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di Giorgio Cremaschi.
I probabili cento morti bruciati vivi nella Grenfell Tower di Londra non stanno suscitando lo scandalo che meriterebbe un strage criminale di tali proporzioni. Forse perché si pensa che la Gran Bretagna sia uno dei paesi più avanzati del mondo e non si riesce a concepire lì un massacro che fa venire in mente quello di Dacca, in Bangladesh, dove centinaia di operai furono travolti dal crollo di un palazzo privo di qualsiasi sicurezza, ove lavoravano per multinazionali come Benetton.
Immaginate se una simile tragedia fosse avvenuta a Roma o Napoli, immaginate cosa avrebbe detto e scritto il palazzo sui guasti storici, sulle arretratezze, sul ritardo dell’Italia. Invece su Londra tutto tace, a parte il doveroso ricordo delle vittime.
Bene lo diciamo noi: la strage della torre è il segno che la Gran Bretagna è un paese sprofondato nella ferocia sociale e civile, un paese dove le enormi ricchezze coprono ancora più grandi ingiustizie e miserie, alimentate da un potere di classe tra i più duri e ottusi al mondo.
Il grattacelo bruciato sorgeva nel quartiere di Kensigton-Chelsea, uno dei più ricchi e famosi della capitale britannica. In quel quartiere era stato costruita negli anni 70 la Grenfell Tower come edificio popolare di proprietà pubblica. E tale era rimasta, mentre nel quartiere dilagava la gentrificazione, termine che non casualmente viene dalla lingua inglese e che definisce la trasformazione dei quartieri in posti solo per ricchi e grandi affari. Il brutale governo di classe della signora Thatcher e quello ridente, ma altrettanto feroce, di Tony Blair sono stati i motori di tale processo. E alla fine la torre è diventata una isola di povertà e immigrazione in uno dei quartieri più esclusivi.
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