di Pancho Pardi
Ha voluto andarsene offrendo alla stampa la caricatura di se stesso. Per ammettere l’indiscutibile sconfitta e per annunciare le sue dimissioni non ha voluto rinunciare a un discorso, trito come un disco rotto, tutto all’attacco per rivendicare lo strepitoso lavoro svolto nella legislatura, la superiore saggezza della riforma costituzionale e della connessa legge elettorale.
Il suo insuccesso continua ad apparirgli impossibile e immotivato. È il prodotto di quel “destino cinico e baro” tanti anni fa maledetto da un antico leader sconfitto.
Evoca la necessità di una profonda riflessione critica di cui si dimostra irrimediabilmente incapace. Vorrebbe tornare indietro nel tempo per poter imporre le elezioni politiche nel momento in cui avrebbe potuto vincerle, vorrebbe rifare la campagna referendaria per poter convincere gli italiani a votare Sì. Vorrebbe fare il salmone: risalire indietro nel tempo come il pesce risale la corrente del fiume.
Coerente con la sua pulsione egotista e autocratica stabilisce, prima ancora che il partito si esprima, che il PD starà fermamente all’opposizione.
La percezione mesta della realtà sta tutta nell’esaltazione retorica del suo, naturalmente bellissimo, futuro lavoro: lui, che con le mani in tasca aveva annunciato al Senato che quella era l’ultima volta che un presidente del consiglio entrava per comunicazioni nell’aula, farà il senatore di Firenze e Scandicci.
Senza una parola di ringraziamento per i cittadini che il 4 dicembre 2016 gli hanno conservato il prezioso posto di lavoro.
(5 marzo 2018)
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