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11 Settembre: l'uomo di Washington accusa Israele

'Non solo sauditi. In seno all''establishment USA diverse tesi sulle entità statali che hanno sostenuto i mega-attentati dell''11/9. Cosa si muove lassù? [Maurizio Blondet]'

11 Settembre: l'uomo di Washington accusa Israele
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29 Aprile 2016 - 22.59


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di Maurizio Blondet.

segue NOTA di Megachip in calce all”articolo.


Accusa   i neocon con nomi e  cognomi:  Paul Wolfowitz allora  viceministro al Pentagono, l’israelo-americano Michael Chertoff, il rabbino Dov Zakheim (numero 3 al Pentagono) di essersi infiltrati nel governo Bsh jr. e di aver organizzato, su istigazione di Israele,  il mega attentato dell’11 Settembre 2001.

E non è un complottista marginale: è stato  un alto funzionario del Dipartimento di Stato da Nixon a Carter a Bush-padre, esperto in guerra psicologica,  attore in operazioni coperte (come l’uccisione di Moro) per conto degli Stati Uniti. Membro fino al 2012 del Council on Foreign Relations, quindi dell’élite dell’Establisment.  Né lo si può accusare di avere come motivazione l’antisemitismo: i suoi genitori erano ebrei russo-polacchi fuggiti alla Shoah, lui ha scritto persino una biografia di sua “mamma yiddish”, Teodora.  E’ Steve Pieczenik.

Una vecchia conoscenza  anche per l’Italia, come vedremo.

Steve Pieczenik ha detto tutto il 21 aprile 2016, intervistato da Alex Jones, creatore del sito InfoWars: il video-intervista, di 47 minuti, è stato diffuso, probabilmente non a caso,  nel pieno  della campagna  americana  per incolpare la monarchia saudita del mega-attentato dell’11 Settembre, con la minaccia di pubblicare le 28 pagine del  rapporto della Commissione Senatoriale  sul 9/11, segretate da Bush jr. proprio perché mostrerebbero il coinvolgimento dei sauditi ai più alti livelli.


Steve Pieczenik corregge: sì, c’è stata la cooperazione di “agenti sauditi”, ma il mandante principale è Israele,  insiste nell’intervista.  Egli si dichiara disposto a testimoniare sotto giuramento davanti a un tribunale federale e rivelare lì le sue fonti, fra cui (dice) “un generale”.

Preferisce vecchie foto...
Preferisce  sue vecchie foto…

L’importanza del testimone non può essere sottovalutata. Il dottor Pieczenik  (è psichiatra)  fu in Italia nel marzo del 1978  e per tutti i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro da parte delle BR; speditovi dall’allora segretario di Stato Cyrus Vance,   si inserì nel Comitato di Crisi allestito da Cossiga allora  ministro dell’Interno (a fianco del criminologo Franco Ferracuti, l’esperto in difesa e sicurezza Stefano Silvestri, una grafologa e il magistrato Renato Squillante); ufficialmente per dare la sua esperta assistenza al salvataggio del politico italiano e negoziare con le Brigate Rosse. In realtà, come a rivelato in un libro nel 2008,  per assicurarsi che Moro non ne uscisse vivo: gli Usa avevano deciso che Moro doveva essere “sacrificato” per garantire “la stabilità dell’Italia” (nella Nato).



“Sacrificammo Aldo Moro”

Intervistato da France 5, e  poi da Gianni Minoli a Mixer 24 nel novembre 2013, Steve  Pieczenik ,  ha confermato tutto: per esempio raccontando che silurò l’iniziativa di Paolo VI di raccogliere una grossa somma ( pare di dieci miliardi di lire), per pagare un riscatto. “Stavamo chiudendo tutti i possibili canali attraverso cui Moro avrebbe potuto essere rilasciato. Non era per Aldo Moro in quanto uomo: la posta in gioco erano le Brigate rosse e il processo di destabilizzazione dell’Italia”. Chiese Minoli: ‘Sostanzialmente, lei fin dal primo giorno ha pensato e ha detto a Cossiga: Moro deve morire’. “Evidente – rispose il consulente â€“ Cossiga se ne rese conto solo nelle ultime settimane. Aldo Moro era il fulcro da sacrificare attorno al quale ruotava la salvezza dell’Italia”. Sic.

Per questo la Procura di Roma, nel 2014, ha accusato l’americano di concorso in omicidio. E Gero Grassi, vicepresidente dei deputati PD che voleva una nuova commissione d’indagine sul caso, disse:  “Steve Pieczenikstava al ministero dell’Interno per manipolare le Brigate rosse e arrivare all’omicidio di Aldo Moro“.

Non è stata la sua unica impresa.  Nel Dipartimento di Stato ai tempi di Reagan,   il dottore è stato incaricato di architettare il “cambio di regime” a Panama, ossia il rovesciamento di Noriega (che lo accusò apertamenTe di essere “un assassino” che aveva ucciso vari suoi collaboratori). Ufficialmente capo-negoziatore in una quantità di prese di ostaggi e dirottamenti (ad opera di FARC colombiane, Abu Nidal, Idi Amin, OLP) ha contribuito a creare la Delta Force  il gruppo di teste di cuoio di intervento rapido in situazioni di crisi. Ha dato le dimissioni quando fallì il tentativo di liberare gli ostaggi americani nell’ambasciata di Teheran; decisione del presidente Carter , ma probabilmente scacco suo, del dottor Pieczenik.  S’è rifatto però  una carriera di successo ideando trame di thriller per Tom Clancy.



“Il vero Bin Laden è morto dal 2001”

Nel 2011 è tornato sotto i riflettori per denunciare che la “cattura di Bin Laden”  messa a segno ad Abbottabad in Pakistan e  passata come un grande successo del presidente Obama, era stata tutta una messinscena (ne abbiamo avuto tutti il sospetto):  il vero Bin Laden, secondo lui, è morto fin dal 2001, di sindrome di Marfan.

Non può esser casuale il fatto che adesso, a 72 anni e a 15 dal mega-attentato, il vecchio agente del Dipartimento di Stato con le mani in pasta in tante storie oscure di destabilizzazione e sovversione, esca ad accusare Israele mentre tutta la grancassa politico-mediatica sta additando gli spregevoli sauditi. Una campagna a cui partecipa stranamente anche Seymour Hersh, il grande giornalista investigativo con “gole profonde” nel settore militare,   che ha condotto inchieste scomode per lo “stato profondo” americano.. Pochi giorni fa, intervistato da Alternet,  Hersh ha raccontato: nel 2011  “i sauditi hanno pagato i pakistani perché non ci dicessero [che Bin Laden si trovava ad Abbottabad, sotto la loro protezione] perché non volevano che noi (americani) interrogassimo Bin Laden perché  ci avrebbe parlato – è la mia ipotesi – del loro coinvolgimento [nell’11 Settembre]”. Ma  quale Bin Laden nascondevano i pakistani  nel 2011, se Pieczenik dice (confermando versioni solide  del tempo)  che è morto nel 2001, pochi mesi dopo l’attentato alle Towers e al Pentagono?

Può esserci una lotta di informazione e contro-informazione all’interno stesso dello “Stato profondo” americano? Ceto è che i media  americani sono scatenati in esibizioni di spregio  verso i monarchi wahabiti: “Royal Scum”,  feccia regale, titolava il New York Daily News qualche giorno fa.  Tanto insolito “coraggio” deve essere autorizzato.

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Naturalmente la “rivelazione” delle 28 pagine colpisce anche il presidente Bush jr.,  e la sua amministrazione, perché è evidente che se hanno coperto la parte avuta dai sauditi, sono  colpevoli.  Lo scandalo anti-saudita  va accuratamente controllato, perché è facile che debordi e i suoi liquami schizzino a colpire proprio gli israeliani o con doppio passaporto che erano al Pentagono ai tempi di Bush jr., e additati dall’agente Pieczenik: Paul Wolfowitz,  rabbi Dov Zakhiem (e il terzo , ebreo anche lui, era Douglas Feith) più Michael Chertoff,  capo dell’Homeland Security  e grande insabbiatore-depistatore delle  indagini.

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L’11 Settembre sorprese in USA anche la famiglia Bin Laden. Bush jr. la fece volar via.

Questo scontro interno è senza dubbio in relazione con l’ascesa del candidato imprevedibile, Donald Trump, nella lizza presidenziale.  Dopo il suo discorso sul suo programma in politica estera – liquidato con rabbia dal New York Times,  perché propone fra l’altro un accordo con Putin e la fine dell’interventismo   â€“  “gli americano sentono di avere, per la prima volta dopo molto tempo,  una alternativa sobria e basata sull’interesse nazionale alle disastrose politiche dei neocon”, ha detto Jim Jatras, l’ex consigliere repubblicano del Senato.

Con grande dispetto dell’Establishment, Trump non raccoglie  voti solo tra i rozzi arretrati operai  bianchi  di basso reddito che odiano  gli immigrati messicani  e lo sentono volgare come loro.  Negli exit polls delle primarie in  Pennsylvania, Maryland, Delaware, Connecticut   e  Rhode Island – dove ha trionfato  –  s’è visto che hanno scelto lui la metà degli elettori repubblicani con alto titolo di studio e con reddito di 100 mila dollari annui:  il suo discorso di politica estera ha convinto proprio la classe media benestante.  Questo per l’elettorato repubblicano. Quanto a quello democratico: “Continuo a incontrare gente che non sa decidere se votare Bernie Sander oppure Donald Trump”, ha confessato al Baltimore Sun Robert Reich, ex ministro del lavoro sotto Bill Clinton e uomo molto di sinistra (nella misura statunitense).  L’elettorato di “sinistra”, quello che ha favorito Sanders il “socialista”, sta pensando di votare Trump, non Hillary.  Forse è proprio  la grande liberazione  da Israel….

NOTA

Paul Wolfowitz, vice-segretario alla Difesa dal gennaio 2001al giugno 2005, è  stato l‘allievo di Leo Strauss, il filosofo dei neocon,  un  interessante mix di Nietzsche e di Talmud; ha elaborato la “dottrina Wolfowitz”, che promoveva il riarmo totale della unica superpotenza rimasta ee  preconizzava le guerre sferrate dopo l’11 Settembre fino ad oggi.  Dov Zakheim,  oltre che rabbino, è stato amministratore delegato della ditta di armamenti System Planning Corporation, che fornisce radar militari, e droni da usare come bersaglio durante le esercitazioni dei caccia.  Se gli aerei che si avventarono sulle Twin Tower erano teleguidati, come si è ipotizzato,  erano usciti dalla sua fabbrica.  Michael Chertoff, drigeva la divisione penale del Dipartimento della Giustizia Usa al momento dell’attentato dell’11 Settembre. Fu quindi lui a condurre, pilotare e “controllare” le indagini. 

Fonte: http://www.maurizioblondet.it/11-settembre-luomo-washington-accusa-israele/.

NOTA DI MEGACHIP

RIPROPONIAMO UNA NOTA DI PINO CABRAS SU PIECZENIK, GIA” PUBBLICATA PER UN ALTRO ARTICOLO IL 5 GIUGNO 2014.

Nota di Pino Cabras per Megachip.

Steve R. Pieczenik Ã¨ una vecchia conoscenza, l”autentico regista del caso Moro, un habitué dei media “controinformativi” di Alex Jones, eppure uno che frequenta i piani alti del potere globale, come vedremo. Ne parliamo, Giulietto Chiesa e io, nel libro Barack Obush. È un personaggio la cui biografia riempirebbe una biblioteca: Â«Ãˆ al tempo stesso tanto l”ispiratore quanto il ghost-writer di molti romanzi spionistici di Tom Clancy, e autore egli stesso. […], uomo dalla carriera mirabolante, che ha frequentato contemporaneamente Harvard e il Massachusetts Institute of Technolgy (cumulando le disparate qualifiche di medico psichiatra e di esperto di relazioni internazionali), che viene considerato uno dei massimi esperti al mondo di psy-ops (le operazioni di guerra psicologica), che fa parte del rockefelleriano Council on Foreign Relations, il think tank dell”élite globale.
D”accordo, un originale. Se non fosse che è stato anche vice sottosegretario con ministri del calibro di Henry Kissinger, Cyrus Vance, James Baker negli anni più delicati della Guerra Fredda, quando – ancora giovanissimo – ricopriva in giro per il mondo incarichi in stile “sono il signor Wolf, risolvo problemi”, quisquilie tipo orientare la trattativa durante il sequestro di Aldo Moro (era lui il super-consulente americano che si vedeva costantemente al fianco di Francesco Cossiga, ministro degl”Interni, nei fatidici 55 giorni).»
In cosa consisteva questo orientamento della trattativa?

Pieczenik dichiarò ad Emmanuel Amara, un giornalista investigativo francese, nel libro-intervista Abbiamo ucciso Aldo Moro

«Francesco Cossiga ha approvato la quasi totalità delle mie scelte. Moro era disperato e doveva senza dubbio fare ai suoi carcerieri rivelazioni importanti su uomini politici come Andreotti. È stato allora che Cossiga e io ci siamo detti che era arrivato il momento di mettere le BR con le spalle al muro. Abbandonare Moro e lasciare che morisse con le sue rivelazioni.Sono stato io a preparare la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro, allo scopo di stabilizzare la situazione italiana». 

Una piena rivendicazione della logica che ha ispirato la strategia della tensione. 

In realtà, come ha dichiarato Ferdinando Imposimato, il magistrato che istruì le inchieste sul caso moro nonché autore con Sandro Provvisionato del libroDoveva morire, Chiarelettere 2008) Â«non c”è stata alcuna fermezza, c”è stata una vergognosa messa in scena: il falso comunicato numero 7 che concorse ad accelerare la uccisione di Moro da parte delle BR. Il piano fu attuato da uomini della P2 al vertice dei servizi militari, attraverso mafiosi della Magliana. Lo disse Pieczenik e lo ripetè Danilo Abbruciati al giornalista Luigi Cavallo: “per Moro abbiamo fatto tutto e subito”». 

L”articolo odierno su Pieczenik fa un riferimento a una rogatoria italiana rivolta alle autorità statunitensi. Se rievochiamo la cronaca del settembre 2013 dovremmo dedurre che si tratti dell”indagine del pm Luca Palamara, titolare del più recente procedimento aperto sul sequestro e l”omicidio dello statista democristiano. 

Eppure, data l”abilità e l”opacità con cui Pieczenik abitualmente imprime gli effetti del suo “spin” mediatico, è d”obbligo chiedersi cosa veramente voglia muovere, e se ci siano in ballo ricatti legati alla gestione di trattative controverse più recenti, come pure lascia presagire l”autore dell”articolo.

La carriera di Pieczenik non si era certo fermata al caso Moro. Lavorò «con Saddam Hussein, quand”era nostro alleato, e contro Saddam, quando non lo era più»; guidò la squadra dei negoziatori durante gl”incontri israelo-egiziani di Camp David; partecipò alla trattativa durante la crisi degli ostaggi USA in Iran nel 1979; fu mandato dal governo americano a comunicare a Manuel Noriega che doveva andarsene da Panama, e tante altre cose ancora. 

In Barack Obush ci divertiamo a snocciolare i picchi più bizzarri della sua fiammeggiante carriera: «E se molti dei lettori possono vantare alcune altre caratteristiche in comune con Pieczenik – come, ad esempio, essere maestri di pianoforte, essere nati all”Avana da madre ebrea russa e padre polacco, crescere a Tolosa e New York, aver scritto un musical all”età di otto anni – e mentre altri lettori ancora saranno autori di corposi e citati saggi sulla “Disfunzione mitocondriale e le vie molecolari per le malattie”, scritti fra un romanzo best-seller e un altro, oppure saranno insigniti per due volte dell”Harry C. Solomon Award della facoltà di medicina di Harvard e ispireranno un ruolo dell”attore Harrison Ford – si può essere quasi certi che nessuno dei lettori potrà vantarsi, senza apparire un fanfarone, di aver conosciuto personalmente Osama Bin Laden e aver lavorato con lui, naturalmente “quand”era nostro alleato”. 

Steve R. Pieczenik può dirlo: ha incontrato molte volte Osama, ha collaborato con lui in Afghanistan, conosce il milieu del personaggio, sa come è stato usato, da chi e perché, e in questi anni ha continuato a frequentare gli ambienti dell”amministrazione statunitense che curavano il dossier bin Laden. Pieczenik è insomma una voce molto interna, legata all”ala più realista dell”establishment nordamericano. Soprattutto conosce – e non ne fa mistero – le strategie che hanno maneggiato il terrorismo.»

Tutto limpido, come no?

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