di Giulietto Chiesa
Una minaccia incombe: il debito pubblico. Ma quanti sanno come è fatto? Siamo davvero così spendaccioni? Una cifra, tanto per sbalordirci. Nel 2017, l’anno scorso, i derivati sono costati all’Italia 5,4 miliardi. Il mucchio dei 2300 miliardi di euro che “dovremmo restituire” a non si sa chi, s’ingrossa. E non è perché abbiamo speso troppo e male. Noi non c’entriamo. Potevamo starcene in un’isola in mezzo al mare, oppure nel deserto, senza bene neppure un bicchiere d’acqua. E sarebbe aumentato lo stesso.
Niente male: una manovrina. Ma, negli ultimi undici anni, i derivati ci hanno provocato una perdita di oltre 40 miliardi. Che è entrata a fare parte dello stesso mucchio che adesso la coatta Bonino, insieme al simpaticissimo Cottarelli (vuoi vedere che ce lo ritroviamo ministro nel primo governicchio tecnico che ci capiterà d’incontrare?), ci dicono che dobbiamo ripagare.
E fosse finita qui! Non lo è. Il salasso continuerà perché il valore dei contratti che il Tesoro ha firmato con le banche è “negativo” per altri 31 miliardi di euro di “potenziali perdite future”. Che si aggiungeranno al mucchio. Sembra un delirio e lo è. Infatti. Il Tesoro temeva una rialzo dei tassi e si è “assicurato” comprando derivati. Il rialzo non c’è stato, ma l’assicurazione la devi pagare comunque. Qualcuno ha commesso degli errori. Chi? Non saprei. Sembra che qualche straccio sia in volo, cioè sotto processo della Corte dei Conti, accusato per “danno erariale”. Ma quando finirà il processo non lo sa nessuno. Ci vorranno anni. E, alla fine saranno assolti perché l’uomo, come si sa, è fallibile.
Ma chi era il Ministro del Tesoro undici anni fa? E chi era il capo del Governo? E chi stava a dirigere la Banca d’Italia? Le tre scimmiette? No. Le risposte si trovano su Wikipedia, che è piena di imprecisioni, ma questi dati te li fornisce ancora. Quelli qui elencati sotto processo non finiranno di sicuro. Il fatto è che, nel frattempo, la Banca Centrale Europea ci aveva regalato una cifra più o meno simile, mediante il cosiddetto quantitative easing. Che è un modo per comprare titoli di stato decotti con denaro “fiat”, creato dal nulla.
Ecco: la BCE ci ha aiutato a diminuire un pochino il costo del debito pubblico, e chi si è preso questo “alleggerimento”? Le banche d’investimento internazionali, cioè il “Mercato”. Quello stesso Mercato al quale dovremmo restituire il debito pubblico. Quello stesso Mercato che determina i voti delle compagnie di rating (perché le possiede).
Insomma una “partita di giro”, che in vari modi trasforma ogni mossa in un debito. Tanto più che questi “contratti”, cioè le assicurazioni tramite derivati, sono scritti proprio dalle stesse Banche che compongono il Mercato. Ve lo immaginate un misero direttore di dipartimento del Ministero del Tesoro italiano che si siede al tavolo di fronte a un emissario della Goldman Sachs? Classico esempio di asimmetria. Prova a dire di no. Arriverebbero i fulmini dall’alto. Chi se la sente? Meglio, per esempio, accettare un invito per una crociera nel Mar dei Caraibi, di quelle di lusso.
È così che si fanno certi “errori”. Alla fine del 2015 l’ammontare di titoli sovrani su cui il Tesoro aveva sottoscritto derivati era pari a 153,8 miliardi di euro. Decisioni, come abbiamo visto, che si sono rivelate “sbagliate”. Ma forse non erano “sbagliate”. Molto probabilmente erano “concordate”, più o meno come avviene in una normale rapina, in cui il cassiere consegna il denaro guardando fisso, con una certa, comprensibile apprensione, la canna della pistola puntata sul suo naso.
Più o meno come concedere, con suprema innocenza, alla Banca che ti assicura, la clausola della “estinzione anticipata”. Ovvio che, avendola scritta essa stessa, la clausola, poi la Banca pretende che venga esaudita. Un piccolo esempio: tra la fine del 2001 e l’inizio del 2013 il Tesoro italiano ha pagato 3,1 miliardi di euro alla Morgan Stanley, applicando la clausola. La faccenda finì sui giornali. Appunto: finì. Ecco, per concludere, gran parte del nostro “debito pubblico”, è fatto di queste cosette.
E, a questo punto, dare un’occhiata a quello che dicono e fanno i “vincitori” delle ultime elezioni politiche è essenziale, per capire cosa faranno (o non faranno). Di Maio che dice? Si è già quasi dimenticato il reddito di cittadinanza. E, quando Fico diventa presidente della Camera dei deputati, cosa dice? “Mi impegnerò a ridurre la spesa della politica. Quanto vale? 350 milioni, massimo 500 milioni l’anno. E non pronuncia una parola, né lui, né Di Maio, sul debito pubblico e su come s’ingrandisce, e perché. Cioè guardano la pagliuzza e non vedono la trave. O forse non la vogliono vedere.
Ma non sono gli unici ad avere difetti della vista politica. Prendiamo l’altro, Matteo Salvini, anche lui “vincitore”, che è andato al voto del 4 marzo con la proposta della flat tax. Tutti uguali di fronte al fisco. Lasciamo stare la percentuale, che è fluttuante a seconda del talk-show televisivo in cui è stata pronunciata. Quali effetti avrà? Non occorre guardare nella sfera di cristallo. Basta leggere il Financial Times riferito agli Stati Uniti. Che, analizzando gli effetti della flat tax, introdotta da Donald Trump, riferisce che in soli tre mesi 30 miliardi di dollari sono andati alle tre o quattro banche d’investimento principali. Un diluvio benedetto per i super-ricchi, una ulteriore spoliazione per i poveri.
Si può immaginare che la flat-tax italiana produrrà qualche cosa di diverso? È proprio vero che il Sistema è ormai riuscito nel suo intento: quello di far votare le masse contro i propri interessi. Naturalmente la spiegazione c’è: basta che non sappiano chi sono coloro per i quali votano.