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Facebook, Microsoft, Amazon: riprogrammatori della vita umana

«I padroni degli algoritmi sono i veri titolari dei poteri prescrittivi a livello globale. Assistiamo al rompersi della neutralità della rete e della neutralità del software»

Facebook, Microsoft, Amazon: riprogrammatori della vita umana
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7 Marzo 2017 - 20.13


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Intervista a Michele Mezza a cura di Lorenzo Maria Alvaro



Mark Zuckerberg con il manifesto “Building Global Community”,
Bill Gates e Bono Vox con il loro impegno congiunto con l’associazione
One (che li ha recentemente portati a alla Conferenza sulla Sicurezza di
Monaco) e Jeff Bezos con la sua irruzione nel campo politico americano
contro Donald Trump.

Che qualcosa stia succedendo ai vertici del mondo è evidente. Alcuni dei più potenti, ricchi e popolari tycoon della rete –
si legga Facebook (che vuol dire anche Instagram e Whatsapp), Microsoft
e Amazon – «hanno cominciato a mettere piedi e mani nel piatto della
politica», come ha scritto su Fb il giornalista, saggista e docente universitario Michele Mezza, recentemente uscito con il suo ultimo libro “Giornalismi nella rete – Per non essere sudditi di Facebook e Google”.

A fronte di Zuckerberg che scrive la sua volontà «di costruire
nel lungo termine una infrastruttura sociale per unire l”umanità», Bezos
che si propone come defensor democratiae e Gates che si autocandida a
leader politico del futuro la reazione di giornalisti, politici e
intellettuali

è invariabilmente entusiasta.

Nessuna voce contraria, nessun dubbio, nessuna domanda. Per
questo abbiamo chiesto a Mezza di raccontarci perché per lui «Internet
sia diventata la clava in mano a chi la domina per ricostruire a propria
immagine e somiglianza una nuova opinione pubblica globale che uccida
definitivamente gli stati nazionali e affermi un nuovo livello di
tutoraggio sulle istituzioni».

Professore, in cosa consiste il cambiamento che lei sta denunciando?

Nella crisi della democrazia c’è un protagonismo di questi principi
della rete che inevitabilmente stanno entrando prepotentemente nel
piatto della politica.

Un fatto che però sembra generare entusiasmo diffuso ad ogni latitudine…

Sì, anche oggi, dopo l’uscita di Bezos, tutto viene salutato ed esaltato da cori ebbri di gioia.

Perché lei invece è critico?

Sì, in sintesi penso che oggi i poteri dominanti, accanto ad altri che
considero declinanti tra cui Trump, sono legati all’automatizzazione dei
comportamenti mediante la centralità degli algoritmi. Per cui penso che
i padroni degli algoritmi siano oggi i veri titolari di poteri
prescrittivi a livello globale. Dunque penso che non solo incoraggiarli ma
addirittura sollecitarli ad assumere ruoli e responsabilità e tutoraggi
sulla rete, come si fa sulla vicenda delle fake news chiedendo a Facebook di certificare la veridicità dell’informazione, sia una cosa grave che non sta né in cielo che in terra.

Perché trova così strano che Fb faccia questa operazione?

Chiedere a Facebook e al suo algoritmo di entrare nel merito della
notizia ha come esito il rompersi non solo della neutralità della rete
ma anche della neutralità del software, che diventa elemento editoriale.
Un ordinatore editoriale.

Quindi il quadro è cupo?

Il manifesto di Zuckerberg, il protagonismo di Bezof e l’attivismo di
Gates sono segnali di una verticalizzazione secondo me preoccupante.
Zuckerberg poi parla di valorizzare le notizie secondo il minutaggio con
cui vengono lette. Cosa che per altro già accade. È esattamente il
funzionamento di quel social network. Le notizie su Fb vengono
visualizzate in base a una valutazione preventiva che fa l’algoritmo di
Facebook sulla circolabilità di quel contenuto. Se considera quel
contenuto diffusivo lo valorizza e lo moltiplica. Ecco perché capita di
vedere certe notizie passare da 25mila visualizzazioni a 1,5 milioni in
due ore. Non perché sia effettivamente letta, ma perché Fb se ne
impossessa e la usa come motore del social. Ora che questo sistema sia
anche indirizzato ad una sorta di ecologia dei contenuti è una cosa
pericolosa. Perché ovviamente i limiti di questo processo sono
ingovernabili.

Cosa intende per ingovernabilità?

Una volta che si autorizza un algoritmo opaco e non conosciuto tanto
meno negoziabile ad agire sui contenuti a quel punto si aprono scenari
inquietanti. Un fatto per altro che lo stesso Zuckerberg ha già ammesso.

Quando?

Zuckerberg è stato convocato dalla Comissione Commercio del Senato
l’anno scorso all’inizio della campagna elettorale per le presidenziali
per rispondere di un “algoritmo anti-conservatore”. I trumpiani infatti
lo accusavano di boicottare su Facebook Trump. In quell’occasione
Zuckerberg disse una cosa gravissima, spiegando che si trattava di parte
di un percorso che noi – quel “noi” non si capisce a chi si riferisca –
stiamo facendo per colmare il gap che ancora separa quello che oggi un
algoritmo fa da quello che domani dovrà fare. Ora questo “dovrà fare”
chi lo decide? È questo il punto.

È anche vero però che si tratta di una Spa, un’impresa
privata, dunque è normale che faccia del proprio algoritmo quello che
vuole…

Non è così. Ed è lo stesso Zuckerberg a scriverlo nel manifesto. Quando
scrive che vuole «costruire nel lungo termine una infrastruttura sociale
per unire l”umanità». Bisogna prenderlo molto sul serio. Stiamo
parlando di uno spazio pubblico. Una cosa in cui ci sono 2miliardi di
persone è per forza uno spazio pubblico. Deve esserlo. Quindi ha ragione
il fondatore, Facebook è una infrastruttura che sta legando l’umanità. E
come tale deve essere nei suoi meccanismi primari, leggi algoritmi,
trasparente, condivisa e negoziabile. Esattamente come tutte le
strutture che da proprietarie sono diventate spazi pubblici, come la
sanità, l’acqua, l’informazione e la scuola. Se si andasse a guardare la
curva evolutiva di questi fenomeni si scoprirà che tutti sono nati come
attività proprietarie private e per la loro pervasività sociale c’è
sempre stato qualcuno, in quel momento lo stato nazione, che è
intervenuto valutando quel settore talmente rilevante da non poter
essere gestito privatamente.

Significa che, in quanto media, Fb fa servizio pubblico e per questo può essere controllata?

No, non è così. Facebook non è un media. È un punto molto importante. Il
tema non è l’informazione. La rete è la protesi della vita. Per cui va
misurata come qualsiasi altra protesi della vita come appunto sanità,
acqua o formazione. Sono beni comuni, non statali. Per cui devono essere
sottoposti innanzitutto al principio di trasparenza. Come un farmaco,
non basta che sia brevettato, deve essere controllato e testato e devono
essere indicati tutti i componenti. Lo stesso vale per l’algoritmo:
deve essere trasparente. Cioè Fb deve comunicare come funziona. Che sia
un bene proprietario brevettato non conta. Senza sottilizzare sul motivo
stesso per cui è nata la rete.

Può spiegarsi meglio?

I social e prima di loro i motori di ricerca, le community e la rete
sono nate in base ad un principio: la circolarità e l’accessibilità dei
saperi prevalgono sulla titolarità degli stessi. È il motivo per cui i
contenuti vengono diffusi disinteressandosi di chi sono i proprietari.
Se si digita “Colosseo” su Google verranno proposte milioni di foto del
Colosseo ma non si preoccuperà mai del copyright. Questo però non può
valere solo per i beni che i colossi della rete. Questa accessibilità
deve valere anche per loro, per i loro algoritmi. Che devono essere
negoziabili, integrabili e modificabili. Perché se in un ambito riscontro
effetti perversi devo essere in grado di intervenire.

Ci sono esempi concreti di Governi che hanno attuato questo tipo di intervento?

L’India, tre mesi fa, ha realizzato il primo caso. Facebook stava
limitando la gestione delle informazioni sul suo social offrendo in
cambio la connettività a tutto il Paese. Il ministro delle comunicazioni
indiano ha chiamato Fb minacciando che se non avessero riabilitato
tutte le capability che c’erano prima lo avrebbero staccato. In quattro ore tutto è tornato alle origini. Ma ci sono casi anche cittadini.

Ad esempio?

Amburgo. Quando Fb aveva deciso di unificare la lettura dei big data di
Fb e Whatsapp per avere una massa di profilazione enormemente superiore
per ogni singolo utente, il garante dell’informazione della città
tedesca li ha diffidati pena l’esclusione da tutti i servizi della
città. Hanno vinto.

E in Italia che cosa stiamo facendo?

Nulla. Ma questo dibattito sulle fake news è delirante. E che
la presidente della Camera Boldrini chieda via lettera a Facebook
addirittura di essere tutore dell’informazione del mondo è grottesco. Ma
la cosa peggiore è che non c’è un giornalista o un rettore di
università che le dica che non si può fare.

Il tema delle fake news però, rispetto al mutamento antropologico che questa tecnologia sta generando, è un tema trascurabile…

Perfetto.

Non so se ha letto Infinite Jest di Wallace o visto la serie
Black Mirror. Parlano proprio di questo. E a pochi anni dalla loro
realizzazione sono già stati superati dalla realtà…

Certamente. Basta pensare a “Il Cerchio“ di Dave Eggers,
che descriveva 4 anni fa Facebook in termini fantascientifici. Oggi per
fare il film di quel libro gli hanno chiesto di riscriverlo perché non è
più attuale.

Bene, non è su questo che dovremmo concentrarci?

Certo, il vero dibattito è sull’intelligenza artificiale e sulla
singolarità. Cioè sul fatto che siamo ormai a pochi minuti dalla
singolarità. Da quel processo per cui il dispositivo tecnologico si
rende autonomo e si separa dall’azione pianificatrice dell’uomo che lo
ha progettato. Ma infatti dobbiamo smetterla di discutere, come dice Craig Venter,
della potenza di calcolo come una risorsa che serve a fare Twitter e
Facebook. Questi sono flipper per bimbi deficienti. La potenza di
calcolo serve per riprogrammare la vita umana. È genetica,
biotecnologia, ingegneria biogenetica.

È in effetti l’ambito di ricerca in cui si sta spendendo di più nel mondo…

Non si è mai parlato di meccanismo del cervello come oggi. Il tema vero è
come insinuarsi là dentro. Il tema è che i servizi sociali, da qui a 5
anni, saranno dei grandi centri di analisi di big data e di
realizzazione di soluzioni personali. A condizione però che ciascuno si
uniformi a certi comportamenti. Ora il punto è: ma tutto questo chi lo
decide. I limiti chi li mette?

Come si reagisce a tutto questo, visto anche l’immobilismo dei Governi?

Innanzitutto dobbiamo chiarire che non abbiamo mani nude rispetto a questi processi. Facciamo un passo indietro.

Prego…

Cento anni fa fabbrica e industrializzazione erano un fenomeno molto
simile a quello che viviamo oggi. Una vera rivoluzione. A chi dice che
erano cambiamenti più lenti ricordo che nel 1903 Henry Ford fa la prima
catena di montaggio e nel 1917 Lenin fa la rivoluzione in Russia.
L’unica differenza è che oggi non stiamo discutendo di una simmetria tra
pochi centri che controllano il sapere e una plebe di derelitti.
Abbiamo un meccanismo che si chiama rete che crea potenza di calcolo su
base associativa. Ecco perché non abbiamo mani nude.

Cosa vuol dire concretamente?

Abbiamo grandi opzioni nel creare una massa critica in gradi di contrapporsi allo sviluppo di grandi potenze scientifiche.

Lei dice di usare Facebook contro Facebook?

Dico di usare la rete per quello che è e per cui è nata. Solo che invece
che partire dal consumo, come genialmente Zuckerberg ha fatto, facendo
diventare la rete un amplificatore di consumi. Dobbiamo porre al centro
il problema della produzione, per cui il coinvolgimento diretto della
masse di community nell’interferire, quello che una volta chiamavamo
banalmente open source.

Quindi i Governi sono fuori gioco?

Certo, perché il punto è esattamente la disintermediazione. Questi tycoon
si sono candidati ad essere i nuovi mediatori. Per cui loro hanno
disintermediato i vecchi media, politica e accademia per sostituirsi e
diventare erogatori della vita. Questo processo va combattuto. Ci vuole
quella che si è sempre chiamata nella storia la “conflittualità
sociale”. Perché la rete deve essere buona o cattiva di per sé? Sarebbe
terribile se fosse stata buona in maniera indolore. La rete sarà buona o
cattiva come risultato dei rapporti di forza di chi c’è.

In questo ambito i media che ruolo possono e devono avere?

La battutaccia sarebbe dire: morire.

Grazie…

Facendo un ragionamento un po’ più equilibrato devono diventare un
soggetto di questo conflitto, capendo che quello che è cambiato non è il
processo distributivo. Non basta passare dalla carta alla rete con lo
stesso metodo. È cambiato il protagonismo individuale dell’utente.
Quello che Manuel Castells
chiama “l’autocomunicazione di massa”. I media non possono più mediare.
Devono supportare, con la loro esperienza e competenza, processi di
consapevolezza nell’interferire sui sistemi editoriali, sui moti di
ricerca, sui data base, sul cloud e sulle memnorie3. Il giornalista oggi
è colui che introduce elementi critici nei processi di automazione nel
trattamento dell’informazione.

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Fonte: http://www.vita.it/it/article/2017/02/23/lo-scopo-di-facebook-microsoft-e-amazon-riprogrammare-la-vita-umana/142576/

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