonus del 30% delle maggiori entrate fiscali dello Stato sarà necessario un aumento della produzione di idrocarburi, con incremento dei costi ambientali. Anche se le estrazioni raddoppieranno, in linea con la Strategia energetica nazionale, non è detto che a raddoppiare saranno gli introiti. Uno scenario possibile, considerando che abbiamo a che fare con società con dei costi di attività diversificati che incidono sul bilancio generale. Anche la quota di royalties da svincolare dal Patto di stabilità, del resto, è definita “compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica”.

(7 novembre 2014)

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