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Il governo playlist

Tempi interessanti, appunto, in cui cose diverse si mescolano come l'albume e il tuorlo di un uovo sbattuto. [Alessandro Gilioli]

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22 Maggio 2018 - 15.12


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di Alessandro Gilioli

 

«Che tu possa vivere tempi interessanti!» è un’antica maledizione cinese – o almeno così si dice – già usata da Slavoj Zizek come titolo di un suo vecchio libro. Tempi turbolenti, caotici, difficili da capire e quindi da gestire.

Sono così i tempi che viviamo: ed è assai interessante – ma anche divertente – la complessità e la contraddittorietà dei dati che provengono dal reale, e che stanno facendo impazzire le opposte tifoserie. Del resto queste hanno bisogno di semplicità, linearità e manicheismo – i buoni da una parte (la mia) e i cattivi dall’altra – mentre il presente ci propone difformità e mescolanze imprevedibili.

Pensiamo ad esempio a questo nascente governo.

Nel suo programma ci sono cose inguardabili, alcune vergognose.

La prima è la flat tax, un bel regalo ai ricchi, che toglie i soldi dalla cassa comune per darli ai pochi che già stanno bene, che dalla crisi e dalla precarizzazione non sono stati toccati o anzi ci hanno guadagnato. In attesa che si compia il presunto miracolo del dropping (già assai caro a Ronald Reagan) produrrà ancora più diseguaglianze di quante ne siano state prodotte finora. Sospetto che nemmeno quelli che la propongono credano agli effetti taumaturigici della “curva di Laffer”: semplicemente sanno che la fascia dei contribuenti che dichiarano più di 80-100 mila euro l’anno è composta quasi interamente da potenti manager pubblici e privati, alti ranghi delle forze armate e della magistratura, vertici dei media, liberi professionisti di maggior successo che meno di così non possono dichiarare. Circa 500 mila persone, in Italia: poche ma assai influenti, anzi spesso decisive nell’ostacolare o meno un governo. Con questa regalia, li si tiene buoni – a spese di tutti gli altri, s’intende. Per il resto: la flat tax è pura destra economica, di quella iperliberista che ha le sue origini in Milton Friedman, nei Chicago boys e nel reagan-thatcherismo. A me non piace, ma piacerà ai seguaci di quella scuola di pensiero (del resto, la proponeva anche Berlusconi).

Un altro aspetto infame del contratto di governo è il securitarismo militarista. Il principio secondo il quale “la difesa è sempre legittima” introduce di fatto la pena di morte per i topi d’appartamento – e senza nemmeno un processo. L’idea è che la sicurezza si ottiene armando tutti – e vinca chi spara per primo. A me non piace (anzi, lo trovo barbarico e bestiale) ma piacerà ai tanti cantori del grilletto facile.

Dentro la cornice del securitarismo c’è poi anche altro: mano libera ai poliziotti e uso altrettanto libero di taser e key defender (altro che numero identificativo sulla divisa per evitare abusi delle forze dell’ordine!). A me non piace, ma sono un antiautoritarista e considero la polizia un male necessario: piacerà molto, invece, a quelli che indossano le divise militari anche per andare allo stadio e sognano manganellate per chiunque abbia idee o interessi diversi dai suoi.

Anche sull’immigrazione è evidente che ha vinto la cultura della paura e del “fora di ball”, non quella della solidarietà e dei diritti umani. Certo, s’era già iniziato con Minniti, ma l’originale premia sempre più della copia e Minniti ha perso pure nel collegio di Pesaro Urbino. Personalmente mi identifico nello slogan del Baobab – “protect people, not borders” – ma l’ulteriore riduzione di accoglienza e integrazione piacerà invece molto a milioni di italiani: quelli che in questi anni sono stati convinti da Salvini e dalle trasmissioni Mediaset che il peggioramento delle loro condizioni economiche sia stato causato dai migranti, e non dalle politiche antisociali europee e italiane.

Poi in questo programma ci sono cose buone o ottime. Tanto quanto spaventose sono le precedenti. Ad esempio, l’ampliamento del reddito di inclusione (non è un reddito di cittadinanza, sia chiaro, ma è un passo in avanti) e la mitigazione della disumana legge Fornero (quota 100 era una vecchia proposta di mediazione, ai tempi della riforma Maroni, che all’epoca sembrava eccessivamente punitiva: oggi è il massimo a cui si può puntare). Qui siamo all’attenzione sociale, alla protezione di chi non riesce a entrare nel mondo del lavoro e di chi invece non riesce a uscirci.

Tempi interessanti, appunto, in cui cose diverse si mescolano come l’albume e il tuorlo di un uovo sbattuto.

Interessanti e complicati: perché questa maggioranza è priva non solo di “un’ideologia”, ma anche di una visione complessiva unitaria, di una matrice culturale con un minimo di sistematicità.

Il “contratto di governo” (contro il quale, come metodo, non ho nulla) è il risultato dell’incontro-compromesso tra una forza che ha certe radici (la destra securitaria, xenofoba e ancora un po’ fascista dentro) e un’altra che ne ha di tutte diverse (l’ambientalismo e l’acqua pubblica, l’economia circolare, la democrazia diretta e digitale, la lotta al precariato).

L’incontro tra queste due matrici ha creato un programma playlist, cioè con tanti brani musicali che non c’entrano nulla tra loro. Ma ce li fanno ascoltare tutti insieme – rock e melodica, classica e house, sinfonica e funky etc etc. A me ne piacciono alcuni, di questi brani, e mi fanno orrore altri. Per altri sarà il contrario. Succede quando metti insieme Stravinskij e Nino D’Angelo.

Forse siamo passati un po’ da un eccesso all’altro.

Intendo dire: dall’era in cui ogni decisione era presa non per pragmatismo ma per adesione ideologica, all’epoca in cui nessuna visione ha più alcuna rilevanza e si mescola tutto, vuoi per mediazione vuoi per ricerca del consenso.

Lo stesso discorso – a occhio – mi sembra valere per le persone chiamate a interpretare i brani in questione. Vedremo i nomi definitivi, ma per ora c’è dentro un po’ tutto e il suo contrario. Giuristi d’area dem-renziana e postfascisti xenofobi, pro euro e anti euro, decrescitisti e sviluppisti, ambientalisti e asfaltatori, animalisti e cacciatori, bocconiani e antimondialisti. E via così, a piacere.

Vedremo poi in questo calderone se qualcosa prevarrà – ed eventualmente cosa.

Intanto le tifoserie impazziscono, si diceva, e proprio per questo strillano di più.

Quella grillina, per l’incredibile retromarcia rispetto ad alcune parole d’ordine fondamentali del Movimento: non faremo alleanze con nessuno, basta trattative che non siano trasparenti e in streaming, basta con premier non eletti dal popolo. Viene quasi da ridere, a vedere quanto abbiano tradito questi principi.

Quella del Pd, che si ritrova ad avversare il reddito minimo e la riforma della legge Fornero accanto alla Troika, al Financial times e ai più occhiuti custodi dell’austerity a Bruxelles. Che fine triste.

Quella della destra, che nei suoi giornali urla al “governo rosso” e al “neostatalismo” (oggi, ad esempio, è gran caccia per dimostrare quanto sia di sinistra Conte). E qui siamo al grottesco.

Tempi interessanti, davvero. Complicati e contraddittori.

Tempi in cui ogni giorno dobbiamo evitare – se possibile – sia di berci come verità rivelate le dirette Facebook dei nuovi potenti sia di rimpiangere quelli che, con i loro disastri, a questi nuovi potenti ci hanno messi in mano.

Ce la faremo?

 

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