Anche la Germania è stufa. Sì, ora tutto è possibile in Europa

Il significato del voto di domenica, nella sua accezione più politica, travalica i confini della Germania. Si potrebbe dire che il tappo è saltato. [Marcello Foa]

Anche la Germania è stufa. Sì, ora tutto è possibile in Europa
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6 Settembre 2016 - 06.53


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di Marcello Foa.


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La Merkel si accorge di aver sbagliato sui profughi. Ora. Troppo tardi. Come è tardiva la reazione dell’establishment all’ondata dei movimenti di protesta che sta avendo successo in molti Paesi europei. Non entro nel merito delle ragioni che hanno portato a un risultato storico in Meclemburgo-Pomeriana, ragioni che peraltro sono ovvie. Il significato del voto di domenica, nella sua accezione più politica, travalica i confini della Germania. Si potrebbe dire che il tappo è saltato


Quale tappo? Quei condizionamenti psicologici e culturali che fino a giugno inibivano molti elettori dal dare le proprie preferenze a partiti che il politically correct bollava come “populisti”. 

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Ma a giugno i britannici hanno votato per il Brexit dando ragione a Boris Johnson ma soprattutto a Nigel Farage, l’ex uomo d’affari che per 17 anni si è battuto contro l’Europa fino ad ottenere un voto che veniva considerato impossibile e foriero di catastrofiche conseguenze economiche. Farage era un impresentabile, ora è considerato un politico rispettabile e soprattutto vincente mentre la Gran Bretagna è tutt’altro che in ginocchio

L’impressione è che quel voto segni uno spartiacque, che abbia sdoganato idee e movimenti che il pubblico moderato non considera più off limits

La cavalcata di Alternative für Deutschland non sembra destinata ad esaurirsi rapidamente, tanto più a un anno dalle politiche.

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Il quadro politico è in movimento anche altrove. Fra meno di un mese l’Ungheria andrà alle urne per dire sì o no alla ripartizione di quote di profughi decisa dall’Ue e si profila un risultato plebiscitario contro Bruxelles. 

Lo stesso giorno, domenica 2 ottobre, gli austriaci ripeteranno il ballottaggio presidenziale e le chances che a prevalere sia il leader del Partito delle Libertà Norbert Hofer sono alte. 

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Negli Stati Uniti, Trump ha recuperato gran parte dello svantaggio su Hillary. 

In Francia si vota tra meno di un anno e Marine Le Pen appare destinata ad approdare al ballottaggio. 

Negli altri Paesi europei i partiti di centrodestra e di centrosinistra soffrono la concorrenza di liste di ogni orientamento. 

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In Italia le potenzialità del voto di protesta sono notevoli, nonostante le vicissitudini della giunta Raggi abbiano tolto un po’ di smalto al Movimento 5 Stelle e benché la Lega di Salvini si sia fermata nei sondaggi.


La sfida, però, per tutti questi movimenti è quella di riuscire a passare alla fase 2 ovvero a dimostrare di essere capaci non solo di ottenere ampi consensi elettorali ma di saper governare, il che significa riuscire a evitare di commettere un errore ricorrente: quello di scegliere la squadra dopo aver vinto le elezioni, di scoprire la macchina burocratica solo quando si entra nel Palazzo, di studiare i dossier in “real time” ovvero troppo tardi. Insomma di dimostrarsi sin dalle prime battute competenti, informati e autorevoli.

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Solo in questo modo potranno durare. Solo così potranno cambiare davvero le cose o perlomeno tentarci seriamente.


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