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Se, in prospettiva, il 40 per cento dell'umanità sarà africana

Pino Cabras: «L'Occidente dovrebbe scrivere una pagina autocritica priva di indulgenze verso se stesso per poter esercitare un ruolo positivo nella situazione libica.»

Se, in prospettiva, il 40 per cento dell'umanità sarà africana
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4 Agosto 2018 - 10.59


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di Pino Cabras*

 

Grazie, signor Presidente. È dovere di quest’Aula considerare il contesto – è stata usata questa parola in un precedente intervento – il contesto più ampio in cui si muove una misura come il decreto-legge che stiamo discutendo oggi sulla cessione a titolo gratuito al Governo libico di 12 unità navali. Nel valutare l’ambito politico, geografico, storico dell’odierna Libia siamo consapevoli che il decreto-legge in esame rappresenta certamente un passo piccolo dal punto di vista dell’impegno economico ma un balzo notevole dal punto di vista pratico in grado di favorire un cambiamento di fondo del contesto che è l’obiettivo da perseguire per gli interessi della nostra Repubblica e per la pace nel Mediterraneo.

Il nodo dei traffici schiavistici che trattano i flussi migratori africani è il grande punto dolente che richiede le misure più urgenti e la Libia è il crocevia in cui questi traffici convergono. Noi siamo direttamente coinvolti perché a quella porzione della sponda sud del Mediterraneo siamo legati da un millenario destino geopolitico comune. Gli effetti di ciò che accade in Libia si estendono su un profondo raggio che ricomprende in modo necessario e diretto lo spazio geografico italiano. È una crisi che passa per il grande mare in cui ci affacciamo e che attraversa un estesissimo retroterra e allora chiediamoci perché è necessario recuperare a un ordinamento in mano agli Stati il tratto di mare che dalle coste libiche va al Canale di Sicilia ma proprio a partire dalla fascia costiera.

Quel mare è oggi la tempesta perfetta per le mafie schiaviste che fanno convergere vettori geopolitici di grande influenza sul territorio italiano per poi dilatarsi in Europa. Le organizzazioni criminali hanno tratto enormi vantaggi da Governi deboli o fantasma, dalla corruzione sistemica, da frontiere facilmente penetrabili, dall’assenza di sistemi di sicurezza, dalla mancanza di coordinamento nella vasta regione interessata ai fini del contrasto della tratta di esseri umani e del contrabbando. Non c’è un solo Stato al mondo che rinunci a un controllo sistematico delle proprie frontiere e anche per la Libia, per l’Italia, per l’Europa nel suo insieme si pone lo stesso problema fondamentale. Anche nel momento di massima debolezza della statualità libica, come oggi, il grado zero della ricostruzione nazionale consiste nella ripresa di un principio di controllo dei traffici transfrontalieri e su questo può innestarsi il rispetto del diritto internazionale e su questo dovremmo essere sempre vigili.

Poiché questa necessità della Libia coincide con la profondità della proiezione strategica dell’Italia sancita da importanti Trattati che sono stati anche menzionati, la cessione di queste unità navali rappresenta un passo importante che inizia a porre rimedio a una fase ormai troppo lunga in cui l’Europa aveva trascurato il problema. Appena insediatosi, il Governo Conte ha affrontato un Consiglio europeo in cui per la prima volta dopo anni si riconosceva che la nostra Repubblica era stata lasciata sola nella gestione di un problema così vasto. Era il primo riconoscimento che la profondità strategica dell’Italia sul fronte sud coincide con il problema dell’Europa: non è solo una questione di migrazioni e, al di là del fatto che sia stato annacquato rispetto ai propositi iniziali, quel pronunciamento del Consiglio europeo è stato davvero un primo passo che va valorizzato nella coscienza nazionale su un problema così importante.

Possiamo dire con sufficiente cognizione storica che l’intervento manu militari del 2011 – lo ricordava la collega Emiliozzi – rappresenta l’autobiografia dei recenti errori neocoloniali dell’Occidente in Africa. In modo lampante abbiamo visto che distruggere un ordine statale in un’area dove convergono equilibri che hanno migliaia di chilometri di raggio demolisce non solo quel Paese ma danneggia l’economia, la società in regioni continentali più ampie, gli equilibri energetici, le stesse prospettive della pace.

L’Occidente dovrebbe scrivere una pagina autocritica priva di indulgenze verso se stesso per poter esercitare un ruolo positivo nella situazione libica e conosciamo tutti i nomi di tale potenziale autocritica. Questa pagina autocritica dovrebbe comprendere molti partiti presenti in quest’Aula: non lo dico con i toni di un richiesto autodafé o di autocritiche distruttive ma è un riconoscimento storico che costituisce una premessa importante per ragionare sulla Libia. Abbiamo oggi una situazione in cui nessun Governo è ancora in grado di avere sovranità in una parte del territorio, in cui molte potenze straniere intervengono complicando il mosaico, laddove l’Italia invece rappresenta l’esperienza storica per una funzione equilibratrice favorevole alle necessarie mediazioni che possono riunificare su basi nuove la Libia con pazienza storica.

In tanti si sono presi a cuore le sorti della Libia a modo loro, vediamo chi. La Francia vuole addirittura investire 100 milioni di euro per fare le elezioni entro l’anno: in tanti temono possa essere una forzatura rispetto alle reali condizioni politiche di un Paese ancora diviso, con milizie da coinvolgere nel processo di nation building. Tentare di rimuovere con forzature militari gli attori che la comunità internazionale dovesse considerare illegittimi potrebbe causare il formarsi di ulteriori gruppi armati. Non ci possono essere soluzioni efficaci dettate da ciechi egoismi nazionali. Vediamo altre prese di posizione internazionale che in qualche modo interferiscono e agiscono sulla Libia. Pochi giorni fa, durante il vertice sulla cooperazione sino-araba, Tripoli ha siglato la sua partecipazione all’iniziativa cinese della belt and road, la nuova via della seta annunciata dal Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping nel 2013, con investimenti potenzialmente enormi. Per parte loro Egitto e Russia hanno un’influenza diretta su una porzione del territorio libico da cui è esclusa l’autorità di Tripoli e nel frattempo si può attivare il protocollo di sicurezza firmato il 4 aprile da Libia, Ciad, Niger e Sudan volto a innalzare la difesa delle aree di confine. Non dimentichiamo che la cooperazione di sicurezza tra questi quattro Stati risale al 1998, anno in cui fu stabilita la Community of Sahel-Saharan States, una comunità regionale economica che detiene addirittura lo status di osservatore all’interno dell’Assemblea generale dell’ONU. Con la crisi post 2011, l’alleanza è stata ovviamente inefficace ma si possono determinare le condizioni per riattivarla e contribuire a un più vasto equilibrio regionale con territori di frontiera che non siano porte blindate ma regioni prospere ed economicamente sostenibili: in questo ambito è il ruolo dell’Europa e dei possibili investimenti. Il recente incontro fra il Presidente statunitense e il nostro Presidente del Consiglio ha inevitabilmente colto l’importanza della questione libica e persino nel recente vertice NATO si è riconosciuto il ruolo dell’Italia verso la sponda sud del Mediterraneo.

Cosa ci dice questo elenco di fatti internazionali? Ci dice che il dossier Libia richiede una capacità di parlare con molti Paesi e con una visione globale e multipolare pacifica e rispettosa dei diritti umani, da costruire ricostruendo, innanzitutto, le basi degli ordinamenti statali. L’influenza non è gratis, ha detto prima Crosetto: questo vale anche per l’Europa, che non ha speso molto per l’Africa negli ultimi tempi. Come Parlamento, dovremmo costruire una visione strategica, per un ruolo attivo della Repubblica italiana nel Mediterraneo. Questo sarà l’ambito dell’impegno del MoVimento 5 Stelle, e anche mio personale, l’orientamento al Mediterraneo. Ogni lungo viaggio comincia con un singolo passo, e il passo che facciamo con la misura che dibattiamo oggi può aiutarci a incamminarci bene. Raccoglierei anche la sfida dell’onorevole Fassino sulle risorse di bilancio da dedicare alla centralità della questione africana, con una premessa: prima le risorse europee, è l’Europa che deve fare veramente lo sforzo, che finora non ha fatto, su questo tema. Però, possiamo dedicare risorse italiane per incoraggiare, ad esempio, i media italiani a dare una migliore copertura informativa sull’Africa.

Se, in prospettiva, il 40 per cento dell’umanità sarà africana, sarebbe saggio dedicare più dell’attuale zero per cento dell’attenzione dei media alla questione africana; ne guadagneremmo tutti in termini di consapevolezza e di coscienza, e questa cosa dovrà diventare patrimonio del Parlamento.

 

 
* Trascrizione dell’intervento alla Camera dei Deputati (Seduta n. 38 del 3 agosto 2018), in merito a: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 luglio 2018, n. 84, recante disposizioni urgenti per la cessione di unità navali italiane a supporto della Guardia costiera del Ministero della difesa e degli organi per la sicurezza costiera del Ministero dell’interno libici (Approvato dal Senato).
 
 
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