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da Contropiano.
La disperazione negli occhi della gente sommersa dal fango,
come da qualsiasi altro fenomeno più grande delle singole persone e
comunità , è ovunque la stessa. Ovunque la stessa domanda: perché nessuno ci aiuta? Dov”è lo Stato?
Domanda assolutamente legittima. Purtroppo cade in un contesto più
che trentennale, ormai, di condanna della presenza del “pubblico”, di
richiesta universale (pilotata dalle imprese private, ma questo è meno
noto) di riduzione dell””invadenza” delle amministrazioni pubbliche, di
entusiamo per i “condoni” degli abusi commessi in nome della “libertà di
impresa” o del diritto all”accomodamento individuale (“padroni in casa
propria”, no?). Alla fine della fiera trentennale, lo Stato che serve –
quello che interviene nelle calamità naturali, che cura il territorio e
la popolazione che ci vive – è dimagrito, spompato, svuotato, semre meno
competente e organizzato (in nome della “privatizzazione”, della
dismissione delle “partecipate”, dell””autonomia” e via castronando). E
quindi arriva poco, male, tardi.
Questa sua inefficienza provocata e voluta da tutti diventa a
sua volta una “prova” della necessità di ulteriormente privatizzare,
dismettere, disinvestire, definanziare. Insomma: di tagliare.
Non ci occupiamo qui dell”aspetto scientifico-climatologico, che ha
un”indubbia centralità per chiunque voglia iniziare ad affrontare
seriamente il problema della cura del territorio. Soltanto i criminali
al servizio di alcune mulitnazionali, infatti, negano ancora il peso
delle attività industriali – e dei consumi conseguenti – sui mutamenti
climatici. Che vanno assumendo ora dimensioni percepibilmente
catastrofiche.
Di fatto, il riscaldamento globale accentua le dimensioni dei
“normali” fenomeni metereologici. Per stare soltanto alle
precipitazioni, può accadere che le quantità di acqua che prima cadevano
in parecchio giorni, se non addirittura settimane, oggi cadano in poche
ore. Una concentrazione di potenza che si scarica su territori – quelli
italiani più della media europea – altamente problematici sia per
l”orografia (colline e montagne con pendenze importanti) che,
soprattutto, per la cementificazione fai-da-te (sia familiare che
industriale), senza alcun criterio né progetto “complessivo”; ovvero
adeguato alle caratteristiche specifiche del territorio su cui
intervengono.
Il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi. Quelle inondazioni
castrofiche che prima avvenivano “ogni tanto”, ora si susseguono più
volte nel corso dello stesso anno; o addirittura dello stesso mese. In
determinati luoghi – come Genova, e persino Milano – non si fa in tempo a
rimettere a posto quel che si può, che già si finisce di nuovo
sott”acqua.
Lo Stato che può intervenire è sempre più debole: finanziariamente
(le priorità di spesa sono decisamente altre, per tutti i governi
recenti), come immagine, come strutture operative (i vigili del fuoco ne
hanno da raccontare, a proposito di tagli agli effettivi e alla
dotazione strumentale, precarietà , ricorso al “volontariato”,
compressione della formazione, ecc).
Se fossimo dei cinici potremmo concludere: vi ha convinto il “meno Stato, più mercato”? Adesso godetevelo…
Non siamo fatti di questa pasta. Ogni nuovo colpo all”assetto
idrogeologico del territorio, ogni alluvione o altro disastro, ci
conferma invece nella convinzione che soltanto una risposta pubblica –
collettiva, seria, scientifica – che subordini ogni “aspettativa
privata” alla sicurezza collettiva può provare ad affronatre fenomeni
altrimenti destinati a moltiplicarsi in forme sempre più catastrofiche.
E” il contrario del pensiero unico dominante; il solo che può rispondere alla domanda negli occhi di chi ha perso tutto.
Fonte: http://contropiano.org/politica/item/27569-meno-stato-piu-mercato-piu-inondazioni.
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