ATF
di Massimo Spiga.
PRIMA PARTE
Se seguite alcuni samizdat incentrati su esotiche forme di intrattenimento elettronico, vi sarà capitato di scovare, sepolta tra le pagine, la notizia dell’uscita di Pokémon GO. Si vocifera che il videogame abbia riscosso un certo successo. Tuttavia, agli occhi di molti gamer, Pokémon GO non presenta grandi innovazioni o caratteristiche ammalianti: si tratta dell’ennesima iterazione – per di più spogliata di ogni complessità – dell’RPG strategico a turni uscito nel 1996, con l’aggiunta di alcuni elementi di realtà aumentata, già visti altrove. Il gameplay è ripetitivo, la grafica è dozzinale, i bug abbondano, i server crashano in continuazione e la sceneggiatura potrebbe essere stata scritta su un fazzoletto di carta in pizzeria.
Eppure, come spesso accade, Pokémon GO è divenuto un elemento scottante di discorso pubblico, ispiratore di risme d’articoli, non per il suo contenuto, ma per la sua stessa celebrità . Si parla, quindi, del quotidiano argomento popolare, rendendolo ancora più popolare, soltanto perché è popolare: pare che l’esatto oggetto dell’attenzione pubblica sia, di volta in volta, largamente ininfluente. Questo aspetto peculiare, questo loop di feedback (paradossale quanto tipico della società dello spettacolo) è difficile da comprendere in uno spazio mentale contemporaneo. Terence McKenna ebbe a dire come una delle chiavi d’interpretazioni privilegiate di questo secolo sia una segreta nostalgia del neolitico; per cui, mettiamo da parte i nostri touchscreen luccicanti e dedichiamoci alla vera old school.
Nei cinquant’anni che culminarono nel 1920, gli antropologi occidentali tributarono una grande attenzione allo studio delle culture cosiddette primitive. Un particolare concetto religioso emerso da queste ricerche – nonché parte essenziale della visione del mondo dei popoli polinesiani e melanesiani –, è quello del mana.
Il mana è, nel contempo, una astratta e impersonale energia soprannaturale, un archivio memetico e un network di forza non fisica che pervade l’universo. È un concetto analogo ad altre “energie†fondamentali, come il chi cinese o il prana hindu. Il suo nome, a seconda delle aree geografiche, può significare “tuono, vento, tempesta†oppure “forza specialeâ€. Ogni individuo o oggetto può contenere quantità più o meno alte di mana e, con esse, aumenterà il suo potere magico e il suo carisma. Il mana è distinto dal ricettacolo che lo ospita: può essere trasferito tra entità animate e inanimate. Inoltre, può essere percepito a livello cognitivo-emotivo, come senso di stupore, meraviglia, timore reverenziale, rispetto, venerazione o spirito di servizio.
Notiamo subito un elemento curioso: il mana, in quanto rappresentazione astratta del potere, conferisce fascino, autorevolezza e prestigio ai suoi detentori. Di un grande leader politico, si potrebbe dire: «Egli ha molto mana». Questa essenza immateriale è il tessuto che mantiene insieme la gravità morale della società e garantisce il rispetto della legge, dell’autorità , dell’ordine; eppure, è in flusso costante, in perpetua mutazione e spostamento. Lo potremmo definire, in questo senso, una qualità metastabile. In un senso ampio, si potrebbe dire che il mana è il tramite della magia e, nel contempo, il misuratore dellagravitas culturale di una certa cosa, sia essa un oggetto, un’istituzione o una persona. Ora, la domanda sorge spontanea: «In base a questa definizione, cos’è la magia?».
È interessante notare come, in concomitanza agli studi sul mana di grandi nomi quali Max Muller e James Frazer, i ricercatori delle scienze umane abbiano cominciato ad analizzare le forze collettive che animano i popoli, i fenomeni che finiranno sotto la lente della psicologia di massa. Se il mana orientale è stato ritualizzato e studiato con gli strumenti intellettuali a disposizione degli sciamani polinesiani, quello occidentale è stato inquadrato in una cornice teorica più in linea con la nostra tradizione culturale. Non è casuale che, proprio alla fine di questo ciclo di studi, al termine degli anni ’20, i tempi saranno maturi perché Edward Bernays scriva il testo fondamentale sul “controllo del mana†in Occidente: Propaganda, ovvero la nascita della moderna industria pubblicitaria.
Bernays, nipote americano di Freud, fu uno dei primi a capire che gli straordinari progressi della psicologia potevano essere indirizzati verso un obiettivo ben più accattivante della sanità mentale, ovvero l’accumulo di un’oscena quantità di denaro. Per comprendere appieno il legame tra il concetto di mana e quello della odierna comunicazione di massa, affidiamoci a un’osservazione di Ioan Couliano, grande studioso di esoterismo e di religione comparata: «Potremmo suggerire che i veri maghi e profeti siano scomparsi. Tuttavia, sarebbe più corretto affermare che si sono camuffati in vesti più sobrie e legali; oggigiorno, i maghi si preoccupano di gestire le pubbliche relazioni, la propaganda, le ricerche di mercato, i sondaggi sociologici e politici, l’informazione, la controinformazione, la disinformazione, la censura, lo spionaggio e anche la crittografia (disciplina che, nel sedicesimo secolo, era difatti una branca della magia)».
L’aggregazione di ogni forma di comunicazione di massa non è altro che il mana di una società , il tessuto connettivo che, per un verso, ci illustra la sua “identità †e, per l’altro, può essere manipolato per effettuarvi dei cambiamenti. È una forza metastabile senza volto e senza una direzione precisa. Per usare un’analogia, potremmo affermare che gli specialisti della comunicazione di massa sono come i controllori del traffico: possono indirizzarne il flusso generale, ma non hanno il controllo diretto di ogni singola macchina. Nonostante quanto sostengano gli uomini del marketing, il mana non può essere accumulato con forme scientifiche, ripetibili. E anche vero che questa genia di professionisti trae grande guadagno nel mantenere questa illusione innanzi agli occhi dei propri clienti, che sono le aziende e non il grande pubblico; possiamo derubricare questo genere di prestidigitazione intellettuale a trucchetti da venditori d’olio di serpente.
Davanti al tema della comunicazione di massa, gli intellettuali tendono a schierarsi in due diversi campi a seconda della loro polarità politica. C’è chi sostiene che i mass media siano un mero meccanismo atto ad offrire ai consumatori ciò che essi vogliono, ovvero siano un modo per canalizzare i loro desideri e realizzarne la volontà , mentre, nello schieramento opposto, troviamo chi sostiene come siano in primo luogo uno strumento di manipolazione, un “incantesimo†atto a creare nuovi bisogni superflui e realtà spurie, così da oliare la macchina del profitto. Abbiamo quindi una visione bottom-up, di norma liberista, e una top-down, tipicamente anticapitalista. Entrambe le posizioni, però, si fondano su una fallacia individualistica; implicano la presenza di persone-monade, dotate di pieno libero arbitrio e razionalità , secondo i pregiudizi ideologici liberisti ormai divenuti ambientali in quest’epoca. Anche la visione top-down, che ci vede vittime di un assalto mediatico permanente, costretti a resistere al lavaggio del cervello, risente nascostamente di questa idea di fondo, proprio perché immagina che il vertice della società sia dotato delle stesse caratteristiche attribuite dai liberisti al consumatore ideale (razionalità , indipendenza, etc). Nella sua versione estrema, l’approccio top-down sfocia nel cospirazionismo.
Il concetto di mana, al contrario, si basa su un diverso modello antropologico: contempla un network di agenti in uno stato di risonanza reciproca, la cui intensità è variabile: è la risonanza stessa a modificarli, a sviluppare il potenziale implicito in entrambe le parti del rapporto. Per cui, la loro evoluzione non è dettata dalla volontà del consumatore, o da quella del padrone/comunicatore, ma diviene un circuito di feedback che coinvolge entrambi, e attualizza una parte delle loro potenzialità , trasformandoli nel processo. Anche un rapporto sentimentale presenta queste caratteristiche, e altera le sue due metà in una mutazione dinamica.
Questa circostanza si palesa nelle campagne politiche di successo, in cui non ha senso chiedersi se sia il leader o la sua base elettorale a “dettare la lineaâ€, perché lo fanno entrambi, inseguendosi a vicenda, spesso attraverso una complessa rete di fraintendimenti, pregiudizi e falsità vicendevoli. Solo una società dello spettacolo adeguatamente sviluppata può permettere questo livello di feedback su scala nazionale o continentale: il mana dei secoli scorsi (pur “funzionando†allo stesso modo) non aveva modo di superare i confini di comunità molto ristrette.
FINE PRIMA PARTE
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