però questa volta il problema è più serio. Mi riferisco, ovviamente,
alla vittoria del partito di destra in Polonia, che è stata accolta
dalla stampa internazionale ricorrendo alle solite argomentazioni, quasi
pavloviane: quella destra è populista, inaffidabile, magari anche un
po’ razzista.
come la Polonia per maturare editoriali competenti e i giudizi degli
inviati e degli osservatori risultano pertanto banali, più orecchiati
che davvero motivati. Il partito che ha vinto a Varsavia potrebbe
rivelarsi inaffidabile oppure, a sorpresa, salutare.
questo il punto.
episodico e nemmeno delimitato geograficamente, paradossalmente sta
diventando europeo. Basta un breve giro d’orizzonte per rendersene
conto. In Polonia e in Ungheria sono al potere due partiti euroscettici,
la Gran Bretagna fra qualche mese andrà a votare per un referendum che
propone addirittura l’uscita dall’Unione europea, sebbene Londra, come
sappiamo, non abbia nemmeno adottato l’euro. In Francia Marine Le Pen
continua a salire nei sondaggi ed è molto probabile che alle prossime
presidenziali arrivi al ballottaggio.
Portogallo, alle elezioni dello scorso 5 ottobre il partito di
centrodestra non è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta e il
Partito socialista ha formato un’alleanza con i partiti dell’estrema
sinistra euroscettica e chiede di poter governare. Hanno i numeri e
secondo le regole democratiche ne hanno diritto; non sono ancora al
potere solo perché il presidente della Repubblica, con una procedura che
fa gridare al colpo di Stato, si rifiuta di dare loro l’incarico.
In Grecia sappiamo cos’è successo. In Spagna il tanto decantato miracolo
economico è risultato essere un bluff, un’illusione statistica come ha
riconosciuto il New York Times e movimenti stile Podemos prendono il
sopravvento su quelli tradizionali. In Italia oggi la maggioranza è, in
teoria, euroscettica: sommate i voti del Movimento 5 stelle (25%) della
Lega Nord (16%), Fratelli d’Italia (5%) e di altre formazioni minori e
si supera il 50%.
di destra talaltra di sinistra, non sono affatto univoche. Nei Paesi del
Sud è un’austerity che ha dissanguato l’economia reale, lasciandola
tramortita, a generare un malcontento che sfocia nella disperazione
sociale e porta a tassi di disoccupazione inconcepibili fino a pochi
anni fa. In quelli dell’est è il dramma dei profughi, a nord il
sentimento di un’usurpazione dell’identità . In fondo anche la Svizzera,
pur non essendo membro della Ue, vive lo stesso fenomeno: l’affermazione
dell’UDC è essenzialmente identitaria e di autodifesa.
di Bruxelles e del processo di costruzione europea. Quando masse così
eterogenee, ma così numerose, si esprimono in maniera univoca, la
risposta dell’Unione europea non può essere quella consueta,
corporativistica, o meglio élitaria di chi pensa che si tratti di
fenomeni marginali e trascurabili. Ventitré anni dopo Maastricht e
quindici anni dopo l’euro, la Ue dovrebbe essere popolare e consolidata.
Sta avvenendo esattamente il contrario: è sempre più impopolare e
tellurica nelle sue fondamenta. E la sufficienza con cui certe élite
negano a se stesse la realtà rischia di essere prodromica a sviluppi
inimmaginabili, collettivi e diffusi.
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