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di Massimo Mazzucco.
Il partito democratico americano è stato travolto da un nuovo scandalo delle e-mail. Questa volta ad essere responsabile non è Hillary Clinton in persona, ma l”intera segreteria del partito democratico, guidata da Debbie Wasserman-Shultz.
Quello che emerge da oltre 20.000 e-mail, che sono state ripubblicate da Wikileaks, è che l”intera classe dirigente del partito democratico si è coalizzata per evitare che Bernie Sanders vincesse le primarie al posto di Hillary Clinton. In altre parole, hanno truccato le primarie.
Lo scandalo è stato tale che Debbie Wasserman-Shultz questa mattina ha dovuto dare le dimissioni, a poche ore dall”apertura della convention democratica a Filadelfia. (E un po” come se Matteo Renzi dovesse dare le dimissioni da segretario la mattina stessa in cui apre il congresso del PD).
Ma fin qui, sarebbero solo storie di ordinaria politica. Il vero divertimento inizia quando guardiamo a qual è stata la reazione del partito democratico, di fronte allo scandalo improvviso. Colti con le mani nel sacco, invece di riconoscere le scorrettezze e fare ammenda di fronte ai propri elettori, i dirigenti del partito democratico hanno scelto la soluzione più stupida e più prevedibile insieme: hanno dato la colpa a Putin.
La notizia delle e-mail pubblicate da Wikileaks era ancora fresca di stampa, che già nei corridoi del partito democratico iniziava a circolare la “teoria del complotto” che fa capo al leader del Cremlino, e che in questo momento compare in prima pagina su tutte le più importanti testate americane: sarebbero stati degli hacker russi a penetrare nei server del partito democratico, facendo esplodere lo scandalo in concomitanza con la convention democratica, per favorire Donald Trump.
La tesi che sottende a questa teoria, infatti, è che Putin sarebbe favorevole ad una vittoria di Donald Trump, “perché quest”ultimo ha detto di recente che non interverrebbe necessariamente a sostegno dei paesi Nato, in caso di un attacco da parte dei russi”.
Farebbe quindi comodo a Putin un presidente come Trump – sostiene la teoria del complotto – perché questo gli permetterebbe di imperversare in lungo e in largo, riconquistando vaste porzioni di potere sui territori europei.
Naturalmente, non esiste lo straccio di una prova a favore di questa teoria, e lo stesso New York Times ha dovuto riconoscere che “dimostrare la fonte di un attacco cibernetico è notoriamente molto difficile”.
Nel frattempo però la teoria del complotto viaggia indisturbata sui media americani, e nell”arco di poche ore i democratici sono riusciti a spostare l”attenzione da quello che era l”imbarazzante contenuto delle e-mail ad un potenziale conflitto con l”eterno nemico di sempre: l”orso sovietico.
Come vedete, quando le teorie del complotto fanno comodo al potere, si fanno strada ancora più velocemente delle verità incontestabili.
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