La svolta

Elezioni amministrative 2016: il risultato del ballottaggio a Torino. [Alberto Melotto]

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19 Giugno 2016 - 22.00


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di Alberto Melotto

I risultati dei ballottaggi di questa tornata di elezioni amministrative 2016 consegnano le città di Torino e Roma alle candidate del Movimento 5 Stelle, Chiara Appendino e Virginia Raggi.

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Come cittadino torinese, ritengo che questo, almeno in parte insperato, cambio d’amministrazione vada a comporre una pagina di storia, non solo piemontese, ma nazionale. Gli elementi che debbono entrare a far parte di questa valutazione sono molteplici – è evidente che il Partito Democratico del Presidente del Consiglio Matteo Renzi subisce una sconfitta, foriera forse di ancor più decisive umiliazioni, ma molto dipenderà da quanto sapranno lavorare insieme le diverse forze che si oppongono al disegno del governo di distruzione e spoliazione delle regole e delle risorse di un paese democratico, a cominciare dalla sua Costituzione, per proseguire con la legislazione a tutela dei lavoratori, dei pensionati, degli studenti, di chi abbisogna della sanità pubblica, legislazione che ha mostrato sempre più in questi due anni e mezzo il volto feroce del sistema bancario, delle compagnie petrolifere, dei pochi che tengono nelle proprie mani il destino di intere comunità (o così credono).

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Dicevamo di Torino e del sindaco uscente, sconfitto, Piero Fassino. Per capire quanto sia stata tutt’altro che semplice l’affermazione della candidata Chiara Appendino, occorre spendere qulche parola sul suo avversario. Ad una ventina di chilometri da Torino, c’è un comune, Avigliana, che possiede due ridenti laghi con moderata possibilità di balneazione, un ex-dinamitificio che produsse esplosivi per buona parte del ‘900, ed una targa commemorativa nei pressi della stazione ferroviaria.

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Sulla targa si legge che un giovane non ancora maggiorenne durante i febbrili mesi della guerra partigiana, s’immolò, perse la propria giovanissima vita, in uno scontro a fuoco per salvare quella del comandante partigiano Eugenio Fassino, al quale fu poi intitolato il teatro della cittadina di Avigliana.

Con un tale curriculum di famiglia, a Piero Fassino non poteva non toccare l’onore e l’onere di entrare a far parte del gruppo dirigente del Pci Piemontese, a partire dagli anni ’70. Col passare degli anni, le sue responsabilità aumentarono anche negli organismi nazionali del partito, lo ritroviamo ancora nel 1991, ultimi bagliori di indipendenza politica e intellettuale, a difendere la scelta del pds di votare contro la prima guerra in Irak, Di lì a poco sceglierà di percorrere un percorso di piena e convinta adesione ai dettami dell’alleato statunitense, al punto da intenerirsi fino alle lacrime per l’amaro destino toccato ai bambini kosovari, vittime, a suo avviso della truce repressione del governo serbo. Quando si trattò di commentare i bombardamenti Nato sulla sede della tv di stato serba, sugli ospedali dove morirono tanti innocenti impossibilitati a salvarsi, Fassino seppe ricomporsi nell’abituale understatement sabaudo, e non vi fu sul suo volto un solo battito di ciglia a registrare l’eccidio.

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Tutti questi squallidi voltafaccia sono comuni a tanti altri dirigenti di quello che fu, tra luci e ombre, il Partito Comunista d’occidente più influente in ambito europeo, poi divenuto, nella brillante e sarcastica definizione di Costanzo Preve, il “serpentone metamorfico Pds-Ds-Pd”.

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Eppure Torino, fino a poco tempo fa, non aveva ancora saputo emanciparsi da questa eredità ad un tempo sentimentale, culturale e politica, eredità che si era venuta trasformando in qualche cosa, lasciatecelo dire, di rancido e di osceno. Dopo la dignitosa stagione a cavallo degli anni ’70 e ’80, delle amministrazioni a guida Diego Novelli, pur zavorrate dal doversi confrontare con un alleato di governo quale il partito socialista di Bettino Craxi, per il quale l’acquisizione di tangenti sembrava l’unico modo di dare un senso alla propria esistenza, una sorta di “intasco ergo sum”, nel 1993 si passò alla Seconda Repubblica con l’elezione diretta del sindaco da parte dei cittadini.

Quella nuova legge elettorale, approvata in parallelo al cosiddetto “mattarellum” per il parlamento nazionale, rappresentò la prima robusta spallata al sistema proporzionale puro che i Padri Costituenti, avevano, non a torto, individuato come il più adatto a rispecchiare e indirizzare l’orientamento politico della collettività.

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Nel 1993 sembrò esservi addirittura una lotta fra due sinistre che escludeva dalla competizione politica che conta, l’odiato (da sinistra) partito democristiano, ormai in fase di profonda agonia. A confrontarsi furono due coalizioni che comprendevano, da una parte il Pds pià alcuni partiti centristi, con candidato a sindaco Valentino Castellani, professore prestato alla politica ma proveniente dalla società civile, uno dei ridicoli leit-motif di quegli anni. Dall’altra il redivivo Diego Novelli, relegato bruscamente in un angolo dai nuovi capetti dell’ex-comunismo sabaudo, e appoggiato dai partiti Rifondazione Comunista e La Rete. A vincere, lo dicono gli annales, fu il primo. E nacque così, quel Sistema Torino (la definizione si deva al giornalista Maurizio Pagliassotti) che negli ultimi 23 anni ha regnato senza una vera opposizione a Torino. La strategia fu quella di gestire la transizione da città industriale a città del XXI secolo attraverso un operazione di maquillage che doveva servire ad attrarre turisti da tutto il mondo. Al centro di questa operazione di marketing, rivoltà in realtà più che all’esterno, agli stessi torinesi, chiamati ad essere più socievoli, allegrotti, cittadini del mondo.

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Vennero così le notti bianche, i primi tentativi di movida notturna, venne soprattutto la candidatura alle olimpiadi invernali del 2006, organizzate senza avere avuto precise garanzie di copertura da parte dei governi nazionali dell’epoca. Le Olimpiadi però si dovevano fare ad ogni costo, il mantra era quello, una sorta di “ce lo chiede l’Europa” ante litteram. E così fu che Torino s’indebitò fino al collo, e oltre, costruendo impianti per sport che nessuno aveva mai sentito nominare, come il curling. Una volta creatasi la voragine, si adottò il detto dell’Eterno Italiano, “cosa fatta capo ha”, e a livelo giudiziario si scelse , per evidenti contiguità di area politica, di non calcare la mano sulle folli spese rimaste a carico dei contribuenti torinesi, e dei loro figli e nipoti, in un susseguirsi di generazioni, condannate biblicamente a portare sulle proprie spalle il fardello del debito.

Va detto che da queste parti, Fassino viene schernito e scherzato ad onde cicliche, per una frase da profeta all’incontrario, che risale a quando Beppe Grillo tentò provocatoriamente di candidarsi a segretario dell’appena nato Pd. Fu proprio Fassino ad esprimersi in questo modo “se Grillo vuole fare attività politica, fondi un suo partito e vedremo quanti voti riuscirà a prendere”.

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Già, perché, e veniamo all’oggi, è stato proprio il Movimento 5 Stelle a spodestare quello che sembrava un regno destinato a durare molto a lungo, se si pensa che da circa 15 anni, il candidato di turno del Pds-Ds-Pd (dopo Castellani, Chiamparino e Fassino) vinceva regolarmente al primo turno.

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Se vogliamo addentrarci ad analizzare quelli che sono i lati positivi della proposta politica a cinque stelle, possiamo dire che tale proposta ha fatto leva su una crescente richiesta di giustizia sociale e, detto chiaramente, di sollievo da una situazione di povertà che ha investito anche gran parte dell’ex ceto medio. La proposta del reddito di cittadinanza, applicata anche a livello cittadino, ha attecchito perché percepita come pulita e animata da uno spirito di eguaglianza, non viziata da giochi contabili e da promesse menzognere come invece sembrano ormai le pseudo-idee di marca Pd.

Si pensi alla avvilente faccenda degli 80 euro di Matteo Renzi, che molte famiglie si sono viste costrette a rimborsare, oppure ai ventimila posti di lavoro promessi da Piero Fassino, e chissà se nella sua memoria avrà fatto capolino il paragone con il Silvio Berlusconi e il suo “milione di posti di lavoro” della discesa in campo del 1994.

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Da una intervista a persone comuni apparsa su La Stampa a metà fra il primo e il secondo turno, appariva evidente questo: a sostenere Chiara Appendino erano, in buona sostanza, persone di età ed estrazione sociale assai diversa, ma accomunate dall’essere dei non garantiti. Dalla studentessa universitaria che nel dopo-laurea vede un avvenire buio e tempestoso, al mercatale che si arrabatta per pagare i vari balzelli, all’esodato che ancora aspetta la pensione grazie alla macelleria sociale made in Fornero, è facile vedere come tutto un disagio sociale abbia acquisito consapevolezza, e abbia optato per un cambiamento, forse non privo di difficoltà ma in ogni caso, non più rimandabile.

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In quest’ora sarebbe facile parlare in termini dispregiativi di coloro che hanno appoggiato il candidato del PD, alludere a consorterie, clientele, anzi clientes di latina memoria. Quello che razionalmente segnaliamo a tutti i torinesi, e a tutti gli italiani con grande umiltà, è che il meccanismo crudele del liberismo attuale non prevede prigionieri, nessuno può davvero sentirsi al sicuro da questo meccanismo che produce miseria e abbruttimento, conviene operare perché oltre al movimento 5 stelle nascano nuovi soggetti politici che si oppongano al dominio dei pochi sui molti, e che fra questi soggetti si apra una fase costituente per un’Alleanza democratica e popolare. Su questo anche il Movimento 5 Stelle dovrà riflettere a lungo.

(20 giugno 2016) [url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.es/[/url]
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