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La sconfitta del Fn

C’è una notizia buona: ha perso la Le Pen. Ed una cattiva: hanno vinto gli altri. [Aldo Giannuli]

La sconfitta del Fn
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14 Dicembre 2015 - 12.15


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Di Aldo Giannuli

C’è una notizia  buona ed
una cattiva. Quella buona è che ha perso la Le Pen, quella cattiva è che
hanno vinto gli altri. Certo: è un paradosso, ma è la situazione reale
ad esserlo: siamo stretti fra un presente insopportabile ed
un’alternativa peggiore.

Il punto non è che il Fn sia fascista:
lo è sui generis, per un richiamo genealogico e la persistenza di alcuni
temi ideologici di quella origine,  ma anche con molte differenze, ad
iniziare dal rapporto con la violenza ed il totalitarismo (non mi
risulta che il Fn abbia una prassi squadristica, né che punti a
sciogliere gli altri partiti ed abolire le libere elezioni). Questa
definizione si adatta meglio ad Alba dorata o Jobbik.

Dunque, quello della caratterizzazione
fascista non è l’argomento di maggior peso. Quello che conta di più sono
altri aspetti: il più frusto e gretto nazionalismo, la critica
superficiale dei poteri finanziari, che lascia intatto l’assetto
capitalistico della società, il richiamo ad una tradizione più
immaginaria che reale, dietro cui si nasconde una anti-modernità
reazionaria, la becera xenofobia, il populismo greve che si contrappone
ad ogni dimensione culturale, la richiesta ottusa della pena di morte e
via di questo passo. Dunque, non è certo una cattiva notizia che il Fn
abbia perso. La cattiva notizia è che vincano quelli di sempre, le forze
di sistema.

Certo i socialisti ne escono massacrati
con la certificazione della loro irrilevanza politica, anche se il loro
capo resta all’Eliseo (che autorità può avere un Presidente il cui
partito scende sotto il 20%?), ma risorge la stella di Sarkozy. Sai che
acquisto!

Come è accaduto all’Ukip, a Podemos ed
al M5s (cose diversissime fra loro, ovviamente, ma accomunate dalla
collocazione antisistema), il Fn è stato fermato quando sembrava stesse
per spiccare il grande balzo. Personalmente penso che Ukip, Afd e Fn
siano alternative peggiori all’esistente, mentre Podemos e M5s, al
contrario, siano preferibili ad esso, ma lasciamo perdere questo aspetto
e cerchiamo di capire perché questo accada. Sin qui l’unica forza
“antisistema” a vincere è stata Syriza ma non a caso: è quella che
discende più direttamente da organizzazioni della sinistra tradizionale
(sinistra Pasok, comunisti dell’interno e formazioni simili), più simile
alla Linke (di cui condivide l’appartenenza al Sinistra Europea) che a
Podemos e, dunque, la meno nuova ed antisistema fra le forze
affacciatesi con la crisi e, infatti, nelle scelte di governo si è
dimostrata molto allineata alle indicazioni (o diktat) del sistema di
potere europeo.

Vice versa, le forze più nuove e
dichiaratamente antisistema, non riescono a sfondare, pur ottenendo
risultati vistosi, che talvolta raggiungono la maggioranza relativa. E’
probabile che confluiscano diverse ragioni. Quella più evidente è che il
blocco delle famiglie politiche tradizionali (socialdemocratici,
democristiani, liberali e verdi) si compatta contro i “barbari” e, pure
ammaccato, per ora regge. In Italia questo ha funzionato meno, perché
nei ballottaggi, il polo tradizionale escluso ha preferito il M5s
all’avversario di sempre, ma si è trattato di elezioni amministrative e
non è detto che funzioni anche nelle politiche: dunque una eccezione
relativa e tutta da confermare. Peraltro anche il M5s ha sperimentato
l’effetto “blocco” nelle europee del 2014 e, comunque è ancora sotto il
30%, pertanto per nulla sicuro di arrivare neppure al ballottaggio.

In questo comportamento dell’elettorato è
evidente la paura del |”salto nel buio”: ad esempio, l’uscita dall’euro
è vista come una avventura pericolosissima che mette a rischio risparmi
e redditi da lavoro e la risposta delle forze antisistema (a parte
Podemos che non mette in discussione l’Euro o l’appartenenza alla Ue)
non è apparsa tranquillizzante, perché non è stata prospettata alcuna
credibile exit strategy che, quantomeno, attutisca l’eventuale urto. Più
in generale, queste forze sono apparse credibili più come espressione
della protesta sociale che come possibile forza di governo: proposte
troppo semplicistiche e al limite del miracolismo, personale politico
non adeguato al ruolo, apparato organizzativo insufficiente.

Bisogna ammettere che non si tratta solo
dell’effetto delle campagne dei media: in effetti queste forze mancano
(almeno per ora) della cultura politica e del personale necessari ad
esercitare un ruolo di governo, per cui, anche “ad un solo miglio dalla
vittoria”, non ce la fanno a dare lo scatto finale.  Ad esempio è da
notare che nessuna di queste forze articoli un minimo di discorso
credibile di politica estera.

Il punto è che queste forze, in ragione
del loro accentuato populismo, confondono la sacrosanta avversione al
ceto politico ed alla “politica politicienne” con il rifiuto della
politica in quanto tale e questo si traduce spesso in atteggiamenti
infantili del tipo “noi contro tutti”. I partiti antisistema rifiutano
ogni alleanza come dimostrazione della loro “diversità”, una forma di
integralismo im-politico più ancora che anti-politico. Ma un blocco
elettorale vincente non è una sommatoria di voti di anonimi cittadini,
ma l’aggregazione di un blocco sociale, che spesso chiede una
articolazione di diverse forze politiche in grado di coprire uno spettro
di interessi abbastanza stratificato. Neppure la Dc, partito “prendi
tutto” per eccellenza, ce la faceva da sola a coprire tutto il campo di
interessi che gli garantisse la maggioranza ed i partiti laici (con il
loro 10-12% avevano appunto la funzione di coprire i fianchi della
coalizione.

E’ un punto su cui occorrerà tornare,
per ora lo segnaliamo insieme ad una certa insensibilità sociale del
partiti populisti. Può sembrare un paradosso che i partiti che si ergono
contro il sistema, in nome degli interessi del popolo, poi non
capiscano la dialettica delle forze social. Ma è appunto il loro essere
populisti che li porta a concepire il popolo come una unità omogenea,
priva di interessi differenziati e non  attraversata da una dialettica
interna. Questo immaginario –del tutto infondato- poi ha anche la
conseguenza di rendere estranei i populisti (altro paradosso conseguente
al primo) al conflitto sociale. Ma su questo torneremo, dato che il
punto merita ben più di uno specifico articolo.

Insomma, occorre capire che la protesta è
giusta ma non basta e che per il salto dalla protesta alla proposta
occorre munirsi di una cultura politica di riferimento, superare le
rozzezze attuali e darsi una struttura organizzativa adeguata: la
tastiera di un computer non è sufficiente ad assicurare tutto questo.

 

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