30 anni dopo, cosa resta della tragedia senza fine di Chernobyl

Il mondo torna a posare gli occhi su Chernobyl e per qualche giorno si chiede: 30 anni dopo, che succede là dove è avvenuto uno dei più gravi disastri nucleari della storia?

30 anni dopo, cosa resta della tragedia senza fine di Chernobyl
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26 Aprile 2016 - 18.05


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«“Preghiera per Chernobyl”, il libro del
premio Nobel Svetlana Aleksievich, Keith Gessen ricorda  l”esplosione del
reattore e l”incendio nucleare scoppiato il 26 aprile 1986 alla centrale di
Chernobyl, Ucraina (allora Unione Sovietica)
». Il Sole 24 ore, 25 aprile
2016 (c.m.c.)

di Antonella Scott.

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Uno dei ricordi di Chernobyl che rimane più
impresso nella mente sono le izbe della “exclusion zone”, casette senza più
abitanti su cui si avventano gli alberi, come serpenti, per soffocarle.
Immagine simbolo di un luogo “liberato” dalla presenza umana, su cui la natura
ha il sopravvento. Una riserva unica al mondo, macchiata però dal mostro
invisibile delle radiazioni, che ancora contaminano queste terre perpetuandosi
attraverso le bacche, i fumi, la polvere, la pioggia, per migliaia di
chilometri quadrati tra Bielorussia, Ucraina, Russia.

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Nell”introduzione a “Preghiera per Chernobyl”,
il libro del premio Nobel Svetlana Aleksievich, Keith Gessen ricorda come
l”esplosione del reattore e l”incendio nucleare scoppiato il 26 aprile 1986 alla
centrale di Chernobyl, Ucraina (allora Unione Sovietica), provocarono più
superstiti che vittime. Nelle settimane successive furono 31 i lavoratori della
centrale e i pompieri uccisi dalle radiazioni. Ma sono decine di migliaia le
persone che si ammalarono in seguito, un coro disperato e senza numero perché
non c”è un modo per stabilire con certezza, negli anni, la responsabilità di
morti e malattie legate a Chernobyl. I liquidatori, i “chernobyltsy”, mandati
allo sbaraglio quella notte. Oppure i bambini nati tanti anni dopo, in terre
ancora condannate dal cesio.

E come spesso avviene, in occasione di un
anniversario si risveglia l”attenzione su un tema dimenticato. Il mondo torna a
posare gli occhi su Chernobyl e per qualche giorno si chiede: 30 anni dopo, che
succede là dove è avvenuto uno dei più gravi disastri nucleari della storia? Ha
un senso per Chernobyl usare la parola “guarire”? O quale prezzo pagano ancora
le foreste, gli animali? E gli uomini?

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Cӏ di nuovo vita intorno a Chernobyl, malgrado
chiamino “zona della morte” l”area proibita all”uomo, per un raggio di 30 km
dalla centrale. Gli scienziati mettono le mani avanti: non esistono ancora
studi affidabili che valutino con precisione l”impatto di quella nube
radioattiva e i rischi per la salute, ora e negli anni a venire. Nella
“exclusion zone” però il ritorno di diverse specie animali, anche protette,
potrebbe far pensare che per loro l”impatto dell”assenza dell”uomo sia
superiore a quello negativo della radioattività. Lupi, volpi, cinghiali,
cavalli selvatici, linci, cervi: “La distribuzione degli animali non è
influenzata dai livelli della radioattività”, hanno concluso i ricercatori
americani della Georgia University. Anche se intorno alla centrale esplosa,
oppure tra le strade spettrali di Pripyat – la città dei dipendenti evacuata
solo a diverse ore dal disastro – i tassi di radioattività variano tantissimo.
Aumentano precipitosamente scavando nel terreno: la ragione per cui a Pripyat
nessuno potrà mai più tornare.

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Ma più lontano, qua e là nei villaggi, qualcuno
pian piano è tornato: anziani su cui le autorità ucraine chiudono un occhio,
300 persone troppo povere per vivere altrove, o troppo legate alla propria casa
per lasciarla. Vecchi convinti che per raggiungerli la radioattività impiegherebbe
più tempo di quanto resta loro da vivere. Non fanno turni nella “zona della
morte”, a differenza delle circa 6.000 persone impegnate nello smantellamento
della centrale. 

E poi ci sono gli abitanti dei villaggi oltre
la “zona di esclusione”, nelle province russe e bielorusse più vicine
all”Ucraina, investite 30 anni fa dalla nube e ancora in prima linea nel
pagarne le conseguenze, soprattutto ora che la crisi economica riduce gli aiuti
dei rispettivi governi. Ma anche nel calcolo delle vittime dell”incidente –
quelle degli anni passati e quelle che verranno – le stime variano tantissimo e
sono controverse. Si parla di qualche migliaia di morti oppure – è l”opinione
di Greenpeace – di 100mila. A ogni anniversario si moltiplicano i rapporti
scientifici che cercano di quantificare l”impatto dell”esposizione alla polvere
radioattiva analizzando l”aumento dei casi di tumori alla tiroide tra i
bambini, il calo demografico e l”infertilità delle donne, le malformazioni
genetiche. 

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Non cӏ bisogno di un numero preciso per dare
una dimensione infinita alla tragedia di Chernobyl. Tra le voci che gridano
dalle pagine del libro di Svetlana Aleksievich cӏ quella di Lyudmilla
Ignatenko, moglie di Vasily. Uno dei primi mandati a spegnere l”inferno, come
se fosse stato un incendio qualsiasi. “Torno presto”, le disse quella notte.

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Mentre lui moriva, in ospedale a Mosca,
soffocato dai suoi stessi organi sfracellati, volevano impedire a Lyudmilla di
abbracciarlo: “Non è più tuo marito, non è più una persona amata, ma un oggetto
radioattivo”. Ora a Chernobyl c”è un monumento che onora i “liquidatori”, un
gruppo di statue grigie di pompieri con un semplice idrante in mano, attorno a
una stele e a una croce. E c”è una targa: “A coloro che hanno salvato il
mondo”.

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