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di Alessandro Gilioli.
Non so se è solo mio o di pochi – o invece è diffuso – il senso di attonito straniamento rispetto allo spettacolo offerto in quest”ultima settimana da quelle parti politiche che erano nate (o almeno dicevano di essere nate) per rappresentare, in Italia, la parte più bassa e numerosa della piramide sociale: i ceti poveri, quelli impoveriti, quelli fragili, quelli sommersi dalla velocità e dalla voracità del capitalismo più recente.
Attonito straniamento non solo rispetto al Pd – e alle sue improbabili, impresentabili, inguardabili cordate di potere – ma più in generale rispetto a tutto o quasi il teatrino che ci sta attorno, comprese le sinistre più o meno “radicali” che si accoltellano intorno alla questione se si può essere più o meno alleati di un altro partito in cui nel frattempo ci si accoltella attorno ad antiche oligarchie spodestate e a ex spodestatori già rampanti ma precocemente invecchiati nel somigliare alle stesse oligarchie che avevano spodestato.
E in tutto questo, niente di reale: niente che somigli a questioni vere, alla società fatta a coriandoli, al ”tutti contro tutti” diventato cifra del nostro vivere quotidiano, alle persone che a milioni hanno perso identità e prospettive, ideali e tranquillità . Che hanno perso allo stesso tempo l”oggi, il domani e il dopodomani.
E sono rimaste sole.
Sono rimaste sole perché c”è un dentro – i partiti, le loro surreali lotte intestine, i loro esponenti che si insultano sui media – e c”è un fuori, dove si parla d”altro e si teme altro, e si guarda a quei partiti come se fossero tutti alieni, pazzi, o tutt”al più appunto teatranti, intrattenitori. Che litigando ci fanno distrarre dalla nostra vita vera, dai nostri problemi veri, dal nulla in cui siamo stati cacciati.
Dentro, ci sono i pochi tifosi di questo o di quello: con la giugulare gonfia e l”insulto rapido, con le proprie ragioni di setta e i propri amori tribali, con il proprio capo di riferimento che rappresenta da solo il bene e il giusto.
Fuori, ci sono tutti gli altri: spaesati, stanchi, disillusi, distaccati, indifferenti, malfidenti, distratti. Alcuni – pochi – incazzati, come me: e timorosi che appena l”orchestrina finisce il concerto, lì sul Titanic, ci sarà da ammazzarsi per salire sulle scialuppe.
Ma molti di più sono semplicemente i lontani, i lontanissimi da chi è rimasto dentro a parlarsi addosso.
Poi finirà , in qualche modo.
E “passerà questa pioggia sottile, come passa il dolore”.
Resta ancora da capire, però, cosa resterà dopo.
Se le macerie renderanno fertile il terreno o se al contrario nulla vi crescerà più per anni.
Se avrà di nuovo senso la politica come strumento per immettere buone cause nel reale e provare a creare valore nel mondo o se al contrario la politica ci sarà stata derubata irreversibilmente.
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